di Silvia Turin
La terza dose del vaccino mRNA riduce la prevalenza di Long Covid dal 42% al 16%. A dirlo i risultati di uno studio italiano pubblicato sulla rivista JAMA. Confermato che la sindrome colpisce più donne, anziani e malati cronici
La terza dose del vaccino mRNA riduce la prevalenza di Long Covid.
Lo dice uno studio appena uscito sulla rivista JAMA (The Journal of the American Medical Association) condotto dalla professoressa Maria Rescigno, capo del Laboratorio di immunologia delle mucose e microbiota di Humanitas e docente di Patologia Generale di Humanitas University, e dalla dottoressa Elena Azzolini, vice direttore sanitario di Humanitas, in collaborazione con il professor Alberto Mantovani, direttore scientifico di Humanitas.
Lo studio
L’analisi ha rivelato che la prevalenza del Long Covid è passata dal 41,8% quando i vaccini non erano ancora disponibili, al 16% con 3 dosi di Pfizer somministrate. «Sono stati monitorati 2560 operatori sanitari di 8 ospedali Humanitas in Lombardia e Piemonte (e di Humanitas University) nell’arco di 2 anni — ha illustrato al Corriere Maria Rescigno —. I soggetti sono stati testati ogni settimana o 2 settimane per la positività al Covid e sono stati valutati dal marzo del 2020 fino ad aprile del 2022, quindi nel periodo pre vaccinazioni e post vaccinazioni. La presenza di almeno un sintomo (come stanchezza estrema, mal di testa, nebbia cognitiva, perdita dell’olfatto o disturbi al sistema cardiovascolare) oltre le quattro settimane dall’inizio dell’infezione è stata considerata come indicazione di Long Covid».
Chi colpisce
Lo studio ha dimostrato che la vaccinazione protegge dal Long Covid, soprattutto dopo le tre dosi: «La prevalenza di Long Covid riguardava in generale circa il 30% dei soggetti, in linea con quello che è stato descritto anche da altri studi – ha descritto Rescigno —; analizzando però la popolazione coinvolta nella ricerca in funzione della vaccinazione, si è visto che la percentuale di Long Covid diagnosticato prima della vaccinazione era del 41,8%, dopo la seconda dose si abbassava al 17%, per arrivare al 16% dopo la terza dose. La vaccinazione mRNA protegge quindi dal Long Covid e questo indipendentemente dalle varianti in circolazione». Non è stata l’esposizione alle diverse varianti del SARS-CoV-2 che si sono succedute nel tempo a cambiare i dati: «Le variabili sono state vagliate ed escluse dai nostri ingegneri grazie all’intelligenza artificiale che ha invece evidenziato il ruolo della vaccinazione e di alcuni fattori di rischio», ha sostenuto la ricercatrice. Essere donne, avere patologie concomitanti e l’età avanzata sono fattori che predispongono all’insorgenza del Long Covid e anche queste caratteristiche, emerse in studi internazionali, sono state confermate dallo studio italiano: «All’aumentare delle comorbidità (tra cui un elevato indice di massa corporea e malattie polmonare ostruttive) è aumentato anche il rischio del Long Covid, soprattutto nei soggetti allergici. Le persone sono state colpite, però, anche con malattia non grave», ha confermato la professoressa.
Un fenomeno mondiale
Il Long Covid è un fenomeno destinato ad aumentare: è una sindrome che si produce dopo l’infezione da Covid (grave ma anche asintomatica) e accompagna le persone per settimane o mesi con sintomi persistenti (uno o più) che comprendono generalmente dolori e spossatezza e possono investire polmoni e bronchi, sistema nervoso, rene, intestino, cuore e vasi, ma anche cervello con confusione, mal di testa e la cosiddetta «nebbia mentale». Considerato l’alto numero di persone infettate dal SARS-CoV-2 il Long Covid, riconosciuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), potrebbe diventare la prossima emergenza di salute mondiale, perché si stima possa colpire circa il 30% degli ex ammalati di Covid. Da qui l’importanza di determinare, come ha fatto lo studio Humanitas, il grado di protezione della vaccinazione contro questa sindrome.
Che cosa lo provoca
Sulle cause del fenomeno c’è ancora molto da capire, ci si orienta sulla comprensione dei fattori che possono esserne all’origine, come ha spiegato al Corriere in un’intervista recente il professor Alberto Mantovani: lo stato di salute generale di partenza di chi viene infettato, la persistenza silente del virus che può risvegliarsi e/o innescare reazioni immunitarie e la presenza di altri virus quiescenti dentro di noi (come quello di Epstein-Barr o il Citomegalovirus) che possono essere riattivati, infine, lo scatenarsi di fenomeni autoimmunitari che sarebbero indotti da Sars-CoV-2.
Le armi a disposizione sono poche: per adesso si curano i sintomi e l’unica possibile prevenzione per contrastare il problema pare essere appunto la vaccinazione.
1 luglio 2022 (modifica il 1 luglio 2022 | 19:05)
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