di Valerio Cappelli
La celebre regista apre la stagione dell’Opera di Roma con il complesso titolo di Poulenc. «L’arte è libera, non importa se urta qualche sensibilità. non sono credente ma mi attrae la religione. Il fanatismo delle suore diventa poesia»
«Non sono credente, per questo sono attratta da tutto ciò che è religioso», dice Emma Dante, regista dei Dialoghi delle Carmelitane di Poulenc che il 27 apre la stagione dell’Opera di Roma (manca dal 1991). Ritrova il suo teatro fisico, dei corpi, benché sia un lavoro «statico, dove non succede poi molto». Sul podio il direttore musicale del teatro Michele Mariotti, all sua prima inaugurazione a Roma. Cast di primissimo rango, Corinne Winters, Anna Caterina Antonacci, Emoke Barath, Ewa Wesin.
Il fascino mistico di un’opera anomala, in passato si parlò di ombre clericali reazionarie.
«Però lo spettacolo di Luca Ronconi del 1988 spazzò via le diffidenze. Non c’è la solita storia d’amore, di lei, lui, l’altro, e quest’anomalia mi piace molto. Ma è comunque una storia d’amore, più amplificata e universale perché ha a che fare con la fede. Queste suore sono delle fanatiche, innamorate perse del loro Dio ed è il motivo per cui in sedici decidono di sacrificarsi, vennero giustiziate nel 1794 (era la Francia post Rivoluzione del Terrore) perché non vollero rinunciare ai voti».
Si parte da un fatto vero, e dal dramma di Bernanos.
«Ma al di là dell’episodio reale, che è follia perché alla sentenza di morte ringraziarono col sorriso e andarono al patibolo felici, qui il fanatismo diventa poesia, è un gesto poetico più legato all’amore che al delirio. L’arte riesce a trasformare il gesto più politico in qualcosa di universale, di onirico. Non significa che è meno realistico. Poulenc sogna il martirio, mi sembra più interessante che mostrarlo».
È un’opera che poggia su figure femminili.
«Ma c’è un elemento maschile, fortifico i loro corpi, sviluppano i loro muscoli. Io rendo le Carmelitane zoppe. È un ordine rigoroso e severo, a Blanche quando entra dicono, non pensare che avrai le agevolazioni cui era abituata prima, dovrai sacrificarti ogni giorno. Fanno penitenza e si mettono dei mattoni sul piede, per sopportare il dolore, per fortificarsi. La zoppìa è una conseguenza della penitenza. C’è anche sensualità, com’erano nella vita civile, prima di diventare suore».
La scena?
«Come elementi di lustro della casa di Blanche ci sono dipinti di David, poi le tele si girano e rappresentano il retro delle celle. E quando sono soltanto cornici, tirando una cordicella, fanno cadere la tela immacolata, bianca: le tele diventano ghigliottine».
C’è anche un Cristo di cui si parlerà molto…
«Un Cristo in croce che non è né uomo né donna, è il Cristo delle Carmelitane, a loro immagine e somiglianza, al di sopra dei generi, quando viene deposto dalla croce, Cristo diventa uno, o una, di loro».
C’è la paura?
«Blanche, la più tormentata, non fa altro che averne, suo fratello la chiama la piccola lepre. È la paura di non essere accompagnata d Dio».
Qual è il momento che più la colpisce?
«Il finale. L’ho anche usato in “Odissea”, un mio spettacolo teatrale, è un finale in sottrazione, togliendo le voci e raccontando la morte. Facendo morire le voci fai morire anche i corpi».
La salvezza?
«Qui non c’è, non si salva nessuno. Si salveranno nell’al di là. C’è molta teologia, il titolo è geniale: i dialoghi, loro pregano e parlano. Per questo erano considerate inutili dopo la Rivoluzione francese, quel mondo lì viene soppresso: oggi, nel nostro momento storico, ne avremmo bisogno, di tornare a quelle preghiere. C’è troppa frenesia, il consumismo che fa morire le cose nel momento in cui si fanno».
Un titolo che fu tacciato di essere anti moderno.
«Sì, Poulenc è un autore trascurato, si fa a singhiozzo. Oggi siamo più liberi dalle ideologie, ma costretti nel politically correct, e dunque siamo nel mondo della censura dell’arte, mentre l’arte è il territorio della libertà e non dovrebbe conoscere censure. Se sulla croce metto in luce un corpo ambiguo, non dev’essere mortificato. Credo nella provocazione, anche forte».
La provocazione è un’arma a doppio taglio?
«Ci sono spettacoli che mi hanno scosso, dove la provocazione è una bestemmia. Non avrei nulla in contrario alla bestemmia nell’arte. Se un uomo violenta un bambino, il mondo è fatto anche di questo e l’arte deve mostrarlo, non può tenerlo sotto il tappeto come la polvere. Se urta la sensibilità non mi importa nulla. Gli arredi sacri, l’iconografia, il rituale mi attraggono molto. Non ci sarà nessun atto blasfemo».
16 novembre 2022 (modifica il 16 novembre 2022 | 20:15)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
, 2022-11-16 19:22:00, Emma Dante e «I dialoghi delle Carmelitane»: l’arte è libera, in scena un Cristo né uomo né donna, Valerio Cappelli