Perché andare (ancora) a scuola: educazione alla bellezza e alla filosofia

Perché andare (ancora) a scuola: educazione alla bellezza e alla filosofia

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Perché andare ancora a scuola? Pubblichiamo di seguito un intervento di Giovanni Cogliandro, Dirigente scolastico dell’I.C. Mozart e dell’IIS J. VON NEUMANN di Roma.

La Scuola è stata sempre percepita come lo specchio della comunità che la genera. Questo valeva già per la prima Scuola di cui si abbia notizia, la confraternita dei Pitagorici, il cui scopo era l’iniziazione dei giovani a condurre un bios theoretikos, una vita contemplativa intesa come capacità di percepire la bellezza e l’armonia e di elevarsi al di sopra del mero perseguimento dell’utile, poi declinata con caratteristiche molto diverse da Platone e Aristotele.

Perché andare ancora a scuola? Nella scuola che dirigo insieme ai docenti cerchiamo di sviluppare percorsi di intersezione tra insegnamento, narrazione ed esperienza della filosofia, allo scopo di trovare punti di incontro tra i trascendentali pulchrumbonum e iustum (bello, buono, giusto). In tale percorso di ricerca sulle pratiche e di formazione continua dei nostri docenti abbiamo fatto uso di argomenti tipici della tradizione filosofica classica, pensando e descrivendo la bellezza come un anelito e un bisogno primario di ciascun essere umano.

A volte l’inventiva di un singolo docente o dirigente consente di sviluppare delle pratiche geniali, ma poco note e poco strutturate, che richiedono invece di essere rese conoscibili e ripetibili, per diventare patrimonio comune e attuabile dai docenti interessate. In questo la sempre maggiore rapidità di accesso alla conoscenza, il moltiplicarsi di videoconferenze, ha reso più fluido l’accesso alle conoscenze pedagogiche e alla sperimentazione didattica, come abbiamo potuto verificare.

Un esempio di pratica di coinvolgimento di etica ed estetica al servizio della professione docente che sto cercando di portare avanti nell’Istituto che dirigo è la realizzazione di un percorso di educazione alla bellezza come peculiare percorso di educazione civica, nonché la sperimentazione dell’insegnamento della filosofia nelle classi quinta e quarta della scuola primaria. 

L’educazione civica è oggi considerata una necessità sociale, come dimostrato dal recente intervento normativo che l’ha resa obbligatoria nelle scuole e che va in questa direzione di riconoscimento di un’istanza ormai imprescindibile per la ricostituzione di una polis in cui le tensioni sociali e le asimmetrie economiche, unite negli ultimi anni al crescere delle paure anche irrazionali, hanno reso remota l’armonia e trasformato la città in una realtà fin troppo frammentata. 

Perché andare ancora a scuola. L’educazione, come evidenziato da Schiller, Schelling e altri filosofi, è educazione estetica, osservazione cosciente del progressivo aprirsi dei sensi alla percezione dell’armonia delle forme, dei suoni, delle parole, delle relazioni. Da qui si può declinare una compartecipazione e una coessenzialità della dimensione comunitaria e di quella percettiva, una intersezione tra polis e aisthesis, che costituisce l’ambizione che continua a tenere in piedi l’ambiziosa idea repubblicana di garantire l’istruzione gratuita a tutti. L’educazione estetica corrisponde a una concezione della persona come in continua evoluzione, plasmata da un lavoro che essa stessa compie sui propri tratti caratteriali, con l’aiuto e la guida essenziale di un modello costituito dal docente, che la accompagna nei diversi stadi della sua crescita ad essere parte attiva della propria formazione, senza lasciarsi semplicemente plasmare da eventi o stati di fatto esterni a lei.

La costruzione armonica di una città include oggi il pensiero della scuola, non più aristocratico ginnasio o liceo, ma espressione delle prime esperienze di una comunità da parte di piccoli uomini e donne che si stanno formando in quanto tali. Si tratta di un primo legame che va ad affiancare quello degli affetti e delle empatie familiari. Gli alunni quindi percepiscono il rapporto con i docenti come educazione alla cittadinanza ed educazione all’armonia, se esso viene impostato ed espresso nella modalità della bellezza e della fiducia più che in quella dell’autorità, neutralizzando il consueto e tradizionale paternalismo dell’istituzione scolastica a favore di un rapporto fondato più sull’empatia che sul timore, e quindi su un rispetto basato sulla meraviglia,  che non è rispetto di una gerarchia, ma di un volto e di una persona.

L’eterogeneità culturale degli alunni è quindi esplicitata nei PTOF delle istituzioni scolastiche che ho diretto come una preziosa characteristica della Scuola, essenziale per costruire nuovi orizzonti di senso nelle proposte didattiche, preziosa e imprescindibile risorsa di arricchimento culturale, relazionale e umano, come peraltro recentemente ufficializzato nel documento “Orientamenti interculturali. Idee e proposte per l’integrazione di alunni e alunne provenienti da contesti migratori”, presentato dal Ministro dell’Istruzione a Roma il 17 marzo 2022. Ho avuto il piacere di raccontare il quell’occasione la nostra esperienza di accoglienza e integrazione scolastica, narrando le misure specifiche dedicate agli studenti provenienti da contesti migratori, sia perché nati in Italia da famiglie immigrate, sia perché arrivati per ricongiungimento familiare o perché fuggiti da situazioni di povertà o di guerra. Una delle tante forme possibili di riflessione su una concreta educazione civica oggi è promuovere un rinnovamento della didattica e delle relazioni tra tutti gli studenti in un contesto di crescente pluralismo sociale e culturale.

L’educazione civica è oggi considerata una necessità sociale, come è dimostrato dal recente intervento normativo che l’ha resa obbligatoria nelle scuole e che va in questa direzione di riconoscimento di un’istanza ormai imprescindibile per la ricostituzione di una polis in cui le tensioni sociali e le asimmetrie economiche, unite negli ultimi anni al crescere delle paure, anche irrazionali, hanno reso remota l’armonia e trasformato la città in una realtà fin troppo frammentata.

L’emergenza pandemica ci ha portati a riconsiderare gli spazi e gli ambienti di apprendimento, affinché il profondo cambiamento nella gestione degli stessi al ritorno a scuola con le nuove misure anti-Covid fosse edulcorato con parentesi didattiche ariose e stimolanti.

Recentemente sono stati pubblicati alcuni interessanti testi sulla situazione complessiva della scuola in Italia, con particolare attenzione al tema della valutazione e della gratificazione dei meritevoli.  Uno di questi è Il danno scolastico[1], redatto da Mastrocola e Ricolfi, in cui si rileva come la Scuola abbia perso la sua funzione di ascensore sociale, come si può riscontrare dall’ampliarsi a dismisura della forbice sociale che in Italia da alcuni anni inesorabilmente si allarga sempre più, privando nella concretezza gli studenti delle opportunità di crescita economica e prima ancora intellettuale, demandate sempre di più a realtà esterne alla Scuola e troppo dipendenti dalla situazione economica e sociale di provenienza. La scuola sarebbe vittima di un’ideologia egualitaria che si è diffusa sempre più negli ultimi decenni e che di fatto ha fatto decrescere le aspettative, inducendo i docenti a contenere le valutazioni negative, allo stesso tempo scoraggiando gli studenti più volenterosi e inducendo gli insegnanti a contenere le attese. La tesi del libro è che in questo modo si è andati sempre più nella direzione non di migliorare i livelli di apprendimento di coloro i quali avevano uno scarso rendimento ma di comprimere le prestazioni degli studenti che dalla scuola potevano trarre stimoli essenziali per la loro crescita intellettuale. L’idea universalistica di scuola propria della Costituzione repubblicana viene in tal modo tradita nel suo spirito con un formale ossequio alla lettera che prescrive l’istruzione obbligatoria fino alla maggiore età, con un mero ossequio formale svuotato di contenuti se i livelli di apprendimento si riducono sempre più. Appare un po’ riduttivo sostenere che in tal modo le famiglie più abbienti possano ricorrere a sostegno esterno all’istituzione, perché possono accedere a ripetizioni private mentre gli studenti che provengono da famiglie del sempre più ampio ceto neoproletario non possano consentire ai propri figli le strumento integrativo. A mio parere ciò che caratterizza la scuola è l’esperienza in classe, un’esperienza che non può essere sostituta efficacemente dalle ripetizioni private se non per i contenuti, perdendo il fondamentale portato di socializzazione che anticipata sovrasta l’apprendimento e l’acquisizione delle competenze.

Le vicende politiche degli ultimi anni ci spingono a rilevare come sia cambiata l’idea stessa di appartenenza, di fronte a una accresciuta pluralità di provenienze culturali e di sensibilità. Al legame con una nazione o territorio si sono aggiunti il sentimento (a volte meramente indotto, a volte sinceramente percepito) di essere cittadini europei e del mondo e una spiccata sensibilità ecologica, oltre alla sempre più rilevante cittadinanza e competenza digitale che differenzia ancora di più socialmente ed economicamente i nostri alunni. Se essa è chiaramente distintiva delle nuove generazioni, per le quali è nota e ormai condivisa la definizione di nativi digitali, questa si declina con strumenti che li differenzia in modi percepiti come iniqui in quanto dipendenti dalle provenienze di ciascuno. Troppa rilevanza forse nel volume viene dato a questo determinismo sociale, nel quale non viene dato troppo spazio alla libera scelta degli studenti di utilizzare gli strumenti comunque messi a disposizione dalle scuole e dai nostri docenti, chiaramente influenzati dalle prospettive dei due autori forse troppo modulate su un approccio statistico ed economico alla lettura della società nella quale le scuole si trovano ad operare.

Perché andare ancora a scuola? Un altro testo a cui si può fare riferimento è il recente Perché (non) andare a scuola.[2] Si tratta di un contributo che si basa sull’esperienza scolastica vista dal punto di vista di un docente che, come nel caso del lessico morale che MacIntyre ritiene smarrito nell’incipit del suo volume filosofico Dopo la Virtù, ritiene di aver smarrito il senso della valutazione e più in generale dello stare in classe. L’autore di questo volume considera lo stare a Scuola una continua tensione tra aspettative proprie e aspettative degli studenti, a volte limitate all’utilitaristico riscontro valutativo, a volte  più feconde e intese come concernenti la propria fioritura come persona, al di là dell’esito accademico o professionale dello studio, superando e delegittimando un utilitarismo popolare che appare ormai purtroppo  interiorizzato anche dagli studenti che sin da infanti risentono di una mimesis degli adulti e delle loro aspettative a volte molto invasive per la loro serenità.

Ritengo opportuno cercare strategie esemplari per ricostruire il dialogo, ipotizzando forme nuove di didattica secondo una metodologia che sto cercando di sperimentare con i miei docenti nelle due scuole di cui sono Dirigente Scolastico a Roma, una metodologia pensata e organizzata secondo i principi filosofici derivanti  dall’esemplarismo come pedagogia sviluppata nel contesto dell’etica delle virtù, in particolare dalle filosofe Anscombe, Murdoch, Zagzebsky, che a partire dagli anni ’50 del secolo scorso hanno sviluppato una connessione feconda tra le sfere della relazione, dell’emotività, della paideia. Un tale approccio concreto e proprio per questo filosofico, consente di creare un filo relazionale resistente ed emotivamente proficuo tra persone non distanti. Si inserisce qui in maniera potente la recente questione dell’esemplarismo che ha riproposto Zagzebski nel suo ultimo libro, classificando santi saggi ed eroi come i tre tipi di esemplari più rilevanti per una morale basata sulla mimesis di esistenze eccelse[3].

La fioritura, riproposta oggi in diverse declinazioni dopo che per prima Anscombe la rese popolare attraverso il suo utilizzo del lemma inglese flourishing, è uno strumento espressivo potente e rilevante tanto per la metafisica della persona che per le sue conseguenze normative e pedagogiche. In particolare la dinamica dello stupore, propria come già affermava Aristotele del filosofo, può esercitarsi in maniera ampia e feconda nel volgersi e nell’analizzare questa nozione che attraversa i secoli a partire dalla classica eudaimonia aristotelica, e che oggi è stata indagata da numeri filosofi contemporanei.

Come ho esplicitato in questi anni in numerosi articoli e in momenti di confronto istituzionale, ho voluto sperimentare l’insegnamento strutturale e non sperimentale della Filosofia nelle classi quarte e quinta della scuola primaria nel nostro Istituto comprensivo, strutturando un percorso di formazione continua che potesse innanzitutto rendere gli insegnanti della scuola primaria e secondaria autonomi in un eventuale e sperimentale insegnamento della stessa, dopo una serie di incontri e un’esperienza di tirocinio  guidato in classe, con un prodromico tutoraggio  di docenti universitari. Dopo un voto unanime del Collegio dei docenti che mi ha molto confortato in questa mia intenzione la formazione ha assunto un posto di rilievo in questo lavoro di gestione e di valorizzazione, così come la condivisione di idee e la messa in pratica delle stesse durante una calendarizzazione delle riunioni di Staff che potessero fornire a me e ai docenti un racconto dettagliato del lavoro di questo anno scolastico.

I numerosi segni di frattura comunicativa in atto da alcuni anni tra la Scuola e alcune famiglie, vanno affrontanti da un lato con una decisa ridefinizione dei ruoli e delle responsabilità implicite nel Patto Scuola-Famiglia, ma altresì con un’apertura all’ascolto e al coinvolgimento delle famiglie in progetti e iniziative proposti dalle Istituzioni scolastiche. Queste ultime hanno rappresentato un interessante collante tra i diversi attori del microcosmo scolastico e del più ampio territorio in cui esso è collocato, contemplando la partecipazione degli alunni, dei genitori, degli abitanti dei municipi, delle istituzioni locali e di importanti rappresentanti anche di accademie e di università. Nella nostra scuola abbiamo ad esempio attuato l’organizzazione di un ciclo di conferenze di Filosofia, dal titolo “A scuola con Filosofia” tenute da docenti universitari che, corroborando la parallela offerta di formazione per docenti, potesse offrire agli stessi e all’intera comunità (interessante la presenza anche di anziani, rappresentanti del Municipio e di ex alunni della scuola) un momento di riflessione e soprattutto di dialogo proprio a partire dalla scuola che assurge a vero centro di cultura e di incontri proficui.

Perché andare ancora a scuola, dunque? I nostri studenti percepiscono il rapporto con i docenti come potenzialmente fruttuoso, bello e fonte di rinnovamento interiore, se realmente si concretizza in un’educazione alla meraviglia e all’armonia, se viene impostato ed espresso nella modalità della bellezza e della fiducia più che in quella dell’autorità, neutralizzando il consueto e tradizionale paternalismo dell’istituzione scolastica a favore di un rapporto fondato più sull’empatia che sul timore, e quindi su un rispetto,  non di una gerarchia, ma di un volto riconosciuto e di una persona scelta.

Giovanni Cogliandro

[1] Paola Mastrocola, Luca Ricolfi, Il danno scolastico, La Nave di Teseo 2021.
[2] Pierpaolo Perretti, Perché (non) andare a scuola, Rubbettino 2022.
[3] L. Zagzebski, Exemplarist Moral Theory, Oxford University Press 2017.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

, , Pubblicato da Redazione Tuttoscuola
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