di Gianna Fregonara e Orsola Riva
La classifica del QS University Ranking: le università italiane frenano, sempre primo il Politecnico di Milano. L’Università italiana paga affollamento e sottofinanziamento, ma sul Covid ha prodotto di più di qualsiasi altro Paese europeo
Il sistema universitario italiano arranca. A certificarlo è la nuova classifica internazionale pubblicata l’8 giugno 2022: nonostante gli atenei italiani non siano mai entrati nella top 100 del Qs world university ranking neppure nelle scorse edizioni, quest’anno cominciano addirittura ad arretrare. Un’inversione pericolosa visto che la competizione anche con l’estremo oriente si fa sempre più difficile. Dei 41 atenei italiani classificati, sei migliorano, 14 rimangono stabili e 21 peggiorano. C’è comunque una notizia interessante tra le pagine della classifica che dà conto dell’attività di ricerca durante i due anni di emergenza Covid: il sistema universitario italiano, benché storicamente sotto finanziato e in difficoltà, è terzo per le ricerche prodotte e pubblicate sul tema della pandemia, dietro a Stati Uniti e Cina.
I risultati
Al vertice della classifica più consultata del mondo non a caso ci sono le università americane e inglesi che, grazie anche ai ricchi finanziamenti privati, occupano saldamente quasi tutte le posizioni della top ten mondiale. Unica eccezione è l’ETH di Zurigo, al nono posto della classifica. La prima delle italiane è come sempre il Politecnico di Milano, che nella classifica per singoli dipartimenti pubblicata pochi mesi fa è entrata ella top ten mondiale in Architettura e Design e nella top 20 in Ingegneria. Ma a livello complessivo deve accontentarsi di un 139esimo posto (più tre posizioni rispetto all’anno scorso). Al secondo posto c’è l’Università di Bologna (167esima: perde una posizione). La Sap ienza è ferma al 171esimo posto nonostante abbia appena confermato di essere un’eccellenza assoluta negli studi classici dove da anni ormai è in vetta al mondo, davanti anche a Oxford e Cambridge. Ma tant’è: al di là dei risultati straordinari dei singoli dipartimenti il sistema accademico italiano fatica a competere a livello globale. Ad azzopparlo, spiegano gli autori del ranking QS, è soprattutto un indicatore: quello che misura il rapporto fra studenti e docenti. Le nostre classi universitarie sono, almeno per gli standard internazionali, mediamente sovraffollate: in base ai dati Ocse da noi ci sono più di 20 studenti per prof, contro i 12 della Germania, i 15 del Regno Unito e i quasi 17 della Francia. Dopo la cura da cavallo impressa ormai quasi 15 anni fa dal governo Berlusconi, nonostante il recente sblocco del turnover siamo ben lontani dai livelli di occupazione pre-cura Tremonti: in tutto, fra ordinari associati e ricercatori, i docenti universitari italiani oggi sono circa 55 mila; nel 2008 erano 63 mila.
I criteri della classifica
La classifica Qs è incentrata fondamentalmente su indicatori reputazionali, ovvero sulla considerazione dei colleghi (che pesa per il 40 per cento sul punteggio finale) e dei datori di lavoro. E’ questo un elemento molto controverso del ranking Qs dal momento che gli autori della classifica offrono alle università anche un sistema di consulenza per aiutarle a migliorare il proprio piazzamento. Resta il fatto che mentre in generale le nostre università sono molto stimate in ambito accademico (tanto che ben tre di esse – Bologna, Roma e PoliMi – entrano nella top 100 mondiale per quanto riguarda la «academic reputation»), nella «employer reputation» solo il PoliMi si aggiudica un lusinghiero 80esimo posto, ma in generale si assiste a un drammatico arretramento nell’opinione dele mercato.
Il Covid
Nonostante la scarsità di finanziamenti, l’Italia è il settimo Paese al mondo per quantità di ricerca prodotta e il sesto per numero di citazioni, ovvero per la qualità e l’impatto dei nostri lavori. Evidentemente siamo bravi a fare tanto con poco, visto che per la ricerca spendiamo la metà dei tedeschi in rapporto al Pil. Durante l’emergenza sanitaria, il nostro Paese ha concentrato moltissime energie proprio nella lotta al Covid 19 che attualmente rappresenta l’11 per cento della ricerca totale prodotta. Questo straordinario lavoro di ricerca ci ha portato a diventare il terzo produttore al mondo in questo ambito dopo la Cina e gli Stati Uniti. Un risultato che non è bastato però a far risalire la china al resto del nostro sistema universitario e di ricerca.
8 giugno 2022 (modifica il 8 giugno 2022 | 23:42)
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