Inefficace il reclutamento affidato ai soli concorsi per esami
Non è solo l’esperienza ormai pluriennale a dimostrare l’insufficienza e l’inefficacia di un reclutamento affidato ai soli concorsi per esami, che sarebbero l’unica via attraverso cui verificare i requisiti di qualità professionale richiesti a chi insegna, e al tempo stesso la medicina adatta a guarire la “supplentite” che affligge il sistema. Premesso che è facilmente dimostrabile, dati alla mano, come quest’ultima malattia non solo non sia stata curata a dovere, ma tenda a cronicizzarsi, sarebbe più in generale davvero auspicabile una riconsiderazione, attenta alla realtà dei fatti e non viziata da ideologismi, degli orientamenti che in materia di reclutamento hanno caratterizzato le scelte di ben sei governi (dalla “messa in esaurimento” delle graduatorie permanenti decisa dal Governo Prodi – Fioroni nel 2007, fino alle misure Conte – Bussetti per il contrasto al precariato, di natura dichiaratamente transitoria).
In tale contesto, affrontare anche il tema di come attestare competenze e attitudini di chi vuole insegnare, quale che sia il canale di accesso ai ruoli da cui proviene, nell’ipotesi in cui i percorsi di reclutamento possano essere più di uno. Ai sei Governi prima citati ne segue ora un settimo, da poco insediato, al quale chiediamo anzitutto di rimettere in pista e condurre al traguardo un decreto la cui necessità e urgenza appaiono di tutta evidenza. Subito dopo, di riaprire un confronto complessivo sulla materia, per rivedere quella che ad oggi si propone come soluzione a regime, cioè un reclutamento affidato a soli concorsi periodici per esami.
Questi devono senz’altro rimanere, come opportunità immediata di accesso all’insegnamento per chi esce da percorsi di studio lunghi e impegnativi: se ne deve anzi garantire, più di quanto non sia fin qui avvenuto, una regolare cadenza. Nel contempo, con un sistema scolastico strutturalmente destinato a utilizzare, inevitabilmente, quote non irrilevanti di lavoro precario, valorizzare l’esperienza professionale acquisita sul campo da coloro ai quali si affida, a volte per anni e anni, la cura dei nostri alunni in ogni ordine e grado di scuola rappresenta un’opportunità e un dovere.
Opportunità, perché l’esperienza maturata costituisce una risorsa che sarebbe assurdo e sbagliato disperdere; dovere, perché come tale si configura, di non abusare del lavoro precario e di garantirne dopo tempi congrui una stabilizzazione, come sancito espressamente in ambito comunitario. Quanto alle garanzie di qualità professionale che il reclutamento deve soddisfare: è noto che l’assunzione in ruolo si perfeziona solo dopo il superamento di un periodo definito “di formazione e di prova”, non essendo ritenuto di per sé sufficiente, per attestare competenze e attitudine all’insegnamento, l’esito positivo delle prove concorsuali.
Un modello teoricamente ineccepibile, che tuttavia, declinato nel concreto di una realtà in cui è molto estesa l’area del lavoro precario, non di rado svolto per un numero considerevole di anni, può determinare effetti paradossali. Come nel caso, non infrequente, di un vincitore di concorso che abbia alle spalle una consistente esperienza di precariato. Ora, e solo ora, sarà “messo alla prova”, e chiamato a formarsi, per decidere se è all’altezza di svolgere efficacemente il lavoro al quale in teoria si accinge, ma che in realtà svolge da numerosi anni.
Con l’esempio appena fatto non solo si descrive una situazione paradossale, ma si indica una pista di riflessione e di ragionamento su cui è possibile procedere se da quel paradosso si vuole uscire. Riflessione che sta alla base dell’ipotesi di reclutamento “a due canali” su cui la CISL Scuola ha più volte sollecitato l’attenzione e il confronto, da ultimo con un dossier pubblicato il 5 dicembre 2018, nel quale fra l’altro si legge: “L’esigenza del sistema scolastico di poter far conto su apporti professionali di provata qualità va soddisfatta, oltre che con percorsi di studio di elevato profilo, con modalità di reclutamento che prevedano in ogni caso la presenza sistematica di consistenti azioni formative, quale che sia il canale di selezione considerato”.
Una proposta che rilanciamo al nuovo Governo e in generale a tutte le forze politiche interessate a dare alla nostra scuola, prezioso “bene comune” da salvaguardare e promuovere per tutti, una stabilità del lavoro che è anche presupposto indispensabile all’efficacia e alla qualità dell’offerta formativa.
Fonte dell’articolo: CISL Scuola