Pnrr fantasma e i tanti progetti dimenticati

Pnrr fantasma e i tanti progetti dimenticati

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zona franca Mezzogiorno, 21 aprile 2022 – 09:49 di Eduardo Cicelyn Quando de Magistris, undici anni fa, fu eletto sindaco la prima volta, dichiarò che di lì a poco avrebbe inaugurato un museo della tradizione popolare, confortato dal prestigioso parere di Roberto De Simone, maestro napoletano del genere. L’ex presidente dell’autorità portuale Pietro Spirito, cinque anni fa, all’indomani della sua nomina, annunciò in pompa magna la nascita di un museo del mare nei Magazzini Generali, il vecchio edificio del Canino davanti alla Stazione Marittima. Qualcuno si chiederà perché i due musei non hanno mai visto la luce: forse per incapacità amministrative? O forse perché i progetti erano fasulli? Tuttavia, pensateci su, nessuno ha più memoria di quelle promesse altisonanti fuori luogo e fuori tempo, perché se ne smise piano piano di parlare. De Magistris si dedicò nei suoi dieci anni di governo allo sfruttamento intensivo di ogni nuova risorsa folcloristica pur di farsi inquadrare da protagonista nella cartolina della città; Spirito, dimenticato non appena sostituito, si distinse per la creazione di «Porto Aperto», una specie di celebrazione pseudo turistica dello scalo napoletano, poco originale già dal titolo. Per fatto personale ricordo infine un’ex assessora della Regione Campania che annunciò ai quattro venti la sponsorizzazione del museo Madre da parte di una fabbrica di missili da guerra. Se ne discusse e si litigò molto. Fu una disputa surreale. E inconcludente. Non si vide un euro. Ne è passata di acqua sotto i ponti, eppure il nostro dibattito culturale sembra proiettarsi di nuovo nella realtà parallela di progetti e annunci che tra qualche anno saranno inevitabilmente conferiti nella pattumiera della dimenticanza. È come se i rappresentanti più accreditati delle istituzioni cittadine, politiche e culturali, non avessero alcun pensiero, anzi alcun sentimento della contemporaneità in cui vivono e operano. Non dico del futuro, dico del presente. Il sindaco di oggi si ostina a parlare di un ente comunale che farà da regia per le iniziative che sorgeranno da un’ipotetica comunità di soggetti produttivi, senza fornire un ragionamento o almeno uno slogan su cui far convergere gli sforzi creativi richiesti. Ammesso che ci sia nella proposta qualcosa di concettualmente diverso dal confusionarismo spontaneista della stagione demagistrisiana, cioè che la chiamata di Manfredi non ne sia soltanto la versione perbenista per matricole universitarie alle prese con piani di studio da farsi approvare, resterebbe da capire perché i privati chiamati a sottomettersi al Comune debbano fidarsi di un’istituzione che non si è mai distinta per capacità organizzative. Dopo la mega riunione in palazzo San Giacomo con i direttori dei musei nazionali, si torna a parlare anche della futura Fondazione dei musei cittadini, il costituendo organismo a cui dovrà essere assegnata la gestione finanziaria e culturale di tutti i siti comunali, già annunciata al Mercadante da Manfredi qualche settimana fa. Con quali e quanti risorse si farà è il dettaglio nascosto, mentre si continua, anzi si rilancia, sul tema di una pianificazione a lungo termine degli eventi e di una cabina di regia in sede comunale per concordare e scadenzare il contributo dei musei nazionali, anch’essi però senza soldi e dunque impossibilitati a programmare. La butto giù così come mi viene, sperando di sbagliarmi. A me sembra che a Napoli, nei luoghi del potere, si sia diffusa la sindrome del Pnrr fantasma. È tutto un prevedere, condividere, calendarizzare qualcosa che non c’è, che non si pensa, che non si vede, ma che si spera prima o poi accadrà in una forma o in un’altra. A differenza delle promesse mancate e dimenticate dei tempi andati, qui sembra che il generico e prosperoso avvenire delle politiche culturali cittadine sia solo un buon auspicio, che esiste e resiste in quanto annuncio da procrastinare all’infinito. Non un oggetto ma una rete, non un testo ma una regia, non un progetto a lunga scadenza ma un concetto già scaduto. In effetti, Manfredi non nasconde il problema. Ora come ora non ci sono soldi per la cultura. Insomma, in qualunque modo si farà la politica del settore a Napoli nasce come cosa astratta, impalpabile. Al momento confinata nel regime simbolico delle poltrone da assegnare. La polemica registrata sulla nuova composizione del cda dello Stabile è il primo piccolo segnale d’allarme. Qualche giorno fa ho avuto l’ardire di porre un paio di domande su Evelina Christillin. Mi sono chiesto il perché di una nomina che appare fuori contesto. Le obiezioni ricevute confermano i miei dubbi. Si dice: «Finalmente un nome fuori dal coro locale, finalmente una persona competente con standing internazionale». Bisogna immaginare che a Patrizia de Mennato e Franco Iacono siano giunte notizie sbagliate. La signora Evelina non è la nuova direttrice del Mercadante e neanche la responsabile dell’ufficio del cerimoniale o delle relazioni esterne. Entra molto più semplicemente nell’organismo presieduto da un magistrato, che approva il bilancio dell’ente e ratifica il programma artistico del direttore dello Stabile. Supporre o sperare che nella scelta della Christillin ci sia qualcosa di diverso e di più importante falsifica in premessa gli argomenti dei miei obiettori e serve a non vedere il senso di una decisione senza rilevanza pratica, simbolica dell’esercizio di una politica modesta alla ricerca impossibile dei tre quarti di nobiltà mancanti. Qualcosa di cui presto smetteremo di parlare, qualcosa che prima o poi dimenticheremo. 21 aprile 2022 | 09:49 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-04-21 07:51:00, zona franca Mezzogiorno, 21 aprile 2022 – 09:49 di Eduardo Cicelyn Quando de Magistris, undici anni fa, fu eletto sindaco la prima volta, dichiarò che di lì a poco avrebbe inaugurato un museo della tradizione popolare, confortato dal prestigioso parere di Roberto De Simone, maestro napoletano del genere. L’ex presidente dell’autorità portuale Pietro Spirito, cinque anni fa, all’indomani della sua nomina, annunciò in pompa magna la nascita di un museo del mare nei Magazzini Generali, il vecchio edificio del Canino davanti alla Stazione Marittima. Qualcuno si chiederà perché i due musei non hanno mai visto la luce: forse per incapacità amministrative? O forse perché i progetti erano fasulli? Tuttavia, pensateci su, nessuno ha più memoria di quelle promesse altisonanti fuori luogo e fuori tempo, perché se ne smise piano piano di parlare. De Magistris si dedicò nei suoi dieci anni di governo allo sfruttamento intensivo di ogni nuova risorsa folcloristica pur di farsi inquadrare da protagonista nella cartolina della città; Spirito, dimenticato non appena sostituito, si distinse per la creazione di «Porto Aperto», una specie di celebrazione pseudo turistica dello scalo napoletano, poco originale già dal titolo. Per fatto personale ricordo infine un’ex assessora della Regione Campania che annunciò ai quattro venti la sponsorizzazione del museo Madre da parte di una fabbrica di missili da guerra. Se ne discusse e si litigò molto. Fu una disputa surreale. E inconcludente. Non si vide un euro. Ne è passata di acqua sotto i ponti, eppure il nostro dibattito culturale sembra proiettarsi di nuovo nella realtà parallela di progetti e annunci che tra qualche anno saranno inevitabilmente conferiti nella pattumiera della dimenticanza. È come se i rappresentanti più accreditati delle istituzioni cittadine, politiche e culturali, non avessero alcun pensiero, anzi alcun sentimento della contemporaneità in cui vivono e operano. Non dico del futuro, dico del presente. Il sindaco di oggi si ostina a parlare di un ente comunale che farà da regia per le iniziative che sorgeranno da un’ipotetica comunità di soggetti produttivi, senza fornire un ragionamento o almeno uno slogan su cui far convergere gli sforzi creativi richiesti. Ammesso che ci sia nella proposta qualcosa di concettualmente diverso dal confusionarismo spontaneista della stagione demagistrisiana, cioè che la chiamata di Manfredi non ne sia soltanto la versione perbenista per matricole universitarie alle prese con piani di studio da farsi approvare, resterebbe da capire perché i privati chiamati a sottomettersi al Comune debbano fidarsi di un’istituzione che non si è mai distinta per capacità organizzative. Dopo la mega riunione in palazzo San Giacomo con i direttori dei musei nazionali, si torna a parlare anche della futura Fondazione dei musei cittadini, il costituendo organismo a cui dovrà essere assegnata la gestione finanziaria e culturale di tutti i siti comunali, già annunciata al Mercadante da Manfredi qualche settimana fa. Con quali e quanti risorse si farà è il dettaglio nascosto, mentre si continua, anzi si rilancia, sul tema di una pianificazione a lungo termine degli eventi e di una cabina di regia in sede comunale per concordare e scadenzare il contributo dei musei nazionali, anch’essi però senza soldi e dunque impossibilitati a programmare. La butto giù così come mi viene, sperando di sbagliarmi. A me sembra che a Napoli, nei luoghi del potere, si sia diffusa la sindrome del Pnrr fantasma. È tutto un prevedere, condividere, calendarizzare qualcosa che non c’è, che non si pensa, che non si vede, ma che si spera prima o poi accadrà in una forma o in un’altra. A differenza delle promesse mancate e dimenticate dei tempi andati, qui sembra che il generico e prosperoso avvenire delle politiche culturali cittadine sia solo un buon auspicio, che esiste e resiste in quanto annuncio da procrastinare all’infinito. Non un oggetto ma una rete, non un testo ma una regia, non un progetto a lunga scadenza ma un concetto già scaduto. In effetti, Manfredi non nasconde il problema. Ora come ora non ci sono soldi per la cultura. Insomma, in qualunque modo si farà la politica del settore a Napoli nasce come cosa astratta, impalpabile. Al momento confinata nel regime simbolico delle poltrone da assegnare. La polemica registrata sulla nuova composizione del cda dello Stabile è il primo piccolo segnale d’allarme. Qualche giorno fa ho avuto l’ardire di porre un paio di domande su Evelina Christillin. Mi sono chiesto il perché di una nomina che appare fuori contesto. Le obiezioni ricevute confermano i miei dubbi. Si dice: «Finalmente un nome fuori dal coro locale, finalmente una persona competente con standing internazionale». Bisogna immaginare che a Patrizia de Mennato e Franco Iacono siano giunte notizie sbagliate. La signora Evelina non è la nuova direttrice del Mercadante e neanche la responsabile dell’ufficio del cerimoniale o delle relazioni esterne. Entra molto più semplicemente nell’organismo presieduto da un magistrato, che approva il bilancio dell’ente e ratifica il programma artistico del direttore dello Stabile. Supporre o sperare che nella scelta della Christillin ci sia qualcosa di diverso e di più importante falsifica in premessa gli argomenti dei miei obiettori e serve a non vedere il senso di una decisione senza rilevanza pratica, simbolica dell’esercizio di una politica modesta alla ricerca impossibile dei tre quarti di nobiltà mancanti. Qualcosa di cui presto smetteremo di parlare, qualcosa che prima o poi dimenticheremo. 21 aprile 2022 | 09:49 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,

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