di Paolo Valentino
Il governo tedesco è diviso: autorizzare o no l’acquisto del 35% di uno dei terminal del porto di Amburgo, «infrastruttura di interesse nazionale»? Il Cancelliere, già sindaco della città, è a favore. Contrari i ministri di Interni e Difesa
La strada che porta all’inferno è lastricata di buone intenzioni. Quella scelta dalla Germania per andarci è lastricata di accordi economici. Non sembra servita a molto la lezione geopolitica subita dalla Russia, a cui nel corso degli ultimi trent’anni Berlino si era legata mani e piedi per il suo approvvigionamento energetico. Una dipendenza a senso unico e pagata a caro prezzo negli ultimi nove mesi, dopo l’inizio della guerra in Ucraina, quando il metano è diventato un’arma contundente nelle mani di Vladimir Putin.
Ora la Germania rischia di commettere gli stessi errori con la Cina. Un contrasto profondo divide il governo federale, posto di fronte al dilemma se autorizzare o meno l’acquisto da parte del gruppo cinese Cosco del 35% di Tollerort, il più piccolo dei quattro terminal per container del porto di Amburgo. La spaccatura vede da un lato il cancelliere Scholz, che di Amburgo è stato borgomastro ed è favorevole a dare il via libera, dall’altro ben sei ministeri competenti che si oppongono alla vendita di un’«infrastruttura critica» a Pechino. Significativo è che oltre da Esteri ed Economia (guidati dai Verdi) e da Trasporti e Giustizia, a guida liberale, i no vengano anche da Interni e Difesa, entrambi diretti da ministre della Spd, il partito di Scholz.
La storia è iniziata un anno fa, quando la Hhla, la società che gestisce lo scalo anseatico, si impegnò a vendere a Cosco per 65 miliardi di euro una quota della struttura, con l’idea di farne «hub privilegiato» per le merci movimentate dal conglomerato asiatico. Dodici mesi dopo, l’operazione attende ancora il parere dell’autorità federale, che ha tempo fino al 31 ottobre.
Verdi e liberali stanno facendo forti pressioni su Scholz perché blocchi l’accordo, mettendo in guardia dai rischi. «Non dovremmo ripetere gli stessi errori del passato, rendendoci dipendenti da Paesi che un giorno potrebbero ricattarci», ha detto il ministro dell’Economia e vicecancelliere, Robert Habeck, memore della recente esperienza con la Russia, che sul territorio federale possedeva e operava infrastrutture come depositi di gas e raffinerie di petrolio, ora confiscate. Ancora più esplicito il ministro liberale della Giustizia, Marco Buschmann: «Nessuna infrastruttura critica tedesca deve cadere sotto il controllo del governo cinese».
Il fronte dei contrari, di cui è parte anche la Commissione europea che in primavera aveva dato parere negativo sull’operazione, fa notare che Cosco non è un’impresa qualunque solo a caccia di profitti. È in realtà una perla del capitalismo di Stato cinese, punta di diamante delle ambizioni globali di Pechino e strumento principale nella realizzazione della Via della Seta Marittima, con cui la Cina vuole diventare la superpotenza dei trasporti commerciali via mare. Già oggi Cosco è per volume di merci il secondo più grande operatore mondiale del settore.
Gli argomenti di chi è favorevole sono piuttosto difensivi. Venerdì a Bruxelles, il cancelliere Scholz ha spiegato che «si tratterebbe solo della partecipazione a un singolo terminal, sul modello di quanto avviene in altri porti dell’Europa occidentale». Cosco — azionista di maggioranza dei porti di Zeebrugge in Belgio, del Pireo in Grecia e di Valencia in Spagna — possiede altre quote minoritarie in quelli di Rotterdam, Anversa, Bilbao e Vado Ligure. Secondo il borgomastro di Amburgo Peter Tschentscher, molto legato a Scholz, rifiutare l’accordo equivarrebbe a «penalizzare economicamente Amburgo nei confronti di Rotterdam e Anversa». In ogni caso, aggiunge il sindaco, il controllo rimarrebbe nelle mani della Hhla. Secondo molti osservatori, Scholz non vuole fare un torto al suo successore e protegé.
Ma il problema della Germania con Pechino è molto più grande della vicenda del porto di Amburgo. La sola strategia seguita negli ultimi 20 anni dai governi tedeschi verso la Cina è stata infatti quella di assicurare profitti alle loro imprese. Ora Olaf Scholz ha affidato alla ministra degli Esteri Annalena Baerbock il compito di sviluppare un nuovo pensiero strategico, basato sul principio che la Germania non possa dipendere esistenzialmente da Paesi che non condividono i suoi valori. Peccato che, nell’attesa, è business as usual. Ai primi di novembre, infatti, Scholz sarà il primo leader occidentale a visitare la Cina dalla fine della pandemia, incontrando di persona Xi Jinping. Occorre precisarlo? Il cancelliere si porterà dietro uno stuolo nutrito di imprenditori tedeschi, pronti a firmare contratti e protocolli d’intesa. L’Europa sarà lontana. Certi vizi sembrano inguaribili.
24 ottobre 2022 (modifica il 24 ottobre 2022 | 23:19)
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