Bruciare gas al confine con la Finlandia – quel che sta facendo la Gazprom di Putin – è l’equivalente di bruciare banconote. Lo abbiamo visto fare in qualche film, magari da un mafioso in vena di esibizioni arroganti. È un gesto spettacolare ma tutt’altro che benefico per le proprie finanze.
Putin lo fa non perché se lo può permettere, ma perché non può farne a meno: il suo ricatto energetico contro l’Europa comincia a mostrare la corda. Il gas invenduto va distrutto, con grave danno per le finanze di Mosca, al fine di evitare danni perfino superiori: ai giacimenti, agli impianti, alla rete distributiva. È questa la tesi interessante di due esperti americani del settore energetico, Paul Roderick Gregory della Hoover Institution (Stanford) e Ramanan Krishnamoorti dell’università di Houston, Texas. In un’analisi pubblicata ieri sul Wall Street Journal i due esperti avevano anticipato la “necessità” di bruciare gas per limitare i danni tecnici agli impianti e alla rete.
Al centro della questione c’èil gasdotto Nord Stream 1 che trasporta gas dalla Russia all’Unione europea. Il gas viene estratto nelle regioni artiche della Russia. Entra nel gasdotto Nord Stream 1 a Vyborg, vicino al confine con la Finlandia: proprio lì dove adesso Gazprom lo sta bruciando. Dalla frontiera finlandese Nord Stream 1 viaggia sotto il mare fino a Greifswald in Germania, dove si collega con la rete europea. Un gasdotto parallelo è Nord Stream 2, la cui costruzione era praticamente conclusa ma che è stato bloccato dalle sanzioni. Nord Stream 1 resta quindi l’arteria principale che dalla Russia porta gas all’Unione europea. Ha una capacità massima di 62 miliardi di metri cubi all’anno. Prima della guerra in Ucraina, Gazprom lo stava usando quasi ai limiti della capacità: dal 2019 al 2021 il Nord Stream ha trasportato 55 miliardi di metri cubi all’anno.
Dopo l’invasione dell’Ucraina, l’Occidente non ha mai incluso il gas nel perimetro di applicazione delle sanzioni, però Putin ne ha fatto un’arma di pressione. Ha imposto dei tagli alle forniture per infliggere danno economico all’Europa. A fine luglio Nord Stream stava ormai trasportando solo il 40% di gas rispetto alla sua capacità massima. Poi con la scusa di lavori di manutenzione è sceso al 20%. Se dovesse continuare così, a fine 2022 avrà trasportato solo 19 miliardi di metri cubi invece dei 55 miliardi abituali. Le conseguenze sull’Europa le conosciamo bene, e rischiano di aggravarsi in autunno. La capacità di ricatto di Putin si sta dispiegando in tutta la sua potenza, e fa dire ad alcuni che le sanzioni fanno male solo all’Europa.
Ma che può fare la Russia con il gas che non vende agli europei? Il petrolio che Mosca non esporta più verso Occidente trova facilmente acquirenti, a cominciare da India e Cina, sia pure a prezzi scontati. Il petrolio viaggia soprattutto su navi ed è facile dirottarlo da un mercato all’altro. Il gas no, la parte che viene trasportata su nave è ridotta e richiede comunque la costruzione di impianti particolari (ne sappiamo qualcosa: per i paesi riceventi sono i rigassificatori, a cui corrispondono impianti speculari e simmetrici che nei paesi produttori devono trasformare il gas in liquido, quindi caricarlo su apposite navi cisterna).
Russia e Cina hanno raggiunto un accordo per costruire un nuovo gasdotto che le colleghi, ma ci vorranno anni prima che sia pronto. Invece il gas che Gazprom non sta fornendo agli europei continua a sgorgare dai giacimenti, e bisogna farne qualcosa. Immagazzinarlo? Le capacità di stoccaggio di gas russe sono già quasi esaurite. Chiudere i “pozzi”, interrompere l’estrazione? Si può fare, però correndo dei rischi tecnici. I giacimenti che smettono di fornire gas possono subire danni strutturali che ne compromettono il ritorno alla produzione in tempi successivi.
Poi ci sono i problemi tecnici che riguardano i gasdotti. Tutte le valvole, gli accessori, le attrezzature tecniche sofisticate che regolano il funzionamento dei gasdotti, sono soggette a guasti e deterioramento se la pressione scende o si azzera. Sono problemi risolvibili se c’è una manutenzione di altissimo livello. Ma qui intervengono le sanzioni economiche occidentali, che allontanano dalla Russia grandi aziende specializzate in quel tipo di manutenzione sofisticata come Halliburton, Baker Hughes, Schlumberger. Per evitare problemi e ridurre i rischi di gravi danni al gasdotto, un espediente consiste proprio nel bruciare il gas.
A parte il danno ambientale, questo significa distruggere una risorsa primaria per l’economia russa. E proprio quando Putin ha bisogno di soldi per allargare gli organici del suo esercito. E’ autolesionismo, quindi, anche se inevitabile nelle circostanze in cui Putin si è messo da solo. Il danno del gas bruciato si aggiunge, aggravandola, a una perdita perfino più sostanziale nel lungo periodo: la credibilità. Dai tempi del leader comunista Brezhnev – anni Settanta – Mosca si era costruita una reputazione di partner affidabile per la fornitura di energia all’Europa. Un paese come la Germania aveva imperniato il proprio modello economico sul gas russo a buon mercato e aveva impostato la propria politica estera sull’idea che il commercio con l’Oriente avrebbe reso le autocrazie sempre meno ostili. Oggi la Germania, come l’Europa intera, deve operare una torsione geoeconomica andando a cercare energia altrove. Il gas russo che brucia al confine con la Finlandia sta distruggendo molte cose.
26 agosto 2022, 21:08 – modifica il 26 agosto 2022 | 21:09
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, 2022-08-26 21:37:00, Ha ridotto le quantità destinate agli europei per fare pressione sui governi, ma non può immagazzinare né esportare altrove le sue risorse. Non gli resta che bruciarle , Federico Rampini