Gentile redazione,
pochi giorni fa il Parlamento ha tradotto in legge la proposta per il cosiddetto “equo compenso” per i liberi professionisti che prestano la loro opera per la pubblica amministrazione o per grandi committenti privati.
Ora, senza entrare qui troppo nel merito del provvedimento, sia permesso evidenziare che nel complesso i liberi professionisti non sembrano rientrare nel novero delle categorie mal retribuite, per usare un eufemismo (e con le eccezioni del caso).
Una domanda sorge invece spontanea: quando lorsignori, molto solerti nell’occuparsi delle libere professioni – non possiamo dimenticare ovviamente la flat tax della risibile aliquota del 15% salita fino agli 85.000 euro solo per gli autonomi – quando, dicevo, si prodigheranno per attribuire un equo compenso ai docenti della scuola italiana, posto che il ridicolo aumento recentemente elargito è talmente sottile che nella busta paga nemmeno si nota (in barba al quasi trionfalismo di certi sindacati)?
Perché nei pochi mesi che hanno visto il sella il nuovo esecutivo abbiamo constatato molta attenzione per diverse categorie, compresa e certo non ultima quella trasversale degli evasori fiscali, che ha potuto contare su provvedimenti come il premuroso rialzo della soglia del contante a 5.000 euro, ma di fatto la retribuzione del docente rimane al palo e resta al pavimento nella comparazione con gli omologhi degli altri Paesi europei.
Vedremo dunque se e quando il governo Meloni intenderà passare dalle chiacchiere – di quelle ne abbiamo sentite fin troppe con i precedenti Esecutivi – ai fatti, definendo un “equo stipendio” per i docenti che – chi governa non dovrebbe dimenticarlo – prestano la loro opera per lo Stato italiano, segnatamente per svolgere una funzione basilare qual è l’istruzione.
A meno che lorsignori non vogliano affermare che è “equo” l’attuale compenso di un docente laureato e ben qualificato, compenso che, per esempio, si trova ad essere estremamente più prossimo alla retribuzione di un bidello (con la terza media) piuttosto che a quella di un medico di base, il quale percepisce uno stipendio tre volte maggiore senza certamente superare l’insegnante medio come numero di ore di lavoro settimanale.
Sergio Mantovani
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