“Come nasce l’assurdo dato, sparato dai giornali, del “49 per cento degli studenti che non comprende un testo”? Così: “sommando i livelli 1 e 2 delle prove Invalsi. E riteniamo seriamente che un ragazzo che si posiziona al livello 2 in una prova Invalsi non sia in grado di comprendere un testo? Questa della quasi metà degli studenti che non comprende un testo è una bufala smentita dallo stesso test, esattamente come lo scorso anno. Esattamente come il prossimo anno, temo”.
Il pedagogista Cristiano Corsini prende le distanze dagli esisti delle prove Invalsi. O meglio, senza mettere in dubbio l’importante del lavoro svolto da Invalsi e anzi cercando e ricercando ciò che il rapporto annuale “ci dice e soprattutto quello che non ci dice” contesta la fondatezza della notizia clamorosa e oltremodo desolante sparata da tutti i mezzi di comunicazione secondo la quale la metà degli studenti che terminano le scuole superiori non sarebbe in grado di comprendere quello che legge.
Corsini è professore ordinario di Pedagogia sperimentale all’università Roma Tre e autore di libri. Il più recente, intitolato “La valutazione che educa”, ed. Franco Angeli, è una sintesi – spiega lui – di quel che so sulla valutazione come strumento educativo. La mia tesi è che se noi usassimo la valutazione meno come fine e più come mezzo noi insegneremmo meglio e i ragazzi apprenderebbero di più”. Ma veniamo ai fatti.
Professor Cristiano Corsini, andiamo con ordine. Cosa emerge dal suo punto di vista dal Rapporto Invalsi 2023? I dati sembrano allarmanti.
“Premetto che non ho ancora finito di leggere tutto il rapporto, ma emergono alcuni dati interessanti. Intanto emerge il fatto che nel complesso c’è un peggioramento rispetto all’anno scorso, specie nella scuola primaria. Tuttavia, essendo la scuola primaria la scuola che andava meglio, resta ancora il settore migliore, cioè il settore dove la maggior parte dei bambini non ha particolari problemi in italiano, matematica e inglese”.
Poi che cosa succede?
“Succede che, andando avanti nel corso degli studi, aumentano i problemi, specie nella scuola secondaria. Dunque la primaria peggiora ma resta il settore migliore”.
Si allude anche a un ipotetico effetto long-Covid come causa di un peggioramento alla primaria.
“Su questo non saprei dire. Bisogna secondo me attendere qualche anno. Può darsi.
Comunque non emergono grandi novità a parte questo peggioramento”.
Lei però non ha digerito i toni usati dalla stampa per comunicare questo peggioramento, ma ormai sono sulla bocca di tutti. Più della metà degli studenti – si va ripetendo da ieri un po’ dappertutto – non capisce quel che legge.
“Sono toni sbagliati, sono dati sbagliati. Quel 50 per cento è intanto secondo me una cavolata perché il dato è più basso. Secondo loro i punteggi possono essere comunicati attraverso i livelli di apprendimento. Ma sommando i livelli 1 e 2 delle prove Invalsi, che sono certo i peggiori tra i 5 livelli descritti, riteniamo seriamente che un ragazzo che si posiziona al livello 2 in una prova Invalsi non sia in grado di comprendere un testo?”
Lo dica lei
“Si rischia con questa lettura frettolosa di banalizzare una faccenda complessa come la comprensione del testo, che non è riassumibile in comprendo/non comprendo. Prendiamo ad esempio la descrizione sintetica del livello 2 relativa ai risultati ottenuti in percentuale per livello al termine del secondo ciclo d’istruzione”.
Che cosa recita il descrittore del livello 2?
“Recita quanto segue: ‘L’allievo risponde a domande su testi in prevalenza di contenuto concreto e familiare, caratterizzati da struttura lineare e da un lessico non solo di uso abituale, ma anche specialistico. Individua in maniera autonoma le informazioni richieste, date in più punti del testo, anche quando siano presenti altre informazioni che possono essere confuse con quelle da ritrovare.ricava dal testo il significato di parole o espressioni, anche di uso non frequente, o di carattere tecnico specialistico, ricostruisce il significato di parti del testo collegando Più informazioni e cogliere il tema o L’argomento principale di testi di diverso genere.se guidato, coglie il senso del testo, ad esempio scegliendo tra formulazioni sintetiche alternative, riconosce il tono di frasi o parole E il valore espressivo di alcune scelte stilistiche dell’autore in passaggi significativi del testo. Svolge compiti grammaticali Che richiedono il ricorso alla propria esperienza linguistica e alla conoscenza di elementi di base della grammatica’.”
Quanti si sono posizionati su questo livello, in percentuale?
“Il 25,7 per cento. Sommati ai risultati peggiori corrispondenti al livello 1 si arriva alla quasi metà degli studenti che secondo i giornali non sanno comprendere cosa leggono. Scorporando il livello 1 dal livello 2 il dato negativo si dovrebbe ridurre pertanto della metà”.
Tuttavia, leggendo il descrittore del livello 1 sembrerebbe che neppure questo livello sia tanto critico. Lei come lo interpreta?
“Dal livello 1 inferiamo problemi nella comprensione globale di testi con contenuti astratti e struttura complessa, con lessico poco familiare. Mi pare un livello che attesta problemi rilevanti. Ma lo studente che si attesta sul livello 2, che è comunque tra i livelli più bassi, è solo uno studente che fa fatica, o meglio che ha fatto fatica il giorno del test – e su quel test – ma questo non significa che non comprende un testo. Sarebbe, questa, un’ipersemplificazione, non si può dire davvero che non si comprende un testo. Non si può definire mancata comprensione del testo quella di chi non arriva al livello indicato da Invalsi come adeguato. Non è non comprendere il testo, ma solo avere alcune difficoltà. Difficoltà in alcuni test come quelli somministrati da Invalsi – che sono utilissimi per quello che ci dicono e che non ci dicono, non sono contro le prove Invalsi – ma questo non significa che questi studenti e queste studentesse non sappiano comprendere un testo. Si rischia, con questa lettura frettolosa, di banalizzare una faccenda complessa come la comprensione del testo che non è riassumibile in comprendo/non comprendo. Ed è questa una cosa che tutti gli insegnanti bravi sanno, non credo che un insegnante pensi che un studente capisca tutto o non capisca niente”.
Professor Corsini, guardando le tabelle con i livelli degli apprendimenti, alla luce della sua interpretazione secondo cui il secondo livello comprende alunni che non hanno problemi seri di comprensione del testo, si potrebbe allora arrivare a dire che il 74 per cento del totale degli studenti, contando anche i livelli più alti, non ha problemi di comprensione di ciò che legge?
“La stampa ha fatto sapere che secondo l’ultima rilevazione Invalsi solo il 51 per cento degli studenti comprende ciò che legge. Se leggiamo il Rapporto Invalsi, a pag. 75, si evince che il 74 per cento degli studenti si colloca dal secondo livello in su nella comprensione del testo”.
E tuttavia, Invalsi ritiene che sia il primo, sia il secondo livello, al di là del contenuto dei descrittori, comprendono esiti che considera “non adeguati”.
“Sì, ma a me pare piuttosto arbitraria come scelta”.
Perché arbitraria?
“Arbitraria perché, punto primo e decisivo, i traguardi per lo sviluppo delle competenze impongono diverse – tante – prove, e prove diverse – di altra natura – per valutare l’adeguatezza o la mancata adeguatezza. Punto secondo, perché, in ogni caso, definire inadeguato un livello in cui vengono mostrati chiari elementi di comprensione del testo è piuttosto discutibile, e non mi pare che ci sia stato un confronto su questo”.
Lei parla anche di iniquità. A che cosa si riferisce?
“I dati invalsi sono davvero molto utili perché ci raccontano quanto sia iniquo il nostro Paese, non la nostra scuola”
Ci faccia capire meglio
“I dati Invalsi ci raccontano come, per esempio, il rendimento nelle prove sia associato a caratteristiche sociali, economiche e culturali degli studenti. E cioè delle famiglie degli studenti. L’incidenza della situazione sociale delle famiglie, sugli apprendimenti, è elevatissima soprattutto sulla scuola secondaria”
Perché l’iniquità si evidenzia di più nei gradi alti, rispetto alla primaria?
“Non è facile dirlo. Questa è una bellissima domanda ma le prove Invalsi questo non lo possono dire. Forse il nostro è un sistema che differenzia gli studenti un po’ precocemente e questo non aiuta”.
Secondo lei costringerli a scegliere l’indirizzo di studi secondari di secondo grado a 14 anni è prematuro?
“Sì, bisognerebbe attendere i 16 anni. Questo significherebbe rendere più paritarie le uguaglianze di opportunità. Occorrerebbe inoltre estendere il tempo pieno al Sud e alle medie, dove non esiste. Naturalmente garantendo al tempo pieno tempi distesi, non certo facendo fare ai bambini otto ore di lezioni ogni giorno. Tornando alle prove Invalsi credo che noi dovremmo stare attenti a quello che ci dicono le prove e a quello che non ci dicono”.
Che cosa ci dicono ancora, a parte quello di cui ci siamo occupati finora?
“Ci dicono ad esempio che siamo un paese ancora sessista, cioè che le ragazze vanno meglio in Italiano e Inglese e peggio in matematica”.
Cosa invece non ci dicono?
“Non ci dicono quali sono le competenze dei ragazzi. La competenza la vedi in una situazione autentica, davanti a un compito di realtà e non invece in una prova a scelta multipla.
Non ci dicono come vanno i singoli ragazzi. Ci dicono come vanno gruppi e fasce di studenti ma non come va il singolo studente. Il test è meno preciso sul singolo studente, non ci dice ad esempio se il giorno del test era indisposto, non stava bene. E invece questi ragazzi ricevono poi il risultato del test sul livello raggiunto”.
E questo non va bene, secondo lei, sul piano pedagogico?
“Questo è un errore gravissimo. Noi abbiamo usato le prove Invalsi, contro le quali, insisto ancora, non ho nulla, per valutare il singolo, mentre invece sono utili per valutare gruppi di popolazione. Questo è un errore grave, perché significa che le prove portano l’insegnante a sviluppare una didattica basata sulle prove Invalsi. Il docente sa che il test valuterà l’alunno, e quindi farà in modo che il ragazzo vada bene e dunque calibrerà la didattica su quella prova. L’altro aspetto è che facendo così banalizziamo il concetto di competenza”.
Perché?
“La competenza è una cosa tanto complessa. Si parla di compiti di realtà e di tante altre cose interessanti e poi che succede? Che basta una prova oggettiva per valutare le competenze: ma mi pare una banalizzazione di un concetto importante. Questo dal punto di vista didattico è molto pericoloso perché significa che invece di impostare una didattica attiva su compiti complessi noi impostiamo una didattica che va avanti su scelte multiple. Infine, si confondono i livelli della questione. Una cosa è il compito del docente, che deve valutare il ragazzo, altra cosa è il compito dell’Invalsi, che dovrebbe invece valutare il sistema. Mettere insieme le due cose è un errore molto grave perché gli apprendimenti prevedono una valutazione che è su diversi livelli. Una prova oggettiva ci può aiutare, certo che ci aiuta. Ma non è sufficiente per valutare gli apprendimenti. Comunque, per sintetizzare, diciamo che la cosa importante è non esagerare su queste pur utili prove. E capire che, come ho detto prima, gli esiti di queste prove alcune cose ce le dicono, altre no. La scuola italiana ha dei problemi che sono i problemi del paese e questi problemi incidono soprattutto dalla scuola media in su. Sono problemi enormi ma non possiamo pensare di affrontarli usando le prove Invalsi per quello che non sono. Non sono una misura degli apprendimenti individuali, non sono uno strumento che misura le competenze o le fragilità dei singoli e quindi ci indicano semmai che bisogna intervenire a livello strutturale, ad esempio sul tempo pieno e sul numero di studenti per classe, sulla qualificazione e sulla selezione del personale docente”.
Ha anticipato l’ultima domanda. Quale responsabilità hanno secondo lei i docenti su una situazione che se non è molto critica, come è stata amplificata dalla comunicazione, certamente rosea non è?
“Incidono anche loro come altri fattori. Non vanno colpevolizzati ma incidono anche loro. E quindi occorre intervenire concretamente sulla formazione e sul reclutamento degli insegnanti”.
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