Ultimamente ho avuto modo di constatare come alcuni miei alunni, che frequentano la classe seconda della primaria, sembrino “assillati”, o in ansia, per le imminenti prove INVALSI. Ma io non li ho affatto “afflitti” in tal senso, anzi. “Se fosse per il sottoscritto, abolirei tali quiz”: è una frase che io pronuncio sovente ai miei alunni e vorrei ribadire anche in questa sede, ma cercando di argomentare alcune ragioni.
In primo luogo, puntualizzo che non sono assolutamente restio, a livello ideologico, né refrattario a priori nei confronti delle modalità in sé dei “quiz” a risposta multipla: ad esempio, non disdegno e non mi rifiuto affatto di adottare alcuni test di ordine logico, che potrebbero rivelarsi come utili ed efficaci input per stimolare il pensiero, le abilità e le competenze logico-matematiche.
Ma dovrei sentirmi padrone di poter decidere (io!) per i miei alunni la modalità di verifica. I sedicenti (o i presunti) “esperti” del costoso ed ingombrante “carrozzone INVALSI”, temo che non abbiano mai insegnato in una scuola reale, con gli alunni in carne ed ossa.
E nella realtà concreta delle scuole italiane sono presenti divari oggettivi, differenze innegabili ed inevitabili, a volte abissali ed insanabili.
Esistono differenze profonde tra le varie realtà scolastiche: non solo tra una scuola di Milano e una di Palermo, bensì tra una scuola della periferia e una del centro di Milano, come in ogni altra grande città d’Italia. Ed esistono differenze notevoli anche tra una classe ed un’altra della medesima scuola, così come tra i compagni di una medesima classe.
Per cui ritengo fuorviante e controproducente la “standardizzazione” delle prove INVALSI, a maggior ragione se ci si sforza di perseguire un indirizzo pedagogico imperniato o impostato il più possibile su una didattica inclusiva e individualizzata. Per tali ed altre ragioni, io sono più che mai convinto che i test INVALSI siano stati concepiti ed imposti per uno scopo ben preciso: limitare ed arginare, se non persino pregiudicare l’autonomia didattica dei docenti, che in tal guisa vengono sottoposti ad un pesante (ed ulteriore!) strumento di pressione e di condizionamento, non soltanto sul versante più squisitamente didattico e pedagogico, vale a dire metodologico, ma anche e soprattutto sul terreno politico ed intellettuale.
Lucio Garofalo
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