editoriale Mezzogiorno, 13 gennaio 2023 – 09:06 di Aldo Schiavone I dati diffusi dall’Agenzia per la Coesione territoriale sull’andamento della spesa pubblica sostenuta nelle diverse regioni dagli Enti del cosiddetto settore pubblico allargato (Pubblica amministrazione e imprese pubbliche nazionali, regionali e locali), di cui ha dato ampia notizia il Corriere del Mezzogiorno, sono inequivocabili e impressionanti. Un bagno di realismo cui non si pu sfuggire. La Campania risulta l’ultima fra le regioni italiane — appena preceduta dalla Calabria, dalla Sicilia e dalla Puglia — con un ammontare che non raggiunge i 12.000 euro pro capite (la rilevazione si riferisce al 2020): vale a dire meno della met rispetto alla Valle d’Aosta, che, in testa alla classifica, sfiora invece i 24.000 euro. da queste cifre — da queste evidenze — che dovrebbe partire ogni discorso sull’autonomia differenziata, invece di ridursi, come sta accadendo troppo spesso, a una sola questione di ammissibilit costituzionale, come se gli unici problemi da risolvere fossero quelli di venire a capo di qualche consequenzialit normativa, compresa l’individuazione degli ormai famigerati Lep. Quasi che le sorti del Mezzogiorno — perch di questo si tratta — si potessero chiudere nella gabbia di un paio di formalismi interpretativi, lasciando colpevolmente perdere tutto il resto, da non prendersi nemmeno in considerazione. Ma in tutto il resto c’ il fatto che intanto il Sud sta affondando, sempre pi solo e sempre pi rassegnato, spento nell’indifferenza e nel letargo civile di cui ha opportunamente parlato il direttore Enzo d’Errico; e che gli incoraggianti segni di ripresa produttiva (e dobbiamo dirlo: anche civile) manifestatisi alla fine degli anni Novanta del secolo scorso sono svaniti uno dopo l’altro, senza riuscire a innescare nessun autentico processo di trasformazione stabile e duraturo. Un dissolversi e persino un arretrare delle cui contraddizioni la Napoli d’oggi uno specchio sin troppo spietato e fedele. La verit che se appena si riesce a squarciare il velo d’ipocrisie e di sotterfugi dietro il quale ormai si nasconde il nostro discorso pubblico, si scopre che c’ una parte consistente del Paese, che esprime una fetta altrettanto considerevole del ceto politico nazionale, convinta ormai che il Mezzogiorno sia inevitabilmente perduto, che non vi sia pi niente da fare o da tentare; e che invece il Centro-Nord, se opportunamente sostenuto e svincolato, come si soliti dire, da lacci e lacciuoli, possa farcela da solo a mantenere l’Italia agganciata alla parte pi avanzata dell’Europa e dell’Occidente: e che perci bisogna lasciargli mano libera, nell’interesse di tutti, Sud stesso compreso. E l’altra faccia della medesima verit che quella indifferenza e quel letargo civile di cui prima si parlava, in cui sembra precipitata tanta parte della societ meridionale — spesso addirittura la parte che abbiamo sempre giudicato storicamente migliore — sono diventati ormai gli alleati inaspettati e oggettivi di una simile distruttiva visione, cui finiscono con l’attribuire il colore del realismo e del comune buon senso. Se il Mezzogiorno non riesce a esprimere che apatia e rinuncia, cos’altro c’ da fare se non puntare su altre strade, proporre altre scommesse? E come stupirsi allora se in un tale vuoto — in cui il fallimento della sinistra c’entra molto — la politica meridionale da un lato s’infeudi e si immiserisca in calcoli personalistici di potere (vi accennava ancora d’Errico), dall’altro scivoli verso derive populiste? Dobbiamo per trovare la forza di pensare che questa discesa verso il peggio ancora arrestabile. Non dobbiamo stancarci di ripetere che l’idea di salvare l’Italia giocando unicamente la carta del Nord non solo eticamente miserevole e costituzionalmente discutibile, ma soprattutto economicamente e politicamente perdente e sbagliata. Il destino del Paese — la sua sola possibilit di un futuro non gregario e non subalterno — si trova nel riequilibrio verso il Sud dell’intera Europa: e questo spostamento d’asse impensabile se non si creano le condizioni di un grande rilancio su scala continentale del Mezzogiorno italiano. Un risultato impossibile da raggiungere senza una visione d’insieme che rimetta l’unit della Penisola al centro dei progetti strategici di una classe dirigente davvero degna di questo nome. A cominciare dai ceti di governo meridionali, ormai da tempo non pi in grado di esprimere leader che sappiano parlare all’intero Paese, e vedere pi lontano dell’orizzonte imposto dai confini del proprio territorio. Mentre esattamente di questo ci sarebbe bisogno: di un neomeridionalismo capace di un respiro geopolitico almeno europeo, con l’ambizione e il talento di rivolgersi all’Italia nel suo insieme e di interpretarne il futuro, le speranze, le possibilit. Di un’onda di rinnovata coscienza pubblica, trasversale rispetto ai partiti, a quel che resta di loro. Confesso di chiedermi ogni giorno come sia possibile che chi amministra le nostre regioni, le nostre citt, non senta l’assillo di questa urgenza. Di un cambio di passo che sia per sempre. Di rompere la cappa di silenzio e l’abitudine all’abdicazione che ci stanno condannando, di alzare gli occhi, e dal proprio posto di governo tornare a pensare l’Italia, e pensare il Sud come parte di un disegno globale, in cui siamo tutti immersi. 13 gennaio 2023 | 09:06 © RIPRODUZIONE RISERVATA
Pietro Guerra
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