di Anna Gandolfi
In nove casi su dieci sono le donne a prendersi cura del patrimonio culturale dopo le scuole di alta formazione. Giovani, appassionate, disposte a fare acrobazie per mesi sui ponteggi, attività di ricerca e anche tanta fatica fisica
Quindici piani di ponteggi: «Una scalata ogni mattina». Mesi a lavorare ogni giorno lassù, ad altezze variabili. Oppure giù, nel sottosuolo, «senza luce elettrica». Istantanea di una professione estrema: il restauro. Cecilia Balsi ha 26 anni, nel suo recentissimo passato è stata un po’ minatrice («Il freddo della cripta del Convicinio di Sant’Antonio a Matera è un ricordo indelebile»), un po’ acrobata («A 25 metri, sulle volte della Cattedrale di Pisa»), un po’ scienziata («Non c’è cantiere senza analisi chimiche, fisiche, tecnologiche»). E non importa quanta fatica si debba fare ogni volta («Ai fori romani dell’Arco di Settimio Severo spesso l’acqua dovevamo portarla a mano»), perché la convinzione è una: «Questo è un lavoro meraviglioso».
La difesa come missione
Cecilia lo dice oggi che è impegnata nella Loggia di Galatea a Villa Farnesina («Sono fortunatissima») e lo diceva ieri quando, 22enne, studentessa dell’Istituto centrale per il restauro a Roma, raccontava a una fotografa il perché stava dove stava. «Ci diciamo: le opere d’arte sono eterne. Falso. Il degrado c’è e va ritardato. Niente va dato per scontato». La bellezza è fragile: difenderla è l’obiettivo di chi si occupa di dipinti, statue, antica architettura «un po’ come i medici fanno con i pazienti». Cecilia è una «custode della bellezza» e Isabella De Maddalena, macchina fotografica alla mano, ha documentato il mondo di cui fa parte, entrando e uscendo per anni da decine di cantieri in tutta Italia.
«Ho ascoltato – ricorda la reporter, che alle immagini ha associato racconti scritti – le testimonianze di più di 50 professionisti, anzi, professioniste: nel nostro Paese a prendersi cura del patrimonio culturale sono quasi sempre le donne». Donne in nove casi su dieci: il dato è confermato da Francesca Capanna, dal 2017 alla guida della Scuola di alta formazione di Roma, che fa capo al ministero e prepara decine di super-esperti ogni anno: «Questa proporzione tra allieve e allievi l’ho sempre vista, anche quando ho cominciato io. Forse solo nell’immediato dopoguerra (l’Istituto è nato nel 1939, ndr) il rapporto numerico era paritario». Il perché non ha una risposta precisa: «La collega Eliana Billi ricorda che la tutela della memoria è ancestralmente femminile. Ha certamente ragione».
Precisazione: «Semplificare è sbagliato. L’idea di un restauro fatto sempre col pennellino è fuori dal tempo: il lato tecnico e scientifico è fortissimo». Tanto che il settore è parte delle discipline Stem (science, technology, engineering and mathematics), tradizionalmente a preponderanza maschile. Laser, chimica, fisica entrano nella diagnosi e nella tutela. «In cantiere – aggiunge Capoanna – prepariamo la malta e siamo abituate a stare in piedi per ore e ore. Serve forse uno sforzo maggiore nella comunicazione della nostra professione. Io stessa, da allieva alla Scuola di alta formazione, ho avuto uno choc: era il 1982, arrivavo con un’idea romantica del lavoro e invece mi sono ritrovata tra macchinari e sismografi. Giovanni Urbani era il direttore e il suo approccio lungimirante è poi diventato anche il mio: restauro non come atto riparatore, ma come atto di conservazione programmata e preventiva».
Perché il patrimonio di cui occuparsi è enorme. Isabella De Maddalena, 43 anni, nata a Santa Margherita Ligure e trapiantata a Milano per studiare all’Accademia di Belle arti di Brera, ha documentato lo sforzo di un esercito particolarissimo. «Le “guardiane” sono solitamente nascoste alla vista del pubblico. Non sappiamo come lavorano, semplicemente diamo per scontato che un affresco sia lì, sulla superficie su cui è stato dipinto. Così nel 2017 ho iniziato il mio viaggio». Il progetto «Custodians of Beauty» oggi è in mostra al MonFest di Casale Monferrato. «È un omaggio a chi, instancabilmente e con devozione, mantiene le opere vive. Moltissimi sono giovani».
Tesori fragili
Le «monuments women», di ogni generazione, raccontano il loro rapporto con uno scrigno di tesori fragili. Paola Borghese, dalla Pinacoteca di Brera, in uno dei testi raccolti da De Maddalena afferma: «Quando si interviene non si ha l’intenzione di retrodatare l’opera». La traccia del passaggio del tempo «ha grande valore. È un rapporto con la bellezza in cui si accetta l’invecchiamento».
Valeria Merlini risponde al telefono dal suo atelier di Roma: le sono stati affidati, nel tempo, capolavori assoluti. Tra tutti, tre opere di Caravaggio: la Madonna dei pellegrini, la prima Conversione di Saulo, l’Adorazione dei pastori di Messina. «Ho 62 anni – spiega – e lavoro da quando ne ho 20. Perché ci sono molte donne tra noi? Forse ha a che fare con l’attenzione alle cose e alle persone, è un atteggiamento quasi materno. Chi restaura non sta un passo indietro, tutt’altro, e nemmeno davanti: sarebbe un disastro. Chi restaura fa un passo “accanto”: fa crescere, fa emergere, esalta. Il miglior intervento è quello che non si vede, per arrivarci servono grandi capacità».
Ed è ancora la direttrice della Scuola di alta formazione a riflettere sulla proporzione che si inverte: «Oggi, su dieci grandi nomi del settore conosciuti dal pubblico e arrivati alla celebrità, almeno otto sono di uomini: non mancano certo le eccellenze femminili, eppure non emergono. Sta a tutti noi, e a tutte noi, lavorare anche su questo».
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25 aprile 2022 (modifica il 25 aprile 2022 | 23:48)
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, 2022-04-25 21:48:00, In nove casi su dieci sono le donne a prendersi cura del patrimonio culturale dopo le scuole di alta formazione. Giovani, appassionate, disposte a fare acrobazie per mesi sui ponteggi, attività di ricerca e anche tanta fatica fisica, Anna Gandolfi