Pif: «L’amore è un prodotto del caso. Non volevo essere padre né a 30 né a 40 anni a 50 però…»

Pif: «L’amore è un prodotto del caso. Non volevo essere padre né a 30 né a 40 anni a 50 però…»

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di Micol Sarfatti

Regista e «scrittore di passaggio», torna in cima alle classifiche con un libro che parla di anime gemelle. «Il segreto è proteggere la propria, sapendo che siamo tutti circondati da decine di possibilità. Più che tante app per gli incontri, ne servirebbe una per far durare le relazioni».

Milano, interno giorno in una giornata grigia. In una stanza inondata di una strana luce color latte Pierfancesco Diliberto, in arte Pif, tiene in mano per la prima volta la copia di La disperata ricerca d’amore di un povero idiota (Feltrinelli), il suo nuovo romanzo, il secondo dopo il successo di … che Dio perdona a tutti, uscito nel 2018. «Questi cuori in rilievo sono bellissimi, forse basta guardarli. Non serve nemmeno leggere il contenuto», scherza sgranando gli occhi azzurrissimi e accarezzando la copertina. Nelle pagine sotto il cartone bianco lucido c’è la storia di Arturo Giammaresi, quarantenne alla disperata ricerca dell’amore. Per trovarlo si affida alla app inventata da un ex compagno di scuola, Gianfranco Zamboni, che gli propone ben 7 anime gemelle sparse per il mondo, da Dubai alla Groenlandia, passando per il Salento. Almeno una di queste sarà quella giusta? «Però io non mi sento scrittore», precisa Pif, «Ho troppo rispetto per chi lo è davvero, io sono di passaggio». Se non scrittore per definizione, è molte altre cose: autore televisivo, regista – premiato con il David di Donatello nel 2014 – attore, conduttore radio e tv, sostenitore della lotta alla mafia, della richiesta di verità per Giulio Regeni e, da due anni, padre di Emilia.

Perché un libro sull’amore?

Sembra un tema lontano dalle sue corde. «Forse perché sono invecchiato ( ride ). In realtà sono sempre stato colpito dalla casualità dell’amore. Negli Anni 90 ho vissuto per un periodo a Londra, pensavo che mi sarei potuto trasferire all’improvviso in Spagna o in Polonia, a seconda di chi mi sarei innamorato. L’imprevedibilità degli incontri e delle relazioni è una delle mie ossessioni. Ho conosciuto la madre di mia figlia (Nabila Ben Chahed ndr ) nel 2018 alla presentazione di ... che Dio perdonaa tutti a Torino. Lei non doveva essere lì. Era uscita con un’amica, hanno attraversato per caso una via e hanno visto la folla davanti al Circolo dei Lettori, dove si teneva l’incontro. Si sono incuriosite e si sono messe in coda. Sono state le ultime due ad entrare, poi la sala ha raggiunto la capienza massima. Se fossero rimaste fuori oggi non ci sarebbe Emilia. Ho provato a immaginare cosa potrebbe succedere se un’ applicazione ci desse addirittura 7 opzioni di potenziali anime gemelle. Perché ne sceglieremmo una anziché un’altra? Poi possiamo anche convincerci di averla trovata, ma è evidente che ci sono decine di probabili grandi amori. Se ci pensiamo bene ci accorgiamo che è impossibile dare una definizione univoca di “amore”, perché siamo noi i primi a cambiare in continuazione, a evolverci. Esistono persone giuste incontrate al momento giusto e persone giuste incontrate al momento sbagliato. Quando iniziamo a ragionare troppo su un partner vuol dire che non siamo più innamorati».

Sta già scivolando nel cinismo?

«No, voglio provare a non essere cinico però, oggettivamente, siamo circondati da potenziali anime gemelle. Alla fine la vera difficoltà non è trovare l’amore, ma farlo durare. Ecco più che le app per incontri ci vorrebbero le app per non far esplodere le coppie». Lo scorso anno ha diretto il film E noi come stronzi rimanemmo a guardare , in cui rifletteva sull’impatto, a suo parere non positivo, della tecnologia nel mondo del lavoro. Le piattaforme di dating non le fanno altrettanta paura? «Un po’ meno, perché non c’è grande differenza nell’incontrare una persona tramite un amico o un algoritmo. In amore il “chi” conta più del “come”. Se sei credente pensi che quella persona te l’abbia mandata Dio, se sei romantico pensi sia stato il destino».



Appartiene alla prima o alla seconda categoria?

«A nessuna delle due. Non sono né religioso, né romantico. Sono un diversamente romantico che per la prima volta prova a raccontare l’amore e lo fa con il punto di vista della casualità».

Nei suoi film, in cui pure parla di mafia, guerra o attualità, l’amore c’è sempre stato.

«Solo come pretesto narrativo. Non ci ho mai riflettuto veramente prima di questo romanzo».

L’anima gemella però l’avrà cercata pure lei.

«Sono onesto. Non avrei mai voluto una figlia a 30 anni. E nemmeno a 40. Non ne ho mai avuto davvero il desiderio fino a qualche anno fa. Sono stato a lungo molto bene da solo, pur sapendo che un single felice non starà mai bene come una coppia felice. Però mi andava bene così. Mi piaceva farmi i fatti miei. A lungo la mia fase preferita nelle relazioni è stata quella del corteggiamento, quasi non arrivavo a concludere tanto mi appagava quel momento. C’era uno strano meccanismo per cui sapevo di piacere alle donne perché ero timido, ma siccome ero timido non concludevo mai. Quando il mio lavoro mi ha reso riconoscibile il gioco si è un po’ falsato, all’inizio la fama mi aiutava, poi è diventata controproducente. Arrivato sulla soglia dei 50 anni, senza nemmeno bisogno di impormelo, sono cambiato».

Abbiamo la sensazione di esserci emancipati dall’amore. I single aumentano, tanti rivendicano la possibilità di sentirsi realizzati anche senza l’altra metà della mela. Eppure, alla fine, torniamo sempre a parlare di sentimenti. Perché?

«Siamo molto condizionati dalla società, soprattutto in Italia. La coppia e la famiglia sono percepite come un percorso obbligato. È il peso che sente anche Arturo. Una donna non può ancora permettersi di dire serenamente che non vuole figli. O meglio, può, ma sapendo che si porterà sempre addosso il peccato originale di non essere come gli altri vorrebbero che fosse. In Nord Europa ci sono ragazze che fanno figli con donatori se non hanno un compagno, da noi è impensabile. Io sono diventato padre a 48 anni con grande serenità perché sono un uomo e non alludo solo all’aspetto biologico, ma soprattutto a quello sociale».

Perché i protagonisti dei suoi libri e dei suoi film si chiamano sempre Arturo e Flora?

«È nato tutto da uno scherzo. Dovevo inventare i nomi per i personaggi de La mafia uccide solo d’estate e mi è tornata in mente una foto della mia nipotina Flora, che ai tempi aveva due anni, e di Arturo il figlio di un’amica, suo coetaneo. Lui cercava di darle un bacino e lei si voltava dall’altra parte. Era una foto buffa, tenera. Ora che ci penso, forse la riflessione sull’amore è nata inconsciamente allora».

Vede, si riflette sull’amore più di quanto ci si immagini.

«Però ne La disperata ricerca d’amore di un povero idiota non c’è nessuna Flora, sennò si capiva subito come andava a finire».

Non vuole definirsi scrittore, ma questo è il suo terzo libro.

«E per tre volte mi sono detto “mai più” e ho chiesto al mio editore di dimenticarmi. Poi quando ho il volume in mano, come in questo momento, cambio idea e sono felice. Scrivere è una delle attività più stancanti del mondo, sei perennemente in preda a un senso di nausea. Chiudi un capitolo, festeggi, poi ti ricordi che ce ne sono almeno altri dieci. Sei solo davanti a un computer, ma quando finisci è una magia. Perché il libro ti fa incontrare le persone, ti porta nelle libreria, ai festival. E bellissimo poter guardare negli occhi chi è uscito di casa per ascoltarti. Al cinema non accade».

Quindi Pif: professione?

«Autore e regista. Scrivo anche soggetti di film e romanzi, ma ripeto, non mi definirò mai scrittore. L’importante è avere qualcosa da dire, il mezzo è secondario e il pubblico, alla fine, decide quello che ti rappresenta di più».

Ne La disperata ricerca d’amore di un povero idiota Gianfranco Zamboni rimprovera ad Arturo di «vivere l’amore come un problema, che vuol dire vivere la vita come un problema». Capita anche a lei?

«Sì, confesso. Questa è una frase detta da Chiara, un’amica leccese, non a caso la cito nei ringraziamenti del libro. Mi è arrivata come un pugno. Per me l’amore è un equilibrio difficilissimo, si crea solo se le parti della coppia imparano a cedere un po’. Per continuare con le citazioni, Herman Hesse scrive: “Ogni amore ha la sua tragicità, ma questo non è un buon motivo per non amare più”. Sono molto d’accordo, quando si sta insieme si coltiva inevitabilmente un po’ di tragicità: si insegue la perfezione, ci si interroga di continuo, ma l’amore è una delle tante cose della vita e come tale va vissuto. Non bisogna diventare eccessivi».

Cioè?

«Ci sono persone che usano la tragicità come carburante per i rapporti. Per me è impensabile, vuol dire sfinirsi».

Quante anime gemelle esistono allora? Almeno 7 come nel suo romanzo?

«Forse anche di più. Sicuro non una sola. Il segreto è proteggere la propria, sapendo che entrambe le parti sono circondate da decine di amori potenziali. È uno stimolo per rendersi sempre più anime gemelle delle altre. L’amore è un lavoro. L’incontro è solo l’inizio, quando il rapporto cresce inizia l’agonismo, che non va trasformato in agonia».

Lei è padre, ha compiuto 50 anni, lavora in campo artistico da più di 20 anni, eppure sembra avere sempre uno sguardo incantato, quasi naif, sulle storie e le persone. Come fa?

«Forse sono solo immaturo. Scherzi a parte, penso sia merito del mio lavoro. È l’antidoto alla noia e alla vecchiaia mentale. Fino a dieci anni fa quando leggevo che un artista stimato stava diventando padre temevo smettesse di esprimersi. Ho avuto la stessa paura per me, ma, per fortuna, non è accaduto. La gestione di un bambino piccolo non è semplice, a volte mi sento più un amministratore delegato che un autore, però non ha spento la mia creatività. Non riesco a vivere il mio mestiere come un semplice mezzo per campare, è la mia ricreazione, un pezzo importantissimo di me».

Ha intervistato due volte Giorgia Meloni, ben prima che diventasse la presidente del Consiglio, per i suoi programmi Il testimone e Il candidato. Che ricordo ha?

«Quando ci siamo incontrati per la prima volta era ministro della Gioventù e la intervistai insieme a Matteo Renzi, allora sindaco di Firenze. Erano due giovani politici promettenti, sono diventati entrambi presidenti del Consiglio. Ci avevo visto giusto! Come noto, il mio pensiero è molto lontano dalla Destra, Meloni però mi ha sempre incuriosito. È una donna autoironica, divertente. Cambia tono quando entra nel ruolo pubblico, ma nel privato accorcia le distanze. Penso che se ci facessimo la promessa di non parlare mai, nemmeno per un secondo, di politica potremmo andare in vacanza insieme e divertirci molto. Apprezzo il suo saper mostrare le emozioni, non ha l’incubo di dover nascondere le debolezze. Renzi invece era uguale nella versione pubblica e privata, sempre arrogante ( ride). Però mi aveva colpito per quello, era coerente con sé stesso, credeva in quello che diceva. Forse poi ha esagerato con l’arroganza».

La Sinistra italiana è in crisi di identità?

«In questo momento la Sinistra è fuori luogo. La Destra evidenzia problemi reali, poi li strumentalizza e avanza soluzioni orrende, ma propone temi concreti. La Sinistra risponde con piani nobilissimi totalmente scollati dalla quotidianità. Non puoi proporre la patrimoniale per arginare la crisi. È fuori contesto. Non dice cose sbagliate, ma le dice nel momento sbagliato. È un discorso simile a quello che facevamo per le anime gemelle perdute: persone giuste nel momento sbagliato».

La politica e l’amore si assomigliano più di quanto pensiamo?

«In politica e in amore contano le scelte giuste al momento giusto e non si può mai dare nulla per scontato. Mai rilassarsi e pensare “ormai è fatta” perché perdere il consenso è molto facile. Vietato “assettarsi”, come si dice a Palermo. Nella vita le cose importanti devono essere tutte molto scomode».

2 dicembre 2022 (modifica il 2 dicembre 2022 | 09:18)

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, 2022-12-02 08:20:00, Regista e «scrittore di passaggio», torna in cima alle classifiche con un libro che parla di anime gemelle. «Il segreto è proteggere la propria, sapendo che siamo tutti circondati da decine di possibilità. Più che tante app per gli incontri, ne servirebbe una per far durare le relazioni»., Micol Sarfatti

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