Quando le guerre  cambiano i confini

Quando le guerre  cambiano i confini

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MARTEDÌ 19 LUGLIO 2022

risponde Aldo Cazzullo

Caro Aldo,

non comprendo le ambiguità di diversi Paesi europei verso il conflitto in Ucraina. Se nell’ultima guerra gli alleati avessero negoziato una tregua nel 1943 o inizio 1944, così da risparmiare ulteriori vittime del conflitto, la decisione mi sarebbe parsa oltre che moralmente ripugnante, anche controproducente. Hitler ne avrebbe approfittato per riorganizzarsi, lanciare nuove controffensive, piani di invasione, i partigiani avrebbero continuato a sacrificarsi e le rappresaglie contro la popolazione civile sarebbero continuate. Per non parlare dello sterminio degli ebrei. Il messaggio che stiamo inviando a Putin sembra essere, se continui ad uccidere, qualche concessione territoriale te la diamo. Le sembra giusto?

Giancarlo Sallier de La Tour

Caro Giancarlo,

Certo che non è giusto. Anzi, è vergognoso trattare gli ucraini, c h e stanno difendendo la loro terra, come burattini degli americani. Nulla di peggio di quelli che «Putin ha sbagliato, però…». Putin va fermato; perché altrimenti ci riproverà, come già ci ha provato — sovente con successo — in passato. Lei però, gentile signor Sallier de la Tour, pone anche un’altra questione: l’intangibilità delle frontiere. La storia moderna dimostra che le frontiere sono tutt’altro che intangibili. Consideriamo il Paese che dovremmo conoscere meglio: il nostro. Per fare l’Italia, i Savoia sacrificarono la regione d’origine della dinastia, da cui traevano financo il nome, nonché Nizza, che era la terza città del Regno, e pure il luogo natale di quel meraviglioso personaggio che è stato Giuseppe Garibaldi. Dopo la seconda guerra mondiale, perdemmo sul confine occidentale i paesi di Tenda e Briga; ma ben più drammatica fu l’amputazione che dovemmo subire sui confini orientali, con i 350 mila profughi costretti a lasciare Zara, l’Istria, ampie zone della Venezia Giulia. Trieste tornò all’Italia dopo anni tormentati, Gorizia fu quasi divisa in due. Nello stesso tempo, mantenemmo il Sud Tirolo, culturalmente e linguisticamente a maggioranza tedesca, perché i tedeschi come noi avevano perso la seconda guerra mondiale. Ma l’epoca seguita al 1945, con la nascita dell’Onu e degli organismi di governo globale, doveva essere contraddistinta proprio dal fatto che non si sarebbero più scatenate guerre per cambiare i confini.

LE ALTRE LETTERE DI OGGI

L’addio

«Ciao Franco Rizzo, primo calabrese nella Nazionale»

Ci ha lasciato, a 79 anni, Francesco Paolo Rizzo, detto Franco Rizzo (nella foto del giorno), di Rovito (provincia di Cosenza). Fu il primo giocatore calabrese, cresciuto nelle giovanili del Cosenza, a vestire la maglia della Nazionale. Fece parte, senza giocare, della negativa spedizione del 1966 a Londra, quando «la Regina d’Inghilterra — cantava Venditti — era Pelè». E l’Italia venne eliminata dalla Corea del Nord. Il centrocampista cosentino segnò una doppietta nell’amichevole Italia-Bulgaria. Artefice di una promozione dei «Lupi» cosentini in B, Franco Rizzo giocò nel grande Cagliari di «Rombo di Tuono» Riva e di «Bonimba» Boninsegna. Era in panchina nella partita, che l’Italia giocò a Cosenza, per inaugurare lo stadio San Vito contro Cipro. Ma il ct Ferruccio Valcareggi, nonostante i numerosi gol di vantaggio degli azzurri, si ostinò a non far giocare Rizzo, tra i fischi dei tifosi rossoblù. Chiusa l’attività agonistica, Franco Rizzo rimase nel calcio e visse, a lungo, a Firenze, dove aveva vinto uno scudetto, nel 1969, nella squadra di De Sisti, Amarildo e Merlo (si alternavano a centrocampo), allenata dal «petisso» Pesaola. Divenne il mito di tanti bambini calabresi , fra gli anni Sessanta e Settanta, per i quali rappresentò il campione al quale ispirarsi nelle loro partite. Nell’album Panini, era una figurina speciale: Franco Rizzo, da Rovito.

Pietro Mancini

INVIATECI LE VOSTRE LETTERE

Vi proponiamo di mettere in comune esperienze e riflessioni. Condividere uno spazio in cui discutere senza che sia necessario alzare la voce per essere ascoltati. Continuare ad approfondire le grandi questioni del nostro tempo, e contaminarle con la vita. Raccontare come la storia e la cronaca incidano sulla nostra quotidianità. Ditelo al Corriere.

MARTEDI – IL CURRICULUM

Pubblichiamo la lettera con cui un giovane o un lavoratore già formato presenta le proprie competenze: le lingue straniere, l’innovazione tecnologica, il gusto del lavoro ben fatto, i mestieri d’arte; parlare cinese, inventare un’app, possedere una tecnica, suonare o aggiustare il violino

Invia il CV

MERCOLEDI – L’OFFERTA DI LAVORO

Diamo spazio a un’azienda, di qualsiasi campo, che fatica a trovare personale: interpreti, start-upper, saldatori, liutai. 

Invia l’offerta

GIOVEDI – L’INGIUSTIZIA

Chiediamo di raccontare un’ingiustizia subita: un caso di malasanità, un problema in banca; ma anche un ristorante in cui si è mangiato male, o un ufficio pubblico in cui si è stati trattati peggio. Sarà garantito ovviamente il diritto di replica

Segnala il caso

VENERDI -L’AMORE

Chiediamo di raccontarci una storia d’amore, o di mandare attraverso il Corriere una lettera alla persona che amate. Non la posta del cuore; una finestra aperta sulla vita. 

Racconta la storia

SABATO -L’ADDIO

Vi proponiamo di fissare la memoria di una persona che per voi è stata fondamentale. Una figlia potrà raccontare un padre, un marito la moglie, un allievo il maestro. Ogni sabato scegliamo così il profilo di un italiano che ci ha lasciati. Ma li leggiamo tutti, e tutti ci arricchiranno. 

Invia la lettera

DOMENICA – LA STORIA

Ospitiamo il racconto di un lettore. Una storia vera o di fantasia. 

Invia il racconto

LA FOTO DEL LETTORE

Ogni giorno scegliamo un’immagine che vi ha fatto arrabbiare o vi ha emozionati. La testimonianza del degrado delle nostre città, o della loro bellezza.

Inviateci le vostre foto su Instagram all’account @corriere

, 2022-07-18 22:49:00,

MARTEDÌ 19 LUGLIO 2022

risponde Aldo Cazzullo

Caro Aldo,

non comprendo le ambiguità di diversi Paesi europei verso il conflitto in Ucraina. Se nell’ultima guerra gli alleati avessero negoziato una tregua nel 1943 o inizio 1944, così da risparmiare ulteriori vittime del conflitto, la decisione mi sarebbe parsa oltre che moralmente ripugnante, anche controproducente. Hitler ne avrebbe approfittato per riorganizzarsi, lanciare nuove controffensive, piani di invasione, i partigiani avrebbero continuato a sacrificarsi e le rappresaglie contro la popolazione civile sarebbero continuate. Per non parlare dello sterminio degli ebrei. Il messaggio che stiamo inviando a Putin sembra essere, se continui ad uccidere, qualche concessione territoriale te la diamo. Le sembra giusto?

Giancarlo Sallier de La Tour

Caro Giancarlo,

Certo che non è giusto. Anzi, è vergognoso trattare gli ucraini, c h e stanno difendendo la loro terra, come burattini degli americani. Nulla di peggio di quelli che «Putin ha sbagliato, però…». Putin va fermato; perché altrimenti ci riproverà, come già ci ha provato — sovente con successo — in passato. Lei però, gentile signor Sallier de la Tour, pone anche un’altra questione: l’intangibilità delle frontiere. La storia moderna dimostra che le frontiere sono tutt’altro che intangibili. Consideriamo il Paese che dovremmo conoscere meglio: il nostro. Per fare l’Italia, i Savoia sacrificarono la regione d’origine della dinastia, da cui traevano financo il nome, nonché Nizza, che era la terza città del Regno, e pure il luogo natale di quel meraviglioso personaggio che è stato Giuseppe Garibaldi. Dopo la seconda guerra mondiale, perdemmo sul confine occidentale i paesi di Tenda e Briga; ma ben più drammatica fu l’amputazione che dovemmo subire sui confini orientali, con i 350 mila profughi costretti a lasciare Zara, l’Istria, ampie zone della Venezia Giulia. Trieste tornò all’Italia dopo anni tormentati, Gorizia fu quasi divisa in due. Nello stesso tempo, mantenemmo il Sud Tirolo, culturalmente e linguisticamente a maggioranza tedesca, perché i tedeschi come noi avevano perso la seconda guerra mondiale. Ma l’epoca seguita al 1945, con la nascita dell’Onu e degli organismi di governo globale, doveva essere contraddistinta proprio dal fatto che non si sarebbero più scatenate guerre per cambiare i confini.

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L’addio

«Ciao Franco Rizzo, primo calabrese nella Nazionale»

Ci ha lasciato, a 79 anni, Francesco Paolo Rizzo, detto Franco Rizzo (nella foto del giorno), di Rovito (provincia di Cosenza). Fu il primo giocatore calabrese, cresciuto nelle giovanili del Cosenza, a vestire la maglia della Nazionale. Fece parte, senza giocare, della negativa spedizione del 1966 a Londra, quando «la Regina d’Inghilterra — cantava Venditti — era Pelè». E l’Italia venne eliminata dalla Corea del Nord. Il centrocampista cosentino segnò una doppietta nell’amichevole Italia-Bulgaria. Artefice di una promozione dei «Lupi» cosentini in B, Franco Rizzo giocò nel grande Cagliari di «Rombo di Tuono» Riva e di «Bonimba» Boninsegna. Era in panchina nella partita, che l’Italia giocò a Cosenza, per inaugurare lo stadio San Vito contro Cipro. Ma il ct Ferruccio Valcareggi, nonostante i numerosi gol di vantaggio degli azzurri, si ostinò a non far giocare Rizzo, tra i fischi dei tifosi rossoblù. Chiusa l’attività agonistica, Franco Rizzo rimase nel calcio e visse, a lungo, a Firenze, dove aveva vinto uno scudetto, nel 1969, nella squadra di De Sisti, Amarildo e Merlo (si alternavano a centrocampo), allenata dal «petisso» Pesaola. Divenne il mito di tanti bambini calabresi , fra gli anni Sessanta e Settanta, per i quali rappresentò il campione al quale ispirarsi nelle loro partite. Nell’album Panini, era una figurina speciale: Franco Rizzo, da Rovito.

Pietro Mancini

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Vi proponiamo di mettere in comune esperienze e riflessioni. Condividere uno spazio in cui discutere senza che sia necessario alzare la voce per essere ascoltati. Continuare ad approfondire le grandi questioni del nostro tempo, e contaminarle con la vita. Raccontare come la storia e la cronaca incidano sulla nostra quotidianità. Ditelo al Corriere.

MARTEDI – IL CURRICULUM

Pubblichiamo la lettera con cui un giovane o un lavoratore già formato presenta le proprie competenze: le lingue straniere, l’innovazione tecnologica, il gusto del lavoro ben fatto, i mestieri d’arte; parlare cinese, inventare un’app, possedere una tecnica, suonare o aggiustare il violino

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Diamo spazio a un’azienda, di qualsiasi campo, che fatica a trovare personale: interpreti, start-upper, saldatori, liutai. 

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Chiediamo di raccontare un’ingiustizia subita: un caso di malasanità, un problema in banca; ma anche un ristorante in cui si è mangiato male, o un ufficio pubblico in cui si è stati trattati peggio. Sarà garantito ovviamente il diritto di replica

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Chiediamo di raccontarci una storia d’amore, o di mandare attraverso il Corriere una lettera alla persona che amate. Non la posta del cuore; una finestra aperta sulla vita. 

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SABATO -L’ADDIO

Vi proponiamo di fissare la memoria di una persona che per voi è stata fondamentale. Una figlia potrà raccontare un padre, un marito la moglie, un allievo il maestro. Ogni sabato scegliamo così il profilo di un italiano che ci ha lasciati. Ma li leggiamo tutti, e tutti ci arricchiranno. 

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, Aldo Cazzullo

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