Referendum, il quinto quesito sulle candidature nel Csm

Referendum, il quinto quesito sulle candidature nel Csm

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di Giovanni BianconiDomenica 12 giugno si potrà votare, insieme alle Comunali, sì o no su cinque referendum centrati sulla giustizia. Con il sì niente più raccolta di firme. Ma è una modifica già contenuta nella riforma Cartabia Il quesito del referendum del 12 giugno pubblicizzato dai promotori come «riforma del Consiglio superiore della magistratura» (scheda verde) incide in realtà su un requisito minimo e marginale per le candidature dei togati all’organo di autogoverno. Superato il meccanismo delle liste, l’attuale sistema elettorale prevede che chi vuole provare a farsi eleggere debba presentarsi con il sostegno di almeno 25 colleghi, e un massimo di 50: un accorgimento per evitare candidature velleitarie e, al contrario, plebiscitarie. Il referendum propone di abolire questo supporto, lasciando libero ogni magistrato di candidarsi senza raccogliere alcuna firma. L’obiettivo dichiarato è limitare il potere delle correnti nella composizione del Csm che, in particolar modo nell’ultimo periodo, hanno pesantemente condizionato i risultati delle consultazioni. Basti pensare che all’ultima, nel 2018, per i quattro posti riservati alla categoria dei pubblici ministeri si sono presentati quattro candidati, uno per ciascuna corrente dell’Associazione nazionale magistrati, rendendo scontato l’esito della votazione. Tuttavia l’eliminazione di quel minimo requisito difficilmente sarà sufficiente a limitare il potere dei gruppi organizzati. Un po’ perché la raccolta di 25 firme, su una platea di circa 9.000 elettori, non sembra così inarrivabile per chi abbia un minimo di possibilità di essere eletto; e un po’ perché anche in presenza di candidature singole o minoritarie, quelle sostenute da aggregazioni collettive già strutturate finirebbero comunque per prevalere. Ne sono consapevoli gli stessi promotori del referendum e i partiti che lo sostengono (l’intero centro-destra più Italia viva, +Europa e Azione), che però lo considerano un primo passo per smantellare il controllo dell’elettorato passivo tra i magistrati da parte delle correnti. Soprattutto pensando agli uffici giudiziari molto piccoli, dove le toghe in servizio possono essere anche meno di 25 e nei quali un singolo magistrato non iscritto ad alcun gruppo può decidere di provare a entrare al Csm. Al contrario, la sostanziale irrilevanza dell’eventuale vittoria dei Sì rispetto al fenomeno che si vuole contrastare svela — nell’opinione degli oppositori — la natura ingannevole del quesito: si fa credere di votare per una riforma pressoché inesistente. Tanto più in presenza di un disegno di legge già approvato dalla Camera per un nuovo sistema elettorale del Csm che abolisce anch’esso la presentazione delle firme, ma all’interno di una più generale modifica dei meccanismi per la scelta dei consiglieri togati. La proposta avanzata dalla ministra Cartabia, di cui è prevista l’immediata entrata in vigore dopo il varo definitivo in modo che il prossimo Csm possa essere scelto con le nuove regole, prevede un sistema maggioritario binominale, con una quota riservata al proporzionale per lasciare maggiori opportunità a candidature indipendenti o meno sostenute dalle correnti. Ma alcuni dei partiti che l’hanno votata alla Camera, come Lega e Forza Italia, non sono convinti della sua efficacia e insistono per ulteriori modifiche; dopo il 12 giugno i giochi in Senato potrebbero riaprirsi. 8 giugno 2022 (modifica il 8 giugno 2022 | 10:51) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-06-08 08:51:00, Domenica 12 giugno si potrà votare, insieme alle Comunali, sì o no su cinque referendum centrati sulla giustizia. Con il sì niente più raccolta di firme. Ma è una modifica già contenuta nella riforma Cartabia, Giovanni Bianconi

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