di Giovanni Bianconi
L’ultima grana riguarda la cosiddette «porte girevoli» tra politica e magistratura, Oggi voto in Consiglio dei ministri. Anche Draghi aveva chiesto «coerenza»
L’accelerazione del governo sulla riforma della giustizia per farla approvare al Consiglio dei ministri di oggi si scontra con l’altolà dei partiti. L’ultima grana riguarda la cosiddette «porte girevoli» tra politica e magistratura, cioè il rientro in servizio delle toghe dopo una parentesi in Parlamento o nei Consigli regionali o comunali, ma anche al governo, nazionale o locale che sia: ministri, sottosegretari, assessori. Alla fine la stretta si applicherà a tutti, proprio per le pressioni arrivate dal Parlamento e per una «coerenza» richiesta dallo stesso premier Draghi. La proposta iniziale alle forze politiche dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia prevedeva il divieto di rifare il giudice o il pubblico ministero solo per le «cariche elettive», non per chi è chiamato a far parte di un esecutivo senza passare dalle urne.
Ma dopo l’allarme lanciato dal deputato di Azione Enrico Costa («un magistrato potrà tranquillamente fare l’assessore regionale, il ministro o il sottosegretario e tornare a fare il pm») si sono sollevati prima i grillini e poi Forza Italia: così non va. «Si tratterebbe di norme ad personam e ne abbiamo già avute abbastanza in passato», spiega la responsabile giustizia dei Cinque Stelle Giulia Sarti. Alla quale si aggiunge il coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani: «Se un magistrato decide di fare politica a qualsiasi livello, e viene eletto o fa il ministro o il sottosegretario, non può ritornare a fare il magistrato».
Il riferimento a cariche di governo e norme ad personam riguarda Roberto Garofoli, sottosegretario alla presidenza del Consiglio (che ha discusso della riforma con la Guardasigilli), e la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, entrambi giudici del Consiglio di Stato. Ma potrebbe estendersi ai capi di gabinetto e altre funzioni di stretta collaborazione con istituzioni politiche o amministrative. Tuttavia già nel disegno di legge dell’ex ministro della Giustizia pentastellato Alfonso Bonafede in discussione alla Camera (la riforma Draghi-Cartabia sarà un emendamento a quel testo) è prevista una norma transitoria per specificare che le nuove regole non sono retroattive, e dunque non si applicano a chi attualmente è fuori ruolo per questi motivi. Nessuna questione personale, dunque. Ma ormai la polemica s’era innescata e, ieri sera, si è arrivati alla proposta di limitazioni fino ai capi di gabinetto, per i quali ci sarebbe comunque un periodo di «decantazione». Con la speranza che la soluzione vada bene a tutti i partiti della maggioranza. Che comunque restano su posizioni diverse, anche perché si sta trattando materia scivolosa sul piano costituzionale.
L’articolo 51 della Carta prevede che chi assume «funzioni pubbliche elettive ha diritto di conservare il suo posto di lavoro». Secondo la proposta Cartabia, i magistrati dovranno invece ricollocarsi presso uffici non direttamente coinvolti nei processi, poiché ne verrebbe comunque minata l’immagine di indipendenza. Prevedere la restrizione anche a chi non partecipa a competizioni elettorali ma viene chiamato a collaborare per le proprie competenze tecniche, è un’ulteriore forzatura sulla quale era perplesso il Pd, che invoca comunque «paletti severi»: no alla contemporaneità tra carica elettiva e funzione giudiziaria, no a candidature nello stesso distretto in cui si è esercitata la funzione e «regole stringenti» per il ritorno in ruolo, ma nel rispetto della Costituzione.
Problemi di costituzionalità vengono evocati anche per ciò che riguarda la riforma del Consiglio superiore della magistratura. L’ultima proposta di Cartabia prevede una legge elettorale della componente togata (che salirebbe a 20 consiglieri, mentre 10 diventerebbero quelli scelti dal Parlamento) secondo un sistema maggioritario binominale con una quota di proporzionale, per ridurre il peso delle correnti e garantire maggiore pluralismo e contendibilità dei seggi, anche da candidati singoli . Ma Lega e Forza Italia insistono per il sorteggio (sia pure «temperato»: estrazione a sorte di una platea di potenziali candidati da mandare alle urne); una vecchia idea grillina, poi abbandonata da Bonafede. Ma la ministra ha già ribadito il contrasto di una simile ipotesi con l’articolo 104 della Costituzione, che parla di togati «eletti» da tutti i magistrati, senza altre specificazioni o limitazioni.
10 febbraio 2022 (modifica il 10 febbraio 2022 | 22:24)
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