Regionalizzazione, rischio aumento gap: in Sicilia solo il 10% fa il tempo pieno alla primaria, in Piemonte il 51%. Lo dice Svimez

Regionalizzazione, rischio aumento gap: in Sicilia solo il 10% fa il tempo pieno alla primaria, in Piemonte il 51%. Lo dice Svimez

Spread the love

Il Ministro per gli Affari Regioni Roberto Calderoli, sin dal primo giorno di mandato ha subito puntato sul progetto di autonomia differenziata che già è presente in una bozza di disegno di legge. In attesa di comprendere se, come e quando la scuola verrà inserita nel progetto di regionalizzazione, alcuni dati mostrano come esistano differenze evidenti fra le regioni del Sud e del Nord.

Il dubbio sollevato da molti è che l’autonomia differenziata, specialmente su alcuni settori come l’istruzione e la sanità, possa far aumentare la forbice fra Nord e Sud del Paese.

L’Agenzia per la coesione territoriale, riporta La Repubblica, ha recentemente pubblicato un aggiornamento del report sui conti pubblici, facendo anche delle stime sull’andamento per il 2023. Secondo questi dati la spesa pubblica procapite è pari a poco meno di 19 mila euro in Lombardia, in Piemonte poco meno di 18 mula euro, in Veneto 16 mila euro; mentre al Sud la Sicilia si ferma a poco più di 14 mila euro, la Calabria a 15 mila euro e la Campania a 13.700 euro. Cifre, queste, riferite al settore pubblico allargato e destinate a politiche sociali, sanità, istruzione, amministrazioni, opere pubbliche, gestione dell’acqua, beni culturali, ambiente e cura del territorio.

Interviene anche Luca Bianchi, il direttore della Svimez, l’associazione di studi sul Mezzogiorno, che prima di tutto osserva come la riforma Calderoli non prende in considerazione come “ridurre divari che sono sotto gli occhi di tutti“:

Al di là del dibattito su chi riceve più risorse pubbliche, in settori come sanità, scuola e infrastrutture che riguardano il cuore della vita dei cittadini e i loro diritti di cittadinanza, non c’è dato che possa smentire la differenza di spesa dello Stato. La verità è che non c’è alcun dibattito pubblico, men che meno nei partiti di governo, su come garantire un minimo di riavvicinamento tra le aree del Paese, non solo sull’asse Nord-Sud ma anche su quello città-periferia, città-aree interne“, aggiunge Bianchi.

A titolo di esempio, l’associazione Svimez riporta alcuni dati sulla scuola primaria, prendendo come riferimento l’ultimo rapporto del 2022, che vedeva il 50% dei bambini in Lombardia ed Emilia-Romagna frequentare classi a tempo pieno, in Piemonte il 51%. Numeri ben distanti da quelli di Sicilia (10%), Calabria (24%) e Campania (18%).

Le palestre scolastiche? In Veneto il 48 per cento degli studenti non ha una palestra nell’istituto che frequenta, in Sicilia oltre l’80 per cento.

E in aggiunta, secondo l’indagine Openpolis la spesa procapite del Comune di Milano per i servizi aggiuntivi nella scuola primaria, quindi mense e trasporti per esempio, è di 34 euro, nel Comune di Palermo non arriva a 10 euro. 

Sicuramente con le risorse del Pnrr, che prevedono proprio fondi e interventi su tempo pieno, palestre e mense scolastiche, qualcosa probabilmente si smuoverà in tal senso, ma un progetto di regionalizzazione potrebbe comunque, a parere di alcuni economisti scettici, generare delle differenze sostanziali fra le Regioni fragili e quelle “produttive”.

Sono proprio gli Enti locali del Sud ad esprimere le prime perplessità sul progetto di Calderoli, tanto che 53 sindaci hanno scritto al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, per intervenire e scongiurare l’autonomia differenziata.

Il Ministro Calderoli, nei giorni scorsi ha replicato a quanti lo hanno additato di voler spaccare l’Italia: “Adesso basta con gli attacchi che sfociano in offese e anche di peggio. Sono stato paziente per settimane ma adesso si è passato il limite, sono stanco di leggere sui quotidiani Il Mattino o il Messaggero frasi tipo lo ‘spacca Italia’ del ministro Calderoli riferito al disegno di legge sull’autonomia differenziata o lo strappo di Calderoli. Io da ministro ho giurato sulla Costituzione, che sancisce l’unità nazionale, per cui scrivere che voglio spaccare l’Italia significa darmi dello spergiuro. Questa è diffamazione, forse addirittura calunnia, perché mi si attribuisce un’inventata volontà di spaccare il Paese“,  afferma il ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie.

Il dossier della Camera

Lo scorso settembre un dossier della Camera aveva ripreso la questione facendo il punto della situazione.

L’articolo 116, terzo comma della Costituzione – si legge sul documento della Camera – prevede la possibilità di attribuire forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni a statuto ordinario (c.d. “regionalismo differenziato” o “regionalismo asimmetrico”, in quanto consente ad alcune Regioni di dotarsi di poteri diversi dalle altre), ferme restando le particolari forme di cui godono le Regioni a statuto speciale (art. 116, primo comma).

L’ambito delle materie nelle quali possono essere riconosciute tali forme ulteriori di autonomia concernono: tutte le materie che l’articolo 117, terzo comma, attribuisce alla competenza legislativa concorrente;

un ulteriore limitato numero di materie riservate dallo stesso articolo 117 (secondo comma) alla competenza legislativa esclusiva dello Stato: organizzazione della giustizia di pace; norme generali sull’istruzione; tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna: gli accordi preliminari

Bisogna però partire dall’inizio e tornare al 2017, quando il tema dell’autonomia regionalizzata ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, è sorto a seguito delle iniziative intraprese da Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna.

Dopo aver sottoscritto tre accordi preliminari con il Governo a febbraio 2018, su richiesta delle tre regioni, il negoziato è proseguito ampliando il quadro delle materie da trasferire rispetto a quello originariamente previsto. Nel frattempo altre regioni hanno intrapreso il percorso per la richiesta di condizioni particolari di autonomia, che hanno dovuto però interrompere le iniziative a causa del covid.

Quattro settori coinvolti

Per alcune materie, tra cui l’Istruzione (non quella professionale), servirà la definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni. Allo stato attuale ogni regione potrà chiedere che nella propria intesa le venga riconosciuta una più forte autonomia in materia (salvo le prerogative che sono in capo alle singole scuole).

Sono quattro le materie coinvolte: la scuola, la sanità, l’ambiente e le politiche del lavoro, materie sulle quali verrà aperta la trattativa. Alle Regioni virtuose sarà consentito di ottenere un aumento delle somme destinate alle prestazione. Si ipotizza di prevedere un monitoraggio ogni tre anni. Non verrà erogato un solo euro in più: tanto lo Stato spende, tanto lo Stato darà.

La bozza del disegno di legge “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione” risulta completa, in questa nuova formulazione, con alcune modifiche rispetto alla bozza elaborata dal ministro Maria Stella Gelmini nell’aprile 2022.

All’articolo 3 si parla anche di scuola. I livelli essenziali di prestazione sono applicati, infatti, anche in questo settore. Ad esempio, entro il 2027, ogni Comune dovrà mettere a disposizione il 33% dei posti negli asili nido per i bambini di fascia 0-3 anni e fissare i numeri di alunni e docenti per ogni scuola e classe.

Si legge: “Nelle materie di cui all’articolo 117, norme generali sull’istruzione, tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, della Costituzione e nelle materie della tutela e sicurezza sul lavoro, dell’istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale, e della tutela della salute, (…) il trasferimento delle competenze legislative o delle funzioni amministrative e delle risorse corrispondenti ha luogo a seguito della definizione dei relativi livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”

Con la proposta di regionalizzazione, dunque, si rischia un vero e proprio processo separatista per la scuola: programmi diversi a livello regionale, sistemi di reclutamento territoriale e meccanismo di finanziamento differenziati. Migliaia di docenti transiterebbero, secondo quanto segnala il quotidiano, nei ruoli della Regione con effetti sulla contrattazione nazionale e possibili differenziazioni salariali territoriali.

La proposta di legge, si specifica, non significa che una Regione potrà modificare il programma didattico o svolgere attività di insegnamento, che rimane riservata allo Stato. Ciò su cui l’autonomia potrà incidere è l’organizzazione. L’obiettivo a cui mirano le Regioni è iniziare un anno scolastico con i docenti assegnati alle classi fin dal primo giorno. Non è in discussione l’autonomia delle scuole nel fissare i programmi, né i concorsi per le assunzioni. I livelli essenziali di prestazione saranno fissati entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge.

Prima del trasferimento di competenze lo Stato dovrà approvare i livelli essenziali delle prestazioni, entro un anno secondo la bozza.

BOZZA DDL [PDF]

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.