di Marta SerafiniLo studente accusato dal regime egiziano: grato ai vari governi italiani. «Il 29 novembre sarò a Mansoura per la prossima udienza ma non so davvero cosa aspettarmi» «Ciao, come stai? Ora sono libero, possiamo parlare». Migliora ancora l’italiano di Patrick Zaki che risponde al telefono dal Cairo. Ormai sempre più fluente. «Sì, sto continuando a studiare ma non mi sento ancora abbastanza sicuro da usarlo per un’intervista, mi perdonerete», scherza lo studente e attivista egiziano dell’Università di Bologna. In sottofondo abbaia Julie, la sua cagnolina. «Da quando sono uscito dal carcere non mi ha mai abbandonato». È di buon umore Zaki. La notizia dell’incontro tra la premier italiana Giorgia Meloni e il presidente egiziano, il generale Abdel Fattah al-Sisi, è per lui fonte di speranza. Su Zaki pende ancora il rischio concreto di finire in carcere per cinque anni. Ed è tuttora in vigore il divieto di espatrio che lo tiene lontano dalla «sua» Bologna. Sappiamo che hanno parlato del tuo caso, sai di cosa in particolare? «Non so nello specifico. So che c’è stata la richiesta di una risoluzione positiva. E la mia speranza, ovviamente, è che ci sia stata la richiesta da parte del governo italiano di porre fine al mio travel ban (il divieto delle autorità egiziane che proibisce a Zaki di lasciare il Paese, ndr). Per me ma anche per gli attivisti della mia Ong, la Eipr, tra cui Hossam Bahgat, il direttore, anche lui accusato di diffusione di notizie false. Sarebbe un grande passo in avanti non solo per noi ma anche per tutti gli attivisti egiziani ancora in carcere. Inoltre mi pare un ottimo segno che diversi governi a Roma mi abbiano sostenuto. Significa che tutti gli italiani sono con me». Fin da subito la Farnesina si attivò per monitorare il tuo caso e alle udienze è stata sempre inviata una delegazione diplomatica composta da rappresentanti di diversi Paesi europei, compresa l’Italia… «Già, e di questo non sarò mai abbastanza grato. È stato davvero importante per me mentre ero in carcere sapere che fuori c’erano così tante persone che si stavano impegnando per me. Anche l’Università di Bologna è stata di enorme sostegno, gli attivisti, tutti…». Il dicembre scorso la magistratura egiziana ha stabilito il tuo rilascio dal carcere mantenendo però in piedi le accuse. Ora c’è stato questo colloquio. Sembrano tutti passi in avanti. Ti aspetti che il prossimo sia il rientro in Italia? «Non lo so. La mia è una speranza, non una certezza. Mi piacerebbe poter discutere la mia tesi a Bologna, nella città dove frequentavo il Master Gemma in studi di genere prima di essere arrestato e che sto continuando a frequentare. Mi manca poco, tra due o tre mesi dovrei finire. Il 29 novembre sarò a Mansoura per la prossima udienza ma non so davvero cosa aspettarmi». Allora in questo caso è necessario un doppio in bocca al lupo. Di cosa tratterà la tesi? «Ancora non è ufficiale e per scaramanzia preferisco non dire ancora nulla. Intanto sto andando avanti anche con il mio lavoro sui diritti umani. Sto seguendo quello che accade in Egitto, ma anche quello che sta succedendo in Iran. Le proteste mi hanno molto colpito. Perché si tratta di proteste di donne ed è un tema che mi sta particolarmente a cuore, dati i miei studi, ma anche è molto di più di questo. Sono proteste che hanno a che fare con i diritti di tutti noi, uomini e donne, di ogni Paese e provenienza. Sono questioni universali». Tante le critiche alla scelta di tenere la Cop27 in Egitto. Ma può essere una buona occasione per accendere i riflettori sui casi come il tuo? «La conferenza di Sharm El Sheik ha acceso una luce sull’Egitto. Quindi anche sugli attivisti in carcere o sotto processo, non c’è alcun dubbio». 8 novembre 2022 (modifica il 8 novembre 2022 | 07:20) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-11-08 06:23:00, Lo studente accusato dal regime egiziano: grato ai vari governi italiani. «Il 29 novembre sarò a Mansoura per la prossima udienza ma non so davvero cosa aspettarmi», Marta Serafini