Pasquale, a piedi dalla Germania per rifare il viaggio del padre prigioniero

Pasquale, a piedi dalla Germania per rifare il viaggio del padre prigioniero

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di Enea Conti

È partito dalla Germania l’8 maggio, arriverà a Barletta il 27 luglio: così Pasquale Caputo, 73 anni, sta rifacendo il viaggio che il padre Francesco fece nel ‘45 per tornare a casa dopo la prigionia in Germania. A piedi, come lui. Per «dare voce ai tanti militari italiani finiti nei campi di concentramento dopo l8 settembre». La solidarietà dell’Anpi

Alla storia passarono con un acronimo. «Imi» – Italienische Militarinternierte ovvero Internati Militari Italiani, affibbiato dai nazisti ai soldati rastrellati e catturati in Italia dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943. Per molti storici furono circa 800mila, per altri oltre un milione. Tutti avevano rifiutato l’adesione alla Repubblica Sociale di Salò o alle truppe tedesche e per questo erano stati internati nei campi di concentramento. C’era anche Francesco Caputo, originario di Barletta. Nel 1945 aveva 28 anni e aveva combattuto a lungo nel nord Italia: dopo l’armistizio aveva deciso di non aderire alla causa nazifascista, fu catturato a Verona e internato in Baviera. Quasi 80 anni dopo, il figlio Pasquale, settantatré anni, ha realizzato un progetto che coltivava da oltre mezzo secolo: ripercorrere la strada che il padre aveva intrapreso – a piedi – all’indomani dell’arrivo di alleati e russi per tornare nella sua Barletta. Un viaggio durato due mesi e mezzo.

Gli Internati Militari Italiani «non vollero parlare della loro prigionia. Furono trattati da traditori in Germania e furono bistratti in Italia. La loro storia passò quindi sotto traccia. Io sono fiero di mio padre. Lui e gli altri internati rifiutarono qualsiasi privilegio pur di non sposare la causa nazifascista. Sono loro ad aver gettato le fondamenta dell’antifascismo».

Era l’inverno del 1956 quando Caputo, che ai tempi era un bambino, ascoltò per la prima volta il racconto del padre, la narrazione di quel viaggio a ritroso dalla Germania caduta nelle mani alleate e russe e lungo l’Italia appena liberata. In quell’anno, nel 1956, in Puglia, a Barletta, nevicò parecchio. Evento raro, rarissimo. «Ascoltai quel racconto davanti mentre eravamo seduti vicino al fuoco per riscaldarci. Mio padre narrò la sua traversata a uno dei miei zii. Da quel giorno mi promisi che un giorno avrei fatto anch’io il viaggio che aveva fatto lui». E con un obiettivo ben preciso: «Dare voce ai tanti internati militari italiani che furono rinchiusi nei campi di concentramento dopo l’armistizio». E che per un retaggio della propaganda nazifascista che neppure la Liberazione riuscì a cancellare furono bistrattati anche dopo la guerra. «Su di loro a lungo si distese l’ombra lunga del pregiudizio. Si diceva che erano andati in vacanza in Germania, che erano degli sfaticati. Difficile farsene una ragione».

Pasquale Caputo è partito lo scorso 8 maggio. A Barletta arriverà il prossimo 27 luglio. Non sono dettagli da poco, anzi. «Queste date – spiega – quella di partenza e quella di arrivo le ho lette nel foglio matricolare e voglio rispettarle». Quello di Caputo è dunque un viaggio a ritroso lungo la linea del tempo e dello spazio. Un cammino in contromano. In contromano per davvero lungo strade statali e trafficate per correre meno pericoli. In contromano anche per metafora perché in pochi ricordano le vicende dei militari internati italiani dopo l’armistizio. «Mio padre – spiega – entrò in servizio militare nel 1935. A Barletta, tornò nel 1945. Perse 10 anni di vita, una rapina. I particolari non se li ricordava. Era analfabeta, non ricordava neppure i nomi dei campi di concentramento. Li ho dedotti da una cartolina: fu rinchiuso a Moosburg, a Memmingen e Kaufbeuren, un grande fabbrica di munizioni. Lì risulta che era impiegato manovale. Non ne parlava. Lui parlava solo del suo lavoro, quello di contadino. Io ho visitato tutti questi campi di concentramento e dopo aver visitato l’ultimo sono partito a piedi per Barletta».

Pasquale Caputo per la cronaca, prima di realizzare il suo sogno è stato impegnato in una ricerca – portata avanti per ricostruire le tappe con precisa esattezza – durata 12 anni e cominciata 22 anni dopo la morte del padre, avvenuta nel 1988. Non è un caso che l’esercito italiano, quello dei nostri giorni, abbia in parte preso a cuore il viaggio di Pasquale Caputo. Che nella sua tappa di Rimini ha dormito nelle stanze dei militari del 7° Reggimento Aves Vega di stanza nel capoluogo romagnolo. «I militari, i comandanti e gli ufficiali, hanno ascoltato il mio racconto. Mi dicono che li rendono consapevoli della loro storia». E non è tutto: «A Monaco – racconta Caputo – ho partecipato all’inaugurazione della sede locale dell’Anpi», l’associazione nazionale dei partigiani. Un viaggio, a ritroso, spesso contromano e trasversale. E forse per questo una di quelle storie da salvare e ricordare.

20 giugno 2022 (modifica il 20 giugno 2022 | 00:13)

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, 2022-06-19 23:02:00, È partito dalla Germania l’8 maggio, arriverà a Barletta il 27 luglio: così Pasquale Caputo, 73 anni, sta rifacendo il viaggio che il padre Francesco fece nel ‘45 per tornare a casa dopo la prigionia in Germania. A piedi, come lui. Per «dare voce ai tanti militari italiani finiti nei campi di concentramento dopo l8 settembre». La solidarietà dell’Anpi , Enea Conti

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