ll caso in commento riguarda un contenzioso tra un dipendente pubblico e l’Agenzia delle Entrate in merito alla riscossione di una cifra importante per la violazione dell’art. 53, commi 9 e 11, del D. Lgs. n. 165/2001, come accertata con verbale di contestazione della Guardia di Finanza – per aver svolto incarichi senza la preventiva autorizzazione dell’Amministrazione di appartenenza, e per aver omesso di comunicare nei termini di legge i compensi allo stesso erogati. Si pronuncia con ordinanza la Cassazione Civile Num. 30865 /2022.
Illegittimo autorizzare gli incarichi ora per allora
La Corte ha recentemente affermato il principio per cui lo svolgimento di incarichi extraistituzionali retribuiti da parte di dipendenti della P.A. è condizionato alla previa autorizzazione da parte dell’amministrazione di appartenenza, secondo quanto previstodall’art. 53, comma 9, del d.lgs. n. 165 del 2001, con la conseguenza che la violazione derivante dal conferimento di siffatti incarichi da parte di enti pubblici economici o di soggetti privati, in assenza di autorizzazione, non può essere sanata da un’autorizzazione successiva (ora per allora), stante la specificità del rapporto di pubblico impiego, la necessità di verificare ex ante la compatibilità tra l’incarico esterno e le funzioni istituzionali, e tenuto conto altresì della circostanza che il potere sanzionatorio nei confronti del soggetto conferente è attribuito dalla suddetta norma all’Agenzia delle Entrate e non all’amministrazione di provenienza del dipendente (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 1623 del 19/01/2022 – Rv. 663796 – 01)
Come già rilevato con tale decisione, continua la Cassazione nella sua recente ordinanza, lo scopo della previsione è quello di garantire l’imparzialità, l’efficienza e il buon andamento della pubblica amministrazione nel rispetto dei principi sanciti dagli artt. 97 e 98 Cost., nonché di evitare che il pubblico dipendente possa svolgere incarichi ulteriori rispetto a quelli che discendono dai propri doveri istituzionali, distogliendolo da essi ovvero creando forme autorizzate di concorrenza soggettiva in capo al medesimo soggetto interessato, e procurandogli un vantaggio economico che non ne giustificherebbe -se stabile e duraturo e quindi dotato dei caratteri della prevalenza e continuità- la permanenza all’interno della pubblica amministrazione, con i conseguenti rilevanti oneri ad essa attribuiti. È quindi evidente che la ratio della previsione (ben evidenziata dall’impiego dell’inequivoco termine “previa”) risulterebbe frustrata da un’autorizzazione concessa meramente a posteriori (o “ora per allora”), dal momento che in tale ipotesi viene integralmente a mancare la preliminare valutazione di compatibilità dell’incarico, il quale, nelle more di tale autorizzazione postuma, risulterebbe comunque intrapreso (se non anche esaurito) senza detta valutazione.
L’autorizzazione postuma è incompatibile con la normativa vigente
Come già osservato -peraltro anche sulla scia dell’orientamento espresso dalla giurisprudenza del giudice amministrativo- “l’autorizzazione postuma (id est, con riferimento allo specifico caso in esame, l’autorizzazione “ora per allora”) risulta ontologicamente incompatibile con la finalità dell’istituto della previa autorizzazione che, in base al disposto di cui all’art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165 del 2001, è quella (come detto) di verificare, necessariamente ex ante, l’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. Laddove, «il dovere di rispettare la regola per cui – tra gli incarichi non vietati – gli incarichi extraistituzionali consentiti al dipendente (rispettoai quali quest’ultimo è legittimato a trattenere le remunerazioni) sono solo quelli o previamente autorizzati dall’Amministrazione datoriale o quelli dalla stessa direttamente conferiti costituisce interpolativamente (giacché introdotto per legge) null’altro che uno dei diversi doveri del dipendente che rientrano nel fascio dei suoi obblighi dovuti per effetto del rapporto lavorativo dipendente» (Cons. Stato, sez. VI, 2 novembre 2016, n. 4590)”.
È stato parimenti rilevato che il disposto dell’art. 53, comma 9, D. Lgs. 165/2001 sanziona una violazione di carattere “formale”, integrata cioè dal semplice fatto di un privato che abbia conferito un incarico a un dipendente pubblico senza avere ottenuto preventivamente l’autorizzazione dell’Amministrazione presso cui il medesimo presti servizio, risultando conseguentemente preclusa la possibilità che un’autorizzazione intervenuta successivamente (con effetti anche “ora per allora”) -dispiegando un effetto retroattivo ex tunc- determini una sanatoria di un illecito che risulta già commesso.
, 2022-11-05 07:40:00, ll caso in commento riguarda un contenzioso tra un dipendente pubblico e l’Agenzia delle Entrate in merito alla riscossione di una cifra importante per la violazione dell’art. 53, commi 9 e 11, del D. Lgs. n. 165/2001, come accertata con verbale di contestazione della Guardia di Finanza – per aver svolto incarichi senza la preventiva autorizzazione dell’Amministrazione di appartenenza, e per aver omesso di comunicare nei termini di legge i compensi allo stesso erogati. Si pronuncia con ordinanza la Cassazione Civile Num. 30865 /2022.
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