La mancanza di personale nel settore della ristorazione è ormai un dato di fatto. Ne discutono quotidianamente tanto imprenditori, chef e maestri pizzaioli di insegne blasonate nelle grandi città, quanto titolari di piccole realtà di provincia. C’è chi sostiene sia un problema generazionale, dovuto alla mancanza di «spirito di sacrificio». Altri ritengono sia colpa del reddito di cittadinanza. In molti rispondono che la vera ragione di questa carenza sia dovuta ad orari massacranti e salari troppo bassi e che sia necessario ripensare del tutto il modello della ristorazione in Italia, in un’ottica di sostenibilità del lavoro. Quale che sia la ragione effettiva di questa mancanza di personale, di certo c’è che ad acuire questa crisi — che si percepisce soprattutto oggi che il settore sta velocemente ripartendo — sono stati gli anni di pandemia. «Una forte carenza del personale di sala si sentiva già prima del Covid», racconta Silvio Moretti, direttore servizi sindacali Fipe. Stando ai dati elaborati dal Centro Studi della Federazione Italiana Pubblici su dati Istat e Inps, il personale di sala è quello più ricercato in questo momento: mancano, attualmente, 39.760 camerieri. In totale, sempre secondo la Fipe, ci sono 200 mila addetti alla ristorazione in meno rispetto al 2019. «Una parte hanno lasciato a causa della chiusura delle attività per cui lavoravano, ma molti professionisti nel — lungo periodo di incertezza fra un lockdown e l’altro — hanno deciso volontariamente di cambiare settore, prediligendo ambiti come la logistica o la grande distribuzione, che garantivano una continuità lavorativa certa e dove è richiesto in forma minore il sacrificio di lavorare nel week end e nei giorni di festa». A quelli che sostengono che una delle ragioni di questa crisi sia dovuta alle precarietà del lavoro, la Fipe risponde con un dato: «La tipologia di contratto più diffusa in questo settore è il tempo indeterminato — che rappresenta circa il 70% degli occupati, 616mila unità (in totale sono 916 mila, di cui il 63% ha meno di 40 anni) —, perché c’è una forte contesa per accaparrarsi il personale qualificato». Per quanto riguarda la sala, poi, si aggiunge un riconoscimento ancora inadeguato della sua importanza. «La ristorazione in questo momento deve valorizzare il servizio di sala — spiega Moretti — perché il peso specifico dell’accoglienza è sempre maggiore. I clienti stanno tornando nei ristoranti soprattutto perché legati a determinati luoghi e ad un determinato tipo di accoglienza. La sala vale quanto la cucina». In questo pezzo non entreremo nel dibattito sul modello di lavoro nella ristorazione, ma proveremo a rispondere a una domanda che in questi giorni ci hanno posto molti lettori: quanto guadagna davvero un cameriere?
Leggi anche
— Quanto guadagna davvero uno chef in Italia?
— Da Borghese a Cuttaia: «Non troviamo più personale, nessuno vuole più stare in cucina»
— Flavio Briatore: «È vero, i giovani preferiscono il weekend libero al lavoro»
— Giancarlo Perbellini: «Io, chef stellato, dovrò tagliare i coperti»
— Alessandro Borghese: «Non trovo personale, pochi vogliono ancora fare lo chef»
— Da Bottura a Romito, trenta grandi chef immaginano il futuro della ristorazione italiana
— Crisi della ristorazione: «Facevo il cameriere, ora sposto container: è il tempo ciò che conta»
10 giugno 2022 | 06:46(©) RIPRODUZIONE RISERVATA
, 2022-06-10 12:44:00, La mancanza di personale in ristoranti, pizzerie e bar è ormai un dato consolidato. C’è chi ritiene sia un problema generazionale. Altri ritengono sia «colpa del reddito di cittadinanza». In molti rispondono che la ragione sono i salari bassi a fronte di orari massacranti. Ma quanto si guadagna davvero lavorando come cameriere in Italia?, Gabriele Principato