di Alessandro Vinci
L’urban explorer salernitano, ideatore di «Il mio viaggio a New York», racconta la metropoli a 2,7 milioni di follower
Come direbbero da quelle che dal 2011 sono le sue parti, Piero Armenti è un self made man : un uomo che si è fatto da solo. Salernitano classe 1979, da stagista (non retribuito) in una testata online è arrivato a essere il titolare della più grande agenzia di viaggi italiana di New York . Si chiama «Il mio viaggio a New York», proprio come la pagina Facebook aperta nel 2014 in cui viene quotidianamente seguito da oltre 2,7 milioni di follower. Il che ne fa il primo e più noto urban explorer italiano all’estero, perfetto esempio di come i social network, se opportunamente utilizzati, possano integrarsi con l’economia reale rappresentandone una formidabile vetrina. Anche a costo zero.
Quella di Piero è d’altronde una storia comune a tanti, troppi giovani andati a cercare fortuna oltreconfine. Malgrado infatti una laurea in Giurisprudenza, un dottorato in Cultura dei Paesi di lingue iberiche e iberoamericane e un tesserino da giornalista professionista conseguito durante una quinquennale esperienza di vita a Caracas, in Italia aveva trovato le porte sbarrate. E, superati i 30 anni, Salerno iniziava a stargli sempre più stretta: «Non riuscivo a entrare in nessuna redazione — racconta —, perciò quello che mi ha condotto a New York è stata la voglia di cambiare pelle. Di uscire dalla comfort zone per gettarmi a vedere cosa si dicesse al di là dell’oceano, quasi come fossi l’ultimo degli emigranti. Mi sembrava il posto giusto per continuare a coltivare la mia passione per la scrittura, dato che è una città che trae linfa proprio da come viene narrata a livello globale».
La svolta è però arrivata quando ha cambiato settore.
«Era il 2013, mi occupavo di comunicazione per un tour operator internazionale. Insieme a un collega notammo che nessuno offriva ai turisti un tour delle terrazze panoramiche, dove a noi stessi piaceva divertirci dopo il lavoro. Decidemmo quindi di organizzarlo, riscuotendo ottimo successo. In un primo momento continuammo a lavorare dedicando a questa attività soltanto il fine settimana. Poi però mi accorsi che se non ti concentri appieno su qualcosa fatichi a farla crescere. Fu quello il passaggio decisivo: rendermi conto che costruire il futuro sarebbe stato molto più facile se avessi camminato sulle mie gambe».
L’apertura della pagina Facebook faceva quindi parte della strategia di business?
«All’inizio no, ma poi è diventata una leva fondamentale. Dopo il mio trasferimento a New York molti erano curiosi di sapere cosa facessi e come passassi le giornate. Anziché rispondere singolarmente pensai dunque di aprire una pagina, e vidi che cominciò subito a macinare numeri. Di fatto mi ritrovai quindi punto e a capo: “Piero vengo a New York — mi scrivevano gli utenti —, quali hotel mi consigli? Dove posso andare a mangiare la pizza?”. Lì capii che Facebook avrebbe potuto rappresentare il volano ideale per fondare la mia agenzia per italiani. Iniziai con il già collaudato tour dei rooftop, oggi invece il catalogo annovera centinaia di esperienze diverse».
C’è un segreto alla base di una simile crescita?
«Diciamo che se decidi di visitare la città cerco di accerchiarti da tutte le parti: vai su Facebook o YouTube e trovi i miei video, vai su Google e trovi il sito, vai in libreria e trovi i miei romanzi (Una notte ho sognato New York e Se ami New York, entrambi editi da Mondadori, ndr) e la mia guida (Il mio viaggio a New York, Newton Compton, ndr). Alla fine però la forma di pubblicità più importante resta il passaparola: le persone vengono da noi perché lavoro in questo campo da anni, ci metto la faccia e nel nostro ufficio vicino a Times Square siamo a disposizione per aiutare a risolvere qualsiasi problema. Ormai abbiamo una funzione quasi “consolare”».
Con il tempo comunque le persone hanno iniziato a seguirla anche solo per essere partecipi della sua quotidianità. Come se lo spiega?
«Credo che la pandemia abbia giocato un ruolo decisivo. Durante il lockdown non si poteva uscire, per cui iniziai a girare video relativi a momenti più ordinari, più personali. In ogni caso anche negli aspetti più banali il mio intento è sempre stato quello di trasmettere qualcosa della cultura locale. Penso a quella volta in cui feci assaggiare ai miei genitori la “lasagna” in barattolo, emblema di come gli americani abbiano la mania di inscatolare tutto e mangiarlo così, un po’ come viene…».
Com’era New York ai tempi del Covid?
«Spettrale, vuota, quasi post apocalittica. Eppure con un suo fascino, così in contrasto com’era con i suoi consueti affollamenti. Ciò detto, mi auguro naturalmente di non vederla più tanto deserta».
Come godersi al massimo la città, magari lontano dai percorsi più battuti?
«Girandola a piedi, perdendosi nei suoi angoli nascosti. In questo modo si troverà sempre qualcosa di diverso e interessante da fare, come per esempio provare l’incredibile quantità di cucine etniche presenti in ogni quartiere».
Quali ambiti possono offrire più opportunità nella Grande Mela?
«Chi è poco qualificato muove di solito i primi passi nel mondo della ristorazione. Ciò che tuttavia contraddistingue New York anche rispetto alle altre metropoli degli Stati Uniti è il dinamismo del suo mercato del lavoro: magari inizi come cameriere, poi ti metti a vendere macchine, dopodiché fai il concierge in un hotel e così via. L’importante è mantenere sempre vivo l’entusiasmo, vera moneta di scambio: più ne doni alla città e più ti ritorna indietro sotto forma di offerte e di networking di livello internazionale».
Cosa pensa che l’Italia dovrebbe imparare da New York e viceversa?
«Noi dovremmo assorbire l’ingenuo ma potentissimo ottimismo americano: la tendenza ad avere sempre fiducia nel futuro anche malgrado le profonde contraddizioni che caratterizzano questo Paese. Ai newyorkesi invece manca la capacità di godere delle piccole cose, di assaporare la “dolce vita”: quell’oziare all’italiana che in realtà ti arricchisce tantissimo».
Progetti futuri?
«Sto valutando di investire in un’attività di ristorazione in Italia con alcuni soci, ma non c’è ancora nulla di definito. Inoltre espanderò l’agenzia: oltre a organizzare almeno un viaggio dall’Italia al mese, apriremo una piattaforma tramite cui offriremo tour, attività e servizi in tutte le più belle città del mondo. A ben vedere anch’io a volte dovrei fermarmi per guardarmi indietro e realizzare quanta strada ho fatto».
8 agosto 2022 (modifica il 9 agosto 2022 | 00:36)
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, 2022-08-09 05:26:00, L’urban explorer salernitano, ideatore di «Il mio viaggio a New York», racconta la metropoli a 2,7 milioni di follower, Alessandro Vinci