Ci sono parole che ci sembrano legate ad un tempo passato e al solo pronunciarle ci evocano volti e ambienti di un’altra epoca. Ma solo una curiosa sensazione emotiva: tutte le parole sono legate al momento in cui vengono utilizzate, nascono e prosperano nella contemporaneit in cui il linguaggio (e quindi noi) le utilizziamo. Resta il fatto che, se sentiamo la parola rammendo, viene naturale pensare alle nonne.
Tradizione e consumi. Era un’attivit consueta nelle famiglie il rammendo dei capi di abbigliamento. Si rammendavano i calzini (e se ricordo l’uovo di legno che era necessario, so bene che molti lettori pi giovani non ne hanno mai visto uno), ma anche magliette, maglioni, pentaloni, gonne. Tutti i tessuti soggetti a lacerazioni a causa dell’uso. Nella nostra contemporaneit il rammendo molto pi raro, i prodotti sono molto pi delicati e il riacquisto molto pi stimolato. il mercato che non vede con favore una lunga durata degli oggetti (e quindi la loro riparazione), preferendo acquisti frequenti. E non solo di calzini.
(Ri)mettere a posto. Nel significato di rammendare c’ appunto il concetto della riparazione che ci apre un mondo da esplorare. Il verbo composto dal prefisso r- (che rafforza il concetto della ripetizione) e da ammendare, che vuol dire correggere e che viene usato pi di quanto un primo sguardo farebbe sospettare. Proviene dal verbo latino emendare, con un cambio di prefisso che viene fatto risalire al XIII secolo.
Quando ci sbagliamo. Ma anche emendare arrivato prestissimo e pressoch intatto nella lingua italiana. Chiarissima l’origine, composto dal prefisso e- (con valore privativo) e menda, che vuol dire errore, difetto. Quindi emendare ha un significato che potremmo definire pi preciso della correzione: vuol dire liberare da imperfezioni e difetti (Tullio De Mauro), correggere qualcuno o qualcosa in senso morale (Sabatini-Coletti). Molte volte abbiamo letto o ascoltato che era stato proposto un emendamento, cio una correzione, un cambiamento a un progetto di legge durante la sua discussione.
Mamma mia, che folla! Avete visto come da un calzino bucato siano emersi cos tanti modi per dire che ci siamo sbagliati. Perch, se menda come sinonimo di errore, o difetto non grave, magari facilmente rimediabile, ce lo siamo un po’ perso nel linguaggio comune, molto pi frequente incontrare l’aggettivo mendace, che definisce ci che fondato sulla menzogna e sull’inganno. Diventa un sostantivo quando identifica una persona che mente abitualmente e in modo deliberato. E lo fa talmente spesso perch afferma il mendacio, una bugia, una frottola, una menzogna.
Piccola digressione burocratica. Negli ultimi anni si sono moltiplicate le occasioni in cui possiamo presentare delle autocertificazioni. Sono documenti in cui noi presentiamo delle dichiarazioni firmate al posto dei certificati rilasciati dalla pubblica amministrazione, relativamente ai nostri requisiti personali. In tutte queste occasioni, il modello di autocertificazione che utilizziamo, ci ricorda che, se non diciamo la verit, cio se facciamo dichiarazioni mendaci, siamo passibili di essere accusati di falso ideologico, che un preciso reato penale.
Il contrario di esatto. Insomma, abbiamo visto come tutta questa famiglia di parole si fondi su un’evidenza: l’errore, l’imprecisione, lo strappo fanno parte della nostra vita, almeno quanto la bugia e le falsit. Per ognuna di queste inesattezze materiali o morali, abbiamo costruito dei metodi di correzione, dei rammendi o degli emendamenti. E quando abbiamo sbagliato abbiamo fatto ammenda, cio abbiamo cercato di riparare. Per cercare di convincerci meglio, nel diritto, non basta chiedere scusa e una ammenda consiste nel pagamento di una determinata somma (e in qualche caso, se non la paghiamo possiamo perfino essere arrestati). A meno che non ci salvi un condono.
Una questione storica. Fin da quando abbiamo avuto bisogno di coprirci per difendere il corpo dalle temperature pi rigide, abbiamo avuto bisogno di tessuti. E questi abbiamo dovuto trattarli, tagliarli, cucirli e per un tempo lunghissimo rammendarli. Noi siamo stati discepoli delle bestie nelle arti pi importanti: del ragno nel tessere e nel rammendare, della rondine nel costruire le case, degli uccelli, del cigno e dell’usignolo nel canto. E questo ce lo ricordava il filosofo Democrito nel V secolo a.C., che secondo Luciano di Samosata, sarebbe morto a 109 anni. Beh, qualche rammendo l’avr dovuto fare anche lui.
27 settembre 2023 (modifica il 27 settembre 2023 | 09:25)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
, L’articolo originale è stato pubblicato da, https://www.corriere.it/scuola/23_settembre_27/rammendo-riparazione-fisica-o-morale-un-po-fuori-moda-66a727fe-5bda-11ee-b894-a8f9c0d08a24.shtml, , https://rss.app/feeds/0kOk1fn8PPcBHYnU.xml, Paolo Fallai,