Quando i militari della Tap1 delle forze speciali colombiane hanno avvistato i bambini nella giungla hanno messo mano alla loro radiotrasmittente gridando “miracolo”: la parola in codice concordata per indicare il successo dell’Operazione speranza, quaranta giorni nella selva amazzonica e 2.500 chilometri di foresta battuta, alla ricerca dei quattro fratellini scampati ad un incidente aereo. Il termine “miracolo”, lanciato al mondo dalle ricetrasmittenti dei soccorritori, non sembra inadeguato o esagerato di fronte al ritrovamento dei quattro fratellini vivi.
“Ci si chiede, infatti, come sia stato possibile un evento del genere. Di certo una misteriosa concatenazione di condizioni favorevoli ha portato a questo risultato abbastanza improbabile rispetto allo shock dell’incidente aereo, alla giovanissima età dei protagonisti, allo scenario naturale che ha accolto i sopravvissuti” come ha sottolineato, Suor Anna Monia Alfieri, da anni alla ribalta per il suo impegno a favore di una scuola capace di “promuovere l’uomo nuovo” come lei stessa lo definisce.
La scuola e la grande ambizione: bisogna educare ad “un nuovo rapporto con la natura”
L’ambizione del genere umano e, talvolta, di una interpretazione utilitaristica della natura, ha determinato che si deteriorasse il rapporto con la natura, che si affievolisse il rapporto esistente tra l’uomo e l’ambiente che vive. Per costruire però, prima che sia irreversibile il processo di distruzione dell’ecosistema, una nuova relazione, e quindi un riformulato benessere delle persone e del resto del mondo naturale, dobbiamo riavviare le nostre pratiche educative in modo che consentano al genere umano, attraverso la rinnovata sensibilità delle nuove generazioni, di connettersi con la natura. Dobbiamo andare oltre l’accesso e le visite alla natura. Oltre a coinvolgere le persone con la natura attraverso fatti e cifre. La scuola deve costruire una nuova relazione con la natura concentrandoci su cinque tipi di attività: sintonizzare i nostri sensi, rispondere con le nostre emozioni, apprezzare la bellezza, celebrare il significato e attivare la nostra compassione per la natura. Dobbiamo impegnarci, come scuola, a percorre processi formativi in grado di stabile connessioni e competenze anche moderare il nostro uso e controllo della natura.
Abbiamo, sul tema, voluto sentire suor Alfieri, Referente Scuola dell’USMI Nazionale.
Quanto è fondamentale educare i giovani alla resistenza e quanto è importante una formazione umana alla “natura”?
«È importantissima la formazione. Sono convinta che la giovane età dei protagonisti ha dato loro una forza fisica e spirituale genuina; il fatto di essersi ritrovati “insieme” ha consolidato il desiderio di resistere; la situazione di grave emergenza li ha probabilmente spinti a cogliere ogni minuscola opportunità di cibo e di riparo, soprattutto dalla fauna selvatica. Sarebbe interessante comprendere quale sia stata la formazione “a monte” di questi bambini, soprattutto del fratello maggiore: una resilienza di questo tipo non si inventa da un momento all’altro e non è spiegabile solo dalla contingenza emergenziale. Qualcosa, nella vita e nella formazione di questi bambini, può averli in qualche modo aiutati ad affrontare una situazione drammaticamente unica, ma in qualche modo “preparata”. Sicuramente la natura non è stata per loro “nemica”, ma quasi madre e custode, proprio per loro che la mamma l’avevano persa. Sicuramente un esito di questo tipo non si inventa. La formazione umana li ha enormemente aiutati».
La vicenda di questi bambini porta all’attenzione il tema della formazione legato al ruolo degli adulti, siano essi genitori. Lei i parlava della sua esperienza in Africa. È possibile fare delle similitudini e trarre degli insegnamenti?
«Questa vicenda ci porta a qualche utile considerazione: innanzitutto il ruolo della formazione dei bambini: quanto più gli adulti continueranno a fare di tutto per edulcorare tutte le situazioni, tanto più i nostri bambini saranno incapaci di affrontare le diverse situazioni della vita. Se un bambino italiano cade a scuola, banalmente giocando in cortile e riportando una semplice escoriazione, si aprono tutta una serie di procedure per accertare come si sarebbe potuta evitare quella caduta. Mi è capitato in Africa di vedere bambini giocare: quando cadevano, si rialzavano subito e riprendevano a giocare serenamente. In Italia arriva la lettera dell’avvocato. Forse che i nostri bambini necessitino di altre attenzioni?»
Quale potrebbe, meglio, dovrebbe essere il nostro rapporto con la natura?
«Altra considerazione nella narrazione della vicenda colombiana è legata al nostro rapporto con la natura. E’ uno dei temi più cari del pontificato di Papa Francesco: la natura ci protegge, noi la distruggiamo, usando irresponsabilmente le sue risorse. Pertanto, andando oltre quell’ecologismo che diventa in tanti casi una ideologia per la quale, per difendere l’ambiente, occorre imbrattare fontane e palazzi storici, bisogna ricondurre il tema del rispetto per il creato alla responsabilità della persona, del singolo e puntare, conseguentemente e nuovamente, alla sua formazione».
Possiamo pensare, parlando del nostro sistema scolastico, alla necessità della ricerca di un nuovo umanesimo? E a cosa dovrebbe puntare?
«Occorre davvero un nuovo umanesimo che punti alla formazione di un uomo nuovo, più semplice, umanamente formato e pertanto aperto ai bisogni dell’altro».
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