di Maria Teresa Meli
Il leader alla direzione Pd: io front runner. Poi il vertice con Di Maio e Sala. Il partito approva, ma ci sono i dubbi di Orlando, Provenzano e Bettini
Lo aveva detto giorni fa e lo ha ripetuto ieri: «Dobbiamo essere scientifici». Per Enrico Letta non era uno slogan: tra lunedì e ieri mattina il segretario del Pd ha visto (o sentito) tutti i potenziali alleati della coalizione che fronteggerà la destra alle elezioni del 25 settembre.
Solo dopo ha fatto la Direzione. Ha parlato con Calenda per dirgli: «Renzi e i suoi devi metterli in lista tu, noi non possiamo, già ho problemi a far digerire a una parte di elettorato il fatto che non andremo con i 5 stelle, figuriamoci Matteo». Ha parlato con Di Maio , con cui ha avuto un aggiornamento ieri pomeriggio, in call con Beppe Sala: «Sta a te creare una lista di ex 5 stelle ma anche di civici, in collaborazione con Pizzarotti». Insomma quando Letta apre i lavori della Direzione, il suo schema era già tracciato. «Vedrete Salvini pieno di Madonne, Berlusconi con le foto del 2004, la Meloni con la peggior destra del mondo». Quindi la proposta: «Le alleanze che stipuleremo saranno solo alleanze elettorali: questa legge non postula coalizioni con un simbolo, ma postula solo alleanze tecniche». E ancora: «Poi ci sono delle alleanze che siamo costretti a fare dalla legge elettorale». Comunque, Letta assume il «ruolo di front runner della campagna elettorale» e spiega di volere «un Pd come un quadro di Van Gogh, con nettezza dei colori». La Direzione vota e tutti sono con lui, anche se ci sono perplessità e dubbi.
Nel dibattito c’è chi chiede, come Goffredo Bettini, di «verificare bene il rapporto con Calenda, per le differenze di fondo che lui stesso ha voluto rimarcare. Calenda ha fatto della demolizione degli altri la sua cifra politica, si erge a giudice di ogni singola forza o personalità politica, non se ne salva nessuna, ha diviso fra i buoni e i cattivi». Peppe Provenzano invece chiede di evitare di dare l’impressione di voler costruire «un’alleanza degli inclusi, sarebbe un regalo a Meloni». Anche Andrea Orlando sollecita un «nitore» del messaggio politico del Pd, «perché il problema sarà anche come si sviluppa concretamente la campagna elettorale. Se dovessimo censurarci perché c’è uno che ti smentisce, rinunceremmo alle nostre potenzialità di fuoco».
Matteo Orfini, oltre a Bettini, è l’unico esplicito: «Non mettiamo veti sulle persone, ma se vogliamo fare pace con il mondo della scuola non potremo avere qualcuno che non ce lo fa fare». L’allusione è probabilmente all’ex ministra Mariastella Gelmini, «indimenticabile» titolare di una riforma della scuola molto contestata nell’era Berlusconi; ma forse pensa anche a Lucia Azzolina, ministra del governo Conte 2.
Sul tema degli ex Cinque stelle oggi fuoriusciti dal Movimento, Laura Boldrini ricorda «chi parlò del partito di Bibbiano e di taxi del mare». Ce l’ha con Luigi Di Maio, quando era ministro del governo Conte uno.
Letta, com’è nel suo stile, rassicura tutti. Le liste del Pd saranno allargate ai civici, per provare a contendere gli inespugnabili collegi uninominali («quei sessanta seggi che possono fare la differenza», sottolinea il segretario). Ora Letta si lancia nella sua missione: mettere insieme almeno il Patto Repubblicano e i rossoverdi. Impresa improba ma la legge elettorale è quella che è. E comunque, come ribadisce Letta, sarà solo un’alleanza «elettorale», che consentirà a ciascuno «di tenersi i propri programmi». Missione difficile dunque, e Letta alla fine non lo nega, tanto che gli sfugge questa frase: «Se non faremo nessun errore avremo una possibilità di vincere». Letta si rivolge a tutti in questa sua chiamata alle armi. Anche a chi, dopo le elezioni, gli chiederà conto di quel che è stato fatto.
26 luglio 2022 (modifica il 26 luglio 2022 | 23:13)
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, 2022-07-26 21:30:00, Il leader alla direzione Pd: io front runner. Poi il vertice con Di Maio e Sala. Il partito approva, ma ci sono i dubbi di Orlando, Provenzano e Bettini, Maria Teresa Meli