Prima di scegliere questa strada occorre fare alcune valutazioni, oltre a quelle del risparmio sul costo diretto
Non è detto che il riscatto della laurea per chi ha studiato all’università dal 1996 in poi sia una scelta vincente. Dopo l’introduzione del riscatto con importo forfettizzato avvenuto con il decreto legge 4/2019, la possibilità di valorizzare gli anni di studio a fini pensionistici sta suscitando un grande interesse tra i lavoratori. Ma anche se con la nuova opzione un anno di riscatto costa circa 5.240 euro invece di un terzo dell’ultima retribuzione annuale lorda percepita, prima di scegliere questa strada occorre fare alcune valutazioni, oltre a quelle del risparmio sul costo diretto.
Tanto per iniziare, in base all’ipotesi riportata nella tabella, un uomo nato dagli anni ’70 in poi, che abbia iniziato gli studi universitari a 19 anni, conseguendo in corso il titolo fra i 23 e i 24 anni, e cominciando a versare i contributi a 25, arriverà prima alla pensione di vecchiaia (che attualmente richiede 67 anni di età) rispetto a quella anticipata (oggi raggiungibile con 42 anni e 10 mesi di contributi, indipendentemente dall’età).
La differenza nell’ingresso a pensione fra le due strade disponibili (vecchiaia e anticipata) è di appena cinque o sei mesi, a causa dell’ingresso in tarda età nel mondo del lavoro.L’ESEMPIO
Ipotesi: uomo che inizia l’università a 19 anni – corso di studi di 4 o 5 anni – primi contributi versati a 25 anni – pensione anticipata a 42 anni e 10 mesi più adeguamento a speranza di vita (senza considerare le finestre).
Per i requisiti di pensione si è fatto riferimento alle previsioni contenute ne “Le tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistio e socio-sanitario” aggiornato al 2018 della Ragioneria generale dello Stato.
Per la pensione anticipata si è tenuto conto del congelamento dell’adeguamento dei requisiti fino al 2026, che comporta uno sconto di 11 mesi rispetto alle previsioni
L’importo della pensione di vecchiaia, però, dovrà essere pari almeno a 1,4 volte l’assegno sociale (nel 2019, 687 euro lordi mensili, un valore raggiungibile abbastanza facilmente con una carriera lavorativa lunga). In caso contrario si dovranno attendere altri quattro anni per l’ingresso alla pensione di vecchiaia accessibili per i soli “nuovi iscritti” a 71 anni con almeno cinque anni di contribuzione effettiva, ma senza alcun valore soglia di pensione.
La pensione anticipata arriverà invece leggermente prima di quella di vecchiaia se si tratta di una donna, perché con le regole attuali è richiesto un anno in meno di contributi, vale dire 41 anni e 10 mesi.
Ma proprio qui risiede il problema: quali regole saranno in vigore tra 20-40 anni? Il governo attuale punta a introdurre l’unica pensione anticipata con 41 anni di contributi per entrambi i sessi dal 2022, ma finora sembra un obiettivo più che una certezza.
Il riscatto della laurea consente di arrivare prima ai requisiti della pensione anticipata, ma prima di approfittarne si deve tener presente che, per chi ha iniziato a versare i contributi dal 1996, c’è una terza via d’uscita: la pensione anticipata contributiva, raggiungibile tre anni prima di quella di vecchiaia (oggi a 64 anni di età invece di 67). Unico limite: l’importo deve essere almeno 2,8 volte quello dell’assegno sociale e quindi oggi poco più di 1.280 euro.
Questa soluzione equivale a un riscatto triennale. Quindi se un lavoratore riscattasse quattro anni, in realtà ne guadagnerebbe meno di uno, in quanto la pensione di vecchiaia ordinaria arriverebbe cinque o sei mesi prima di quella anticipata (si vedano le ultime due colonne della tabella). Con cinque anni di riscatto, il vantaggio salirebbe invece a circa un anno e mezzo e permetterebbe di superare il valore di sbarramento di 2,8 volte l’assegno sociale.
Queste valutazioni si mostrano molto difficili in quanto considerano lo scenario normativo come strutturalmente identico nei prossimi 20-40 anni, cosa piuttosto improbabile. Di certo rimane il vantaggio fiscale a oggi fruibile per chi intraprende il riscatto di laurea, consistente nella integrale deducibilità di quanto sostenuto nel singolo anno d’imposta e che viene massimizzato nel caso della rateizzazione decennale dell’onere, ma forse consente anche un ulteriore vantaggio. Attraverso la rateizzazione in 10 anni, senza alcun interesse, il lavoratore potrà sempre interrompere, senza alcuna conseguenza, il riscatto intrapreso, ricevendo l’accredito dei contributi già riscattati. Da quel momento, il periodo non riscattato, se avrà superato l’età di 45 anni, potrà essere coperto solo sostenendo il costo più alto del riscatto ordinario.
da: Il Sole 24 Ore