Le primarie dei soliti gattopardi

Le primarie dei soliti gattopardi

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Mezzogiorno, 24 febbraio 2023 – 08:41 di Enzo d’Errico Non so quanti di voi abbiano avuto modo e voglia di curiosare nei meandri di ChatGPT, il modello d’intelligenza artificiale che impazza nel web, oppure — sul versante opposto — di leggere il bel libro che Aldo Schiavone, uno degli editorialisti pi eminenti di questo giornale, ha dedicato al futuro della sinistra. Ecco, se non l’avete ancora fatto, mi permetto sommessamente di consigliarvi entrambe le cose, qualora abbiate intenzione di recarvi ai gazebo dove, domenica prossima, si sceglier il prossimo segretario nazionale del Pd. Vi accorgerete che il mondo viaggia a una distanza siderale dalle parole ascoltate in questi mesi durante la fase congressuale del partito. E non perch Stefano Bonaccini o Elly Schlein siano due azzeccagarbugli, tutt’altro: parliamo di persone che hanno una storia personale e politica degna di rispetto. Il problema che si candidano a guidare una comunit smarrita, spogliata dell’unica identit maturata negli ultimi dieci anni: la conservazione del potere a dispetto di qualsiasi risultato elettorale. Potremmo dire che il progetto avviato generosamente da Walter Veltroni nel 2007 non mai decollato fino in fondo, che le correnti culturali di provenienza — cattolicesimo democratico e socialismo riformista — invece di fondersi in una nuova identit politica hanno minato alla base un’architettura forse troppo ardita per un Paese fondato sul proporzionalismo e sulla difesa del particulare. Sta di fatto che il Pd attuale l’esatto contrario di ci che doveva e poteva essere: un partito cieco di fronte ai processi d’innovazione — tecnologica e culturale — che hanno radicalmente cambiato gli assetti sociali, straniero in un mondo del lavoro frammentato e in continuo mutamento, dedito sostanzialmente alla sopravvivenza (palese o mascherata) del solito gruppo dirigente e delle sue articolate ramificazioni nel sistema di potere, incapace di sbandierare un’intransigenza ideale sui temi che dovrebbero costituire il dna della sinistra. Un esempio per tutti: la questione meridionale. Per un decennio buono abbiamo assistito alla farsa delle cosiddette decisioni che spettano ai singoli territori. Risultato: ci ritroviamo oggi con intere regioni, a cominciare da Campania e Puglia, trasformate in autarchie su cui imperano, con metodi estranei a qualunque forza di matrice progressista, i signorotti di turno con i quali bisogna scendere a patti ogni volta che i cittadini vengono chiamati alle urne. Primarie comprese. Non a caso, Bonaccini ha stretto accordi di ferro con Emiliano e De Luca (chiamando addirittura il figlio di quest’ultimo a coordinare la sua mozione da Roma in gi): pensate davvero che, una volta eletto, cambierebbe qualcosa nel Sud? Scommettereste un centesimo sulla radicale trasformazione di un partito che qui resterebbe saldamente nelle mani dei soliti noti? Lo stesso discorso, per altri versi, riguarda Schlein, che non scesa a patti ma del Mezzogiorno sa poco o nulla (infatti ne parla molto di rado) e gode del supporto di Dario Franceschini e Andrea Orlando, figure senza dubbio stimabili e tuttavia non provenienti certo da mondi alieni. Insomma, temo che l’esito, anche dopo le primarie, sar lo stesso di sempre: per quale Pd voteranno gli elettori nel 2024 e dopo? Per quello di Emiliano e De Luca o per quello di Majorino e Cuperlo, tanto per citare gli antipodi? Per un partito che abbia una sola strategia ovunque o per un’accozzaglia di piccoli potentati territoriali che decidono ciascuno per conto proprio? Sarebbero domande rituali, gi avanzate mille volte invano, che i cittadini potrebbero liquidare agevolmente (come in parte hanno gi fatto) scegliendo una strada diversa. Il guaio che la prolungata assenza di un’opposizione strutturata e, soprattutto, intellegibile nelle sue strategie pu mettere in pericolo la tenuta della democrazia. E non perch ci sia il fascismo alle porte, che una baggianata propagandista, ma perch senza una dialettica chiara tra maggioranza e opposizione la politica si immiserisce fino a smarrire la sua funzione essenziale: governare il cambiamento. E qui torniamo all’inizio. Chiunque abbia sbirciato dentro l’universo di ChatGPT sa che siamo prossimi a mutamenti destinati a rivoluzionare radicalmente il lavoro e, di conseguenza, l’intera organizzazione sociale. Cosa saremo e cosa faremo quando l’intelligenza artificiale sar in grado di sostituire l’uomo in alcuni comparti produttivi? Non fantascienza ma futuro prossimo. Un partito riformista dovrebbe porsi questi interrogativi, oggi e non domani, per provare ad amalgamare l’inevitabile progresso tecnologico con l’indispensabile salvaguardia dei diritti fondamentali. Eppure temi del genere nemmeno hanno lambito il congresso del Pd. Cos come la terribile crescita delle diseguaglianze, richiamata appena in qualche slogan, che l’argomento cardine di una sinistra orfana dello scontro di classe ma decisa ad affrontare con seriet il futuro. Aldo Schiavone ne fa l’architrave del suo libro, a differenza dei maggiorenti Democratici, indicando quale via d’uscita un modello inclusivo di cittadinanza globale che oltrepassi i confini dei singoli Stati e spazzi via definitivamente le macerie del socialismo reale e del suo apparato ideologico. Peccato che domenica, ai gazebo, si sceglier ancora una volta una leadership mettendo da parte il resto. Come ci ha insegnato Massimo Troisi, quando non si riesce a comprendere un luogo non comune (nel suo caso Napoli) si finisce per imprigionarlo dentro un luogo comune. In modo che tutto cambi affinch nulla cambi. 24 febbraio 2023 | 08:41 © RIPRODUZIONE RISERVATA , , https://www.corriere.it/rss/politica.xml,

Pietro Guerra

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