Pensioni, il governo pensa alla modifica di Opzione Donna: letà per lasciare potrebbe salire a 63 anni

La riforma di Opzione Donna si prospetta come una delle principali discussioni sul tavolo del ministero del Lavoro e dell’Economia. Mentre il 2020 ha visto una riduzione drastica delle donne idonee all’uscita anticipata – da 23mila a soli 3mila – ora c’è un pressing per riportare una platea più ampia nel piano di pensionamento anticipato.

Il punto di contesa è di natura finanziaria. Lo scorso anno, la necessità di affrontare la crisi energetica ha messo in ombra le esigenze pensionistiche. Tuttavia, la crescente preoccupazione per le condizioni delle donne e dei giovani nel mercato del lavoro rende impossibile ignorare ulteriormente la questione. Con stipendi più bassi e carriere spesso interrotte, le prospettive pensionistiche di queste categorie sono notevolmente inferiori rispetto a quelle maschili, portando potenzialmente a una futura emergenza sociale.

L’attuale presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, sottolinea l’urgente necessità di intervenire, affermando l’inefficacia dell’attuale formula. Con meno di 3mila donne previste per andare in pensione con l’Opzione entro fine anno, il programma sembra destinato a costare più di quanto offre.

Mentre il dibattito prosegue, emerge una domanda chiave: dovremmo ampliare la platea o sostituire il programma con una misura alternativa? La ministra del Lavoro Marina Calderone punta ad introdurre nuovi strumenti pensionistici per le donne, riconoscendo anni di contributi basati sul numero di figli e valorizzando i ruoli di cura spesso svolgendo senza retribuzione.

Maria Teresa Bellucci, viceministra del Lavoro, sottolinea, in un colloquio con Il Messaggero, la necessità di sostenere le donne, considerandole fondamentali per la crescita del Paese. Con la visione di una riforma strutturale in un orizzonte di cinque anni, la sfida principale rimane quella di equilibrare le esigenze finanziarie con le necessità sociali.