L’analisi
di Federico Fubini16 gen 2023
Il 2023 iniziato con un fatto economico che avrebbe dovuto rimanere riservato: i produttori di beni alimentari e altri prodotti da supermarket nei primi dieci giorni dell’anno hanno gi chiesto 434 aumenti di listino – secondo fonti dell’industria – mentre ne avevano chiesti un po’ pi di 1.200 durante tutto il 2022. In altri termini, la pressione sui prezzi ha iniziato il nuovo anno decisamente forte.
Il tweet di Olivier Blanchard
Per capire perch questo accada bisogna rifarsi a quanto spiega Olivier Blanchard. Francese, ex capoeconomista del Fondo monetario internazionale, grande saggio della macroeconomia, oggi al Peterson Institute for International Economics di Washington, Blanchard non tipo da dare la caccia ai like. misurato, raziocinante. Ma questo suo tweet di fine anno ha raggiunto oltre tre milioni di lettori: “Nel discutere di inflazione e delle politiche delle banche centrali, ci perdiamo spesso un punto. L’inflazione fondamentalmente il risultato di un conflitto distributivo fra le imprese, i lavoratori e i contribuenti. Si ferma solo quando i vari protagonisti sono costretti ad accettare il risultato”.
Stipendi: perdita del potere di acquisto del 15%
esattamente quel che sta accadendo in Italia. C’ un conflitto in corso fra varie parti della societ e fra attori del sistema economico su chi riesce a spostare addosso agli altri i costi di un’inflazione superiore all’11%. Per adesso, stanno avendo la peggio i lavoratori dipendenti, che nell’ultimo anno a mezzo hanno subito una perdita del loro potere d’acquisto non lontana dal 15%. Non un caso se i racconti dei volontari e dei nostri colleghi sulle file del cibo a “Pane Quotidiano” riferiscono del gran numero di persone ordinarie, famiglie con figli, non di rado padri e madri entrambi occupati: anche loro in fila per un pacco alimentare, offerto dalle associazioni di assistenza, per arrivare a fine mese.
Nel 2022 aumento del paniere dell’8,75%
Ci torno tra poco, ma prima bisogna prendere atto che l’inflazione ha innescato anche altri conflitti in parallelo. Uno di essi fra imprese in diversi punti della filiera fra la produzione e il consumo. L’anno scorso le imprese alimentari hanno appunto presentato a quelle della grande distribuzione 1.281 richieste di aumenti di prezzo – secondo fonti dell’industria – per un aumento medio del paniere del 25,23%. Nel timore di perdere clienti a favore dei distributori “discount”, i gestori dei supermercati hanno opposto resistenza: non volevano trasferire tutti quei rincari sulle famiglie. Le due parti hanno dato vita a una lotta sorda, poco percepibile all’esterno. Alla fine l’aumento medio del paniere nel 2022 stato dell’8,75%.
434 richieste di aumento prezzi per i prodotti alimentari
Ma nel 2023 il conflitto ripartito subito, pi violento. Nei primi dieci giorni di gennaio – sempre secondo fonti dell’industria – i produttori alimentari hanno presentato ai distributori le loro 434 richieste di aumenti: in meno di due settimane del 2023, gi un quarto di tutte le richieste registrate nel 2022. L’aumento medio richiesto del 16,66%, ma nella lista sono proposti rincari anche molto superiori: “drogheria e alimentare” +19,47%; “bevande” +18,36%; olio +47,24%; prodotti ittici +28,64%; riso +25,42%; cibo per animali +24,41%: yogurt; +19,92, cibi per l’infanzia +19,69%; pane +17,98%.
La via del discount?
L’elenco sarebbe dovuto restare riservato, perch gi terreno di scontro fra produttori di alimenti, logistica, distributori e famiglie. una grande posta in gioco del 2023, quando il “conflitto distributivo” si presenter ancora pi difficile perch le richieste di aumento ora arrivano principalmente dalle multinazionali. Il potere delle parti si misurer dunque in maniera brutale: le multinazionali del cibo possono minacciare di non rifornire le catene di supermarket che dovessero resistere agli aumenti; le grandi catene di supermarket, quelle da oltre dieci miliardi di fatturato, possono minacciare di sostituire negli scaffali i prodotti di chi non modera le proprie richieste di aumento; noi consumatori possiamo passare in massa ai “discount”.
Il governo e le accise
La sintesi di questi rapporti di forza produrr buona parte dell’inflazione del 2023. Ma nel conflitto inevitabilmente entra anche il governo. Con i sussidi sull’energia per circa 80 miliardi nei 15 mesi fino al marzo prossimo, l’esecutivo di Mario Draghi e poi quello di Giorgia Meloni hanno passato (a debito) una parte dei costi dell’inflazione da famiglie e imprese di oggi ai contribuenti futuri. Ora per l’approccio del governo inizia a cambiare: non pu pi o non ritiene pi giusto farsi carico di ridurre l’inflazione sui carburanti, dunque ha reintrodotto le accise. Di fatto sta obbligando il settore privato a perdere un po’ pi di prima. Ne deriva che il settore della logistica – che trasporta i prodotti – presto si scontrer con produttori e distributori, perch assorbano un po’ dei loro maggiori costi.
A guadagnarci finora sono stati i produttori
Ma alla fine, appunto, per ora a perdere in questa inflazione sono soprattutto i lavoratori dipendenti. Non sono solo le file a “Pane quotidiano” a dirlo, ma anche i dati Istat. Le “retribuzioni di cassa per i dipendenti” (esclusi i dirigenti) mostrano un aumento di appena lo 0,94% fra ottobre 2021 e ottobre 2022. Poich intanto l’inflazione salita a doppia cifra, i dipendenti possono comprare oltre il 10% meno di un anno fa. Per le imprese invece andata diversamente, sempre guardando i dati Istat. Prima delle tasse, la quota di profitto delle aziende italiane l’anno scorso un po’ scesa: era appena sopra il 40% nel 2021, e appena sotto nel 2022. Ma mentre l’inflazione accelerava in primavera e poi in estate e autunno, la quota di profitto delle imprese leggermente salita. In altri termini, i produttori hanno vinto il primo tempo del conflitto distributivo del carovita: sono riusciti a scaricarne i costi sui consumatori.
Lo spettro degli anni Settanta
Non pu andare avanti cos, troppe famiglie sono vicine al punto di rottura. Ma semplicemente aggiustare salari e stipendi al rialzo non farebbe che spingere le imprese a sempre nuovi rincari, innescando una spirale dei prezzi come negli anni Settanta. Paul Krugman paragona questo fenomeno a quando sugli spalti dello stadio uno si alza per vedere meglio, costringendo quello dietro e infine tutti a fare lo stesso: alla fine tutti stanno in piedi, pi scomodi, ma nessuno vede meglio di prima. Se non vogliamo che sia la Banca centrale europea a risolvere il conflitto con una brutale stretta monetaria, che ci manda in recessione e forse in crisi sul debito, allora serve un’idea. Produttori, logistica, distributori e lavoratori dovrebbero concertare insieme una strategia che distribuisca razionalmente i costi e soffochi gli aumenti. Blanchard dice: “Questo purtroppo richiede pi fiducia di quanto si possa sperare di avere”.
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