Referendum in Donbass, cosa chiedeva la Russia e cosa cambia ora

Referendum in Donbass, cosa chiedeva la Russia e cosa cambia ora

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Resi noti i risultati. Il 4 ottobre è fissato il voto per l’annessione dei territori occupati

Referendum, secondo Mosca. «Farsa», secondo il mondo. Dopo sette mesi d’invasione militare e ora che il 95% dei votanti ha detto sì all’annessione — in territori dove si votava con il fucile puntato e gran parte degli abitanti se ne sono andati —, la Russia allarga i suoi confini. Esattamente come fece nel 2014, dopo la proclamazione dei risultati in Crimea. Solo che allora non c’era una guerra in corso e si festeggiava con fuochi d’artificio e feste in piazza: la comunità internazionale si limitò alle sanzioni. Stavolta, la partita dell’Anschluss di Putin è tutta da giocare.

— Qui le notizie sulla guerra di oggi, 28 settembre



Che cosa chiedevano i referendum?

I quesiti erano diversi. Alle autoproclamate repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, le prime due regioni del Donbass occupate militarmente il 24 febbraio, si chiedeva un’integrazione nella Federazione russa. C’era già stato un referendum nel 2014 e, con una secessione armata, era già stata proclamata l’indipendenza dall’Ucraina nel 2014, con la firma un accordo di mutua assistenza lo scorso dicembre (e formalmente, erano stati i loro leader a chiedere in febbraio l’intervento militare russo). Zaporizhzhia e Kherson, conquistate da Putin dopo sette mesi di guerra, hanno invece chiesto sia la secessione dall’Ucraina, sia l’annessione alla Russia, senza nemmeno passare per una fittizia proclamazione d’indipendenza.

Che cosa succede ora?

Con la scontata proclamazione dei risultati, nasce il Nono Distretto della Federazione russa che dunque comprende cinque aree: Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia, Kherson e la Crimea. Mosca darà presto un nome a queste regioni annesse che, nel volere di Putin, diverranno Russia a tutti gli effetti. Venerdì, il presidente russo parlerà alla Duma di Mosca ed è probabile annunci ufficialmente l’annessione. Il 4 ottobre, senza sorprese, è fissato il voto di ratifica della Camera Alta. Putin avrebbe individuato anche il suo inviato speciale nell’area: Dmitry Rogozin, leader d’un partito di destra, ex direttore dell’agenzia spaziale russa ed ex ambasciatore presso la Nato (qui l’approfondimento sui 13 osservatori italiani del referendum farsa).

Che cosa cambia nei territori occupati?

Secondo gli ucraini, nulla: «Andiamo avanti con la controffensiva per liberare le nostre regioni», dice il ministro degli Esteri, Dmitro Kuleba. Secondo il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, cambia tutto: «Le leggi interne, le relazioni internazionali, la sicurezza». Quest’ultima è la parola-chiave, al momento: stando alla dottrina militare russa, una legge che Mosca ha aggiornato due anni fa, la controffensiva ucraina nelle zone invase diventa ora «un’aggressione alla sovranità russa», con la conseguenza che la Russia potrà usare ogni mezzo (anche le armi nucleari) «per difendere il territorio». L’Operazione militare speciale, nella logica del Cremlino, si trasforma così in una guerra difensiva. E i nuovi cittadini russi delle quattro regioni sono chiamati ad arruolarsi, nella mobilitazione popolare parziale, esattamente come tutti gli altri. Sono già partite le cartoline precetto: (ex) ucraini obbligati a combattere contro ucraini.

Quanta parte d’Ucraina controlla adesso la Russia?

Le quattro regioni annesse, assieme alla Crimea, costituiscono nel totale il 15 per cento del territorio ucraino. Ma Mosca non lo controlla tutto: a Zaporizhzhia l’esercito russo domina la regione, ma non il capoluogo; a Kherson, ha invaso i grandi centri ma non le campagne. Anche nel Donetsk e nel Lugansk, ci sono zone ancora contese. Solo la Crimea, occupata nel 2014, è saldamente annessa alla Russia e collegata dal ponte di Kerch che Putin fece costruire dopo l’Anschluss e che gli ucraini, in un futuro e per ora impossibile negoziato, vogliono sia abbattuto.

Come reagirà la comunità internazionale?

Al momento, nessuno riconosce quest’annessione. Nemmeno Paesi da sempre fedeli a Mosca, come il Kazakistan o l’Uzbekistan. Solo la Bielorussia del dittatore Lukashenko e due staterelli-fantoccio nati da secessioni armate di filorussi e isolati dal mondo, vedi l’Abkhazia e la Transnistria, hanno detto che accetteranno i nuovi confini russi. Al Consiglio di sicurezza dell’Onu è stata presentata una risoluzione di condanna, primi firmatari l’Albania e gli Stati Uniti, ma il potere del veto di Mosca ne rende impossibile l’approvazione: sarebbe un segnale, però, se Cina e India s’astenessero. Molte cose potrebbero cambiare, però, in ogni senso: nemmeno il referendum per l’indipendenza della Crimea fu riconosciuto, all’inizio, ma via via diversi governi – da Cuba al Nicaragua, dalla Corea del Nord alla Siria – finirono per allinearsi. Quanto peserà, questa volta, la dura risposta dell’Occidente?

28 settembre 2022 (modifica il 28 settembre 2022 | 12:57)

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, 2022-09-28 20:29:00, Resi noti i risultati. Il 4 ottobre è fissato il voto per l’annessione dei territori occupati, Francesco Battistini, inviato a Kiev

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