di Tommaso Labate Dimissioni in massa dalla commissione Esteri, il presidente filorusso s’appella alla Consulta Per portarli in trasferta serviva come minimo un pullman. Da ieri è sufficiente una Smart. Per agevolare l’uscita di scena del presidente filorusso Vito Petrocelli, che nonostante l’espulsione dal Movimento continua a occupare un posto in quota Cinque Stelle, i componenti della commissione Esteri del Senato iniziano a dimettersi alla spicciolata. È la mossa che inizia a sbloccare l’impasse e che trascinerà anche Petrocelli fuori dalla presidenza. L’ex pentastellato, rimasto isolato, rimane aggrappato al regolamento di Palazzo Madama, che non consente cambi in corsa non volontari alla guida delle commissioni e annuncia un ricorso alla Consulta. Mentre la presidenza del Senato prenderà atto che non ci sono le condizioni per far lavorare la commissione, la farà decadere e avvierà le nuove procedure perché ne venga composta una nuova di zecca, ovviamente senza Petrocelli. Negli ultimi giorni di presidenza, il senatore contrario all’invio di armi a Kiev — che il 25 aprile aveva esaltato su Twitter la Z del putinismo guadagnandosi l’espulsione dal M5S — non rimarrà da solo. A fargli compagnia, in una formazione che potrebbe viaggiare in una Smart, un altro contrario agli aiuti militari all’Ucraina, anche lui grillino della prima ora, anche lui fuoriuscito. È il senatore Emanuele Dessì, che rappresenterà nella commissione Esteri il neonato gruppo Cal (Costituzione-Ambiente-Lavoro), nuovo tetto sotto il quale convivranno ex pentastellati come Barbara Lezzi, esponenti dell’Italia dei Valori come Elio Lannutti, nonché l’unico rappresentante del Partito Comunista di Marco Rizzo. Che è lo stesso Dessì. «Sono formalmente dentro», dice Dessì. «Il mio gruppo ha compilato le griglie per le commissioni, torno alla commissione Esteri e non mi dimetterò. Pur non essendo filorusso come Petrocelli, rimango al suo fianco in questa battaglia», scandisce al telefono. Più d’un maligno fa notare che anche Dessì, come Petrocelli per la commissione Esteri, declina il rapporto con la poltrona parlamentare in maniera quantomeno creativa. Prima delle elezioni del 2018 era finito nelle prime pagine dei giornali per un video che lo ritraeva insieme a un componente del clan Spada di Ostia, per un vecchio post su Facebook in cui si vantava di aver menato un rumeno che l’aveva insultato (in rumeno), per la manciata di euro che pagava d’affitto per una casa popolare. «Dessì ha rinunciato alla sua candidatura e alla sua eventuale elezione in Parlamento», aveva garantito Luigi Di Maio. L’elezione, da eventuale, si era fatta certa; le dimissioni, quelle no, non erano mai arrivate. E infatti oggi Dessì si ritrova sulla Smart della commissione Esteri, due posti soli, insieme al vecchio amico Petrocelli. «Vogliono farlo fuori per dargli una lezione», dice. «L’altro giorno qualcuno in commissione capigruppo del Senato ha sostenuto che gli altri senatori, con un filorusso alla presidenza, in quella commissione si sentono a disagio. Ma come si fa a usare la parola “disagio”? A disagio, ho risposto io, ci sono gli ucraini che stanno sotto le bombe….». E ancora, qua il senatore comunista assume un tono serio, «la vogliamo dire tutta? A Petrocelli, con questa storia della presidenza della commissione e delle dimissioni di massa, gli hanno già fatto un clamoroso favore. Non lo conoscevano manco nel suo condominio, adesso invece è diventato un personaggio di cui si occupa anche la stampa internazionale». Petrocelli era rimasto isolato come il Gassman de l’Audace colpo dei soliti ignoti, che disperato urlava «m’hanno rimasto solo quei quattro corn…i». Da domani, con Dessì, avrà un compagno di viaggio in questa inedita versione della commissione Esteri a due posti. Come una Smart. 4 maggio 2022 (modifica il 4 maggio 2022 | 23:19) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-05-04 21:19:00, Dimissioni in massa dalla commissione Esteri, il presidente filorusso s’appella alla Consulta, Tommaso Labate