Quando il duca e la duchessa d’Aragona sentono parlare di don Chisciotte e dello scudiero Sancho Panza vogliono burlarsi di loro e così creano false avventure per i due bizzarri protagonisti del romanzo di Cervantes. Tra questi inganni c’è quello di assegnare a Sancho ciò che ha sempre desiderato e che il suo padrone gli ha promesso per i suoi servigi: un’isola.
E così i duchi affidano a Sancho la fantomatica isola di Barattaria, finzione che lui crede reale perché viene insediato in un sontuoso palazzo — si tratta solo di uno dei palazzi dei duchi in un abitato di mille abitanti — da cui governare ciò che non ha mai visto di persona. L’episodio di Sancho, nella seconda parte del capolavoro di Cervantes, mi è tornato in mente come sintesi di una campagna elettorale fatta di promesse spesso illusorie e di politici che non sono diversi da noi che ce ne lamentiamo sempre, ma rispecchiano, nel bene e nel male, chi e come siamo.
Così un contadino si ritrova governatore di un’isola che è solo la finzione creata dai veri potenti per farsi beffe di lui che si illude di poterla amministrare standosene a palazzo, tanto da scrivere alla moglie: «Tra pochi giorni partirò per il governo, a cui vado con un vivissimo desiderio di far quattrini». L’episodio mette a nudo, con tragica ironia, sia il volto stupido sia quello oppressivo del potere. Come va a finire?
Il potere (come sostantivo) serve a porre altri in condizione di potere (come verbo). Il mio potere di insegnante ha lo scopo di mettere i miei studenti in condizione di poter essere se stessi e procurarsi autonomamente ciò che serve per riuscirci per poi mettersi, con la loro unicità, a servizio della società. Se il potere non ha questo effetto generativo, diventa controllo ed è degenerativo: non rende l’altro se stesso ma lo usa e lo rende impotente, sterile.
La politica è quindi quella parte delle creazioni umane (cultura) che consente di armonizzare l’unicità dei singoli con la società: dà la possibilità di scoprire e mettere al servizio della comunità il modo irripetibile in cui l’umano si realizza in ciascuno di noi. Se questo non accade è perché il potere è tanto tirannico quanto burocratico, cioè per chi lo detiene è «il potere per il potere», il fine è affermare se stessi e la comunità un mezzo, per chi è sottomesso è «il potere di nessuno», che ostacola e blocca l’iniziativa personale perché non ha nessun desiderio che altri abbiano potere.
Se è vero che la politica serve a incoraggiare la creatività e l’azione personali, liberandole da ciò che le blocca, allora oggi la politica conosce una crisi profonda. A scuola, per esempio, ci sono problemi incancreniti da decenni che, seppur evidenti, non vengono affrontati: lo Stato si riduce a un participio passato. Di fronte all’impossibilità di risolvere questi problemi con un po’ di coraggio e buon senso, il popolo si disaffeziona alla politica che appare superflua e diventa propaganda, come dimostra una campagna elettorale ridotta spesso a televendita. Invece il politico, e in generale qualsiasi creatore, è colui la cui immaginazione e opera sono capaci di attivare l’azione assopita degli altri uomini, accendendo focolai creativi: genera perché è generoso.
In queste settimane ho visto pochi atti creativi che metteranno in moto un futuro e molte promesse di «piacere». Il piacere è la strategia della natura per l’autoconservazione, l’azione politica è chiamata invece ad andare oltre il mantenimento dei più forti e a spezzare con il nuovo (dalla ruota alla democrazia, dal fuoco alla letteratura) le catene del «è tutto inutile».
Oltre alla rara presenza di un discorso che esuli dal pragmatismo dell’immediato di stampo quasi esclusivamente economico, non ho ascoltato quasi nulla di «creativo» nei due ambiti culturali su cui misuro la civiltà di una società: ospedali e scuole. I luoghi della cura rendono subito evidente quanto si è capaci di guidare una comunità. Oggi per fare un esame clinico urgente bisogna aspettare mesi, vari studenti hanno iniziato l’anno scolastico senza i professori di alcune materie, diversi alunni con bisogni specifici non hanno l’insegnante di sostegno… Come fa il cittadino a vivere creativamente se è tutto impegnato a sopravvivere?
Al mattino del giorno in cui gli spararono (il 15 settembre 1993), Padre Pino Puglisi, professore di religione del mio liceo ucciso dalla mafia quando iniziavo il quarto anno, era andato per l’ennesima volta negli uffici del comune a chiedere che, in un quartiere popoloso come Brancaccio di cui era parroco, si aprisse una scuola media nei locali dove la mafia svolgeva attività di spaccio e prostituzione. Quella scuola è stata aperta solo dieci anni dopo perché i politici locali erano collusi con la mafia: c’è voluta la vita di un uomo per aprire un «nuovo» corso. Leggo in queste ore che le opere per evitare le esondazioni del Misa che ha travolto tante vite nelle Marche sono state finanziate nel 1986 ma sono rimaste ferme. È triste ma da noi finché non muore qualcuno la politica non si muove.
«Lasciatemi tornare alla mia antica libertà: lasciatemi andare a ricercare la mia vita passata. Io non sono nato per fare il governatore. Io son fatto più per arare, zappare, potare le viti, che per fare leggi e difendere province e regni. San Pietro sta bene a Roma! Con questo voglio dire che ognuno deve fare il mestiere per cui è nato. Sono venuto senza un soldo e senza un soldo me ne vado; tutto al contrario di come son soliti andarsene i governatori di altre isole. Siccome vado via da qui senza un soldo, questa è la prova più evidente che ho governato come un angelo». Così si pronuncia Sancho Panza dopo il suo fallimento nel governare la finta isola di Barattaria: pochi giorni dopo l’inizio del suo incarico, ammette di aver cercato solo potere e quattrini, ma scopre che per governare servono dedizione e servizio. È onesto con se stesso: va via senza un soldo. Immaginate se un politico dovesse restituire i soldi dello stipendio a fronte della mancata realizzazione di ciò che ha promesso nel programma per cui è stato votato.
Il mio stipendio a scuola è giustificato dal fatto che i miei studenti crescono in cultura e libertà, altrimenti devo andare a fare altro. Nella scuola in cui insegno prendiamo i ragazzi al primo anno di superiori e li portiamo alla maturità, si chiama continuità didattica e permette di fare un progetto educativo paziente e attento in cui al centro c’è il singolo ragazzo e non un cervello senza storia e senza corpo.
Quella della continuità didattica è una scelta «politica»: consente di suscitare l’energia creativa dei ragazzi meglio del continuo cambiamento dei docenti. Quando vedo sbocciare i loro «poteri» faccio politica e non esercito un potere fine a se stesso, burocratico e tirannico. La buona politica genera «essere» negli e dagli altri, perché libera il potere dell’altro, non seduce e non controlla con il piacere o con la violenza. Mi auguro che chi la settimana prossima riceverà il compito di governare il nostro Paese abbia capacità e coraggio per fare ciò che ogni genitore responsabile farebbe per un figlio, e non governi, come Sancho Panza, per far quattrini su un’isola che non ha mai visto e se ne sta in un palazzo che è una tragica finzione ordita dai duchi, che si fanno beffe di un povero contadino e rappresentano il vero potere, che gode della propria autoaffermazione con oppressione, menzogna e disprezzo.
Nel romanzo di Cervantes lo scrittore Milan Kundera vede giustamente l’inizio della modernità: «Don Chisciotte uscì di casa e non fu più in grado di riconoscere il mondo. L’unica Verità divina si scompose in centinaia di verità relative, che gli uomini si spartirono fra loro. Nacque così il mondo dei Tempi moderni». Oggi siamo al capolinea di questi tempi di spartizione, infatti si è esaurito l’umanesimo che li aveva inaugurati sopravvalutando il potere autonomo dell’uomo (da creatura a creatore) e il conseguente stile «onnipotente» di dominio su cose e persone, con effetti evidenti in ogni ambito: dall’ecologia alla politica. Spero che chi ci governerà appartenga a un nuovo umanesimo in cui il potere non è dominio ma creatività, non controllo ma servizio, non monologo ma dialogo, non palazzo ma comunità, e che a differenza dell’isola che non c’è di Sancho governi sulla Penisola che c’è. Lunedì prossimo la rubrica sarà in pausa per dar spazio proprio agli esiti elettorali che guarderemo, silenziosi e speranzosi, dal nostro ultimo banco. Buon voto a tutti.
19 settembre 2022, 07:15 – modifica il 19 settembre 2022 | 07:16
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, 2022-09-19 05:20:00,
Quando il duca e la duchessa d’Aragona sentono parlare di don Chisciotte e dello scudiero Sancho Panza vogliono burlarsi di loro e così creano false avventure per i due bizzarri protagonisti del romanzo di Cervantes. Tra questi inganni c’è quello di assegnare a Sancho ciò che ha sempre desiderato e che il suo padrone gli ha promesso per i suoi servigi: un’isola.
E così i duchi affidano a Sancho la fantomatica isola di Barattaria, finzione che lui crede reale perché viene insediato in un sontuoso palazzo — si tratta solo di uno dei palazzi dei duchi in un abitato di mille abitanti — da cui governare ciò che non ha mai visto di persona. L’episodio di Sancho, nella seconda parte del capolavoro di Cervantes, mi è tornato in mente come sintesi di una campagna elettorale fatta di promesse spesso illusorie e di politici che non sono diversi da noi che ce ne lamentiamo sempre, ma rispecchiano, nel bene e nel male, chi e come siamo.
Così un contadino si ritrova governatore di un’isola che è solo la finzione creata dai veri potenti per farsi beffe di lui che si illude di poterla amministrare standosene a palazzo, tanto da scrivere alla moglie: «Tra pochi giorni partirò per il governo, a cui vado con un vivissimo desiderio di far quattrini». L’episodio mette a nudo, con tragica ironia, sia il volto stupido sia quello oppressivo del potere. Come va a finire?
Il potere (come sostantivo) serve a porre altri in condizione di potere (come verbo). Il mio potere di insegnante ha lo scopo di mettere i miei studenti in condizione di poter essere se stessi e procurarsi autonomamente ciò che serve per riuscirci per poi mettersi, con la loro unicità, a servizio della società. Se il potere non ha questo effetto generativo, diventa controllo ed è degenerativo: non rende l’altro se stesso ma lo usa e lo rende impotente, sterile.
La politica è quindi quella parte delle creazioni umane (cultura) che consente di armonizzare l’unicità dei singoli con la società: dà la possibilità di scoprire e mettere al servizio della comunità il modo irripetibile in cui l’umano si realizza in ciascuno di noi. Se questo non accade è perché il potere è tanto tirannico quanto burocratico, cioè per chi lo detiene è «il potere per il potere», il fine è affermare se stessi e la comunità un mezzo, per chi è sottomesso è «il potere di nessuno», che ostacola e blocca l’iniziativa personale perché non ha nessun desiderio che altri abbiano potere.
Se è vero che la politica serve a incoraggiare la creatività e l’azione personali, liberandole da ciò che le blocca, allora oggi la politica conosce una crisi profonda. A scuola, per esempio, ci sono problemi incancreniti da decenni che, seppur evidenti, non vengono affrontati: lo Stato si riduce a un participio passato. Di fronte all’impossibilità di risolvere questi problemi con un po’ di coraggio e buon senso, il popolo si disaffeziona alla politica che appare superflua e diventa propaganda, come dimostra una campagna elettorale ridotta spesso a televendita. Invece il politico, e in generale qualsiasi creatore, è colui la cui immaginazione e opera sono capaci di attivare l’azione assopita degli altri uomini, accendendo focolai creativi: genera perché è generoso.
In queste settimane ho visto pochi atti creativi che metteranno in moto un futuro e molte promesse di «piacere». Il piacere è la strategia della natura per l’autoconservazione, l’azione politica è chiamata invece ad andare oltre il mantenimento dei più forti e a spezzare con il nuovo (dalla ruota alla democrazia, dal fuoco alla letteratura) le catene del «è tutto inutile».
Oltre alla rara presenza di un discorso che esuli dal pragmatismo dell’immediato di stampo quasi esclusivamente economico, non ho ascoltato quasi nulla di «creativo» nei due ambiti culturali su cui misuro la civiltà di una società: ospedali e scuole. I luoghi della cura rendono subito evidente quanto si è capaci di guidare una comunità. Oggi per fare un esame clinico urgente bisogna aspettare mesi, vari studenti hanno iniziato l’anno scolastico senza i professori di alcune materie, diversi alunni con bisogni specifici non hanno l’insegnante di sostegno… Come fa il cittadino a vivere creativamente se è tutto impegnato a sopravvivere?
Al mattino del giorno in cui gli spararono (il 15 settembre 1993), Padre Pino Puglisi, professore di religione del mio liceo ucciso dalla mafia quando iniziavo il quarto anno, era andato per l’ennesima volta negli uffici del comune a chiedere che, in un quartiere popoloso come Brancaccio di cui era parroco, si aprisse una scuola media nei locali dove la mafia svolgeva attività di spaccio e prostituzione. Quella scuola è stata aperta solo dieci anni dopo perché i politici locali erano collusi con la mafia: c’è voluta la vita di un uomo per aprire un «nuovo» corso. Leggo in queste ore che le opere per evitare le esondazioni del Misa che ha travolto tante vite nelle Marche sono state finanziate nel 1986 ma sono rimaste ferme. È triste ma da noi finché non muore qualcuno la politica non si muove.
«Lasciatemi tornare alla mia antica libertà: lasciatemi andare a ricercare la mia vita passata. Io non sono nato per fare il governatore. Io son fatto più per arare, zappare, potare le viti, che per fare leggi e difendere province e regni. San Pietro sta bene a Roma! Con questo voglio dire che ognuno deve fare il mestiere per cui è nato. Sono venuto senza un soldo e senza un soldo me ne vado; tutto al contrario di come son soliti andarsene i governatori di altre isole. Siccome vado via da qui senza un soldo, questa è la prova più evidente che ho governato come un angelo». Così si pronuncia Sancho Panza dopo il suo fallimento nel governare la finta isola di Barattaria: pochi giorni dopo l’inizio del suo incarico, ammette di aver cercato solo potere e quattrini, ma scopre che per governare servono dedizione e servizio. È onesto con se stesso: va via senza un soldo. Immaginate se un politico dovesse restituire i soldi dello stipendio a fronte della mancata realizzazione di ciò che ha promesso nel programma per cui è stato votato.
Il mio stipendio a scuola è giustificato dal fatto che i miei studenti crescono in cultura e libertà, altrimenti devo andare a fare altro. Nella scuola in cui insegno prendiamo i ragazzi al primo anno di superiori e li portiamo alla maturità, si chiama continuità didattica e permette di fare un progetto educativo paziente e attento in cui al centro c’è il singolo ragazzo e non un cervello senza storia e senza corpo.
Quella della continuità didattica è una scelta «politica»: consente di suscitare l’energia creativa dei ragazzi meglio del continuo cambiamento dei docenti. Quando vedo sbocciare i loro «poteri» faccio politica e non esercito un potere fine a se stesso, burocratico e tirannico. La buona politica genera «essere» negli e dagli altri, perché libera il potere dell’altro, non seduce e non controlla con il piacere o con la violenza. Mi auguro che chi la settimana prossima riceverà il compito di governare il nostro Paese abbia capacità e coraggio per fare ciò che ogni genitore responsabile farebbe per un figlio, e non governi, come Sancho Panza, per far quattrini su un’isola che non ha mai visto e se ne sta in un palazzo che è una tragica finzione ordita dai duchi, che si fanno beffe di un povero contadino e rappresentano il vero potere, che gode della propria autoaffermazione con oppressione, menzogna e disprezzo.
Nel romanzo di Cervantes lo scrittore Milan Kundera vede giustamente l’inizio della modernità: «Don Chisciotte uscì di casa e non fu più in grado di riconoscere il mondo. L’unica Verità divina si scompose in centinaia di verità relative, che gli uomini si spartirono fra loro. Nacque così il mondo dei Tempi moderni». Oggi siamo al capolinea di questi tempi di spartizione, infatti si è esaurito l’umanesimo che li aveva inaugurati sopravvalutando il potere autonomo dell’uomo (da creatura a creatore) e il conseguente stile «onnipotente» di dominio su cose e persone, con effetti evidenti in ogni ambito: dall’ecologia alla politica. Spero che chi ci governerà appartenga a un nuovo umanesimo in cui il potere non è dominio ma creatività, non controllo ma servizio, non monologo ma dialogo, non palazzo ma comunità, e che a differenza dell’isola che non c’è di Sancho governi sulla Penisola che c’è. Lunedì prossimo la rubrica sarà in pausa per dar spazio proprio agli esiti elettorali che guarderemo, silenziosi e speranzosi, dal nostro ultimo banco. Buon voto a tutti.
19 settembre 2022, 07:15 – modifica il 19 settembre 2022 | 07:16
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, Alessandro D’Avenia