Le Regioni sono oramai fallite

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Le regioni sono state una delle grandi novit della Costituzione repubblicana. La loro istituzione all’inizio degli anni ’70, vincendo l’ostruzionismo di maggioranza dei partiti di governo, rappresent un’apertura della democrazia e della rappresentanza. Era un altro mondo, diviso in blocchi contrapposti, e l’Italia era un paese di confine tra quei due blocchi. Il partito comunista italiano, il pi grande dell’occidente, veniva tenuto lontano dal governo, pur rappresentando un terzo dell’elettorato. Era la conventio ad excludendum, che ha bloccato il nostro sistema politico per oltre quarant’anni e per superare la quale Aldo Moro stato barbaramente ucciso dai terroristi. In quel mondo, l’attuazione del regionalismo voluto dalla Costituzione ha rappresentato un elemento positivo, dando sbocco rappresentativo a forze che non avevano accesso al governo nazionale per ragioni geopolitiche. Finita quella stagione, le regioni sono entrate nel tritacarne dei tanti tentativi di riformare le nostre istituzioni, in risposta all’indebolimento progressivo della legittimazione dei partiti fondatori della Repubblica che, con la loro forza, avevano supplito ad alcune debolezze della forma di governo italiana. Le riforme, per, non si sono fatte, tranne quella del regionalismo con le due leggi costituzionali della fine della tredicesima legislatura. Senza troppi giri di parole, una riforma sbagliata. E lo per molti motivi, ma soprattutto per la forma di governo regionale che ha disegnato, del tutto nuova alla teoria costituzionalistica e nella quale il presidente della giunta , di fatto, un sovrano assoluto. La classificazione delle forme di governo inizia con l’affermazione della separazione dei poteri, in assenza della quale non ha alcun senso porsi il problema di quali siano gli organi di vertice di un’istituzione politica e di quali siano i rapporti tra essi. Il principio illuminista della separazione dei poteri si afferm definitivamente in epoca rivoluzionaria, sia nell’Europa continentale, dove diede luogo alla nascita e alla successiva evoluzione della forma di governo parlamentare, sia negli Stati Uniti d’America, dove prese la forma del governo presidenziale. La Costituzione americana approvata a Filadelfia nel 1787 fonda su una rigida separazione tra potere legislativo, affidato al congresso, e potere esecutivo, affidato al governo presieduto da un presidente elettivo. Nessuno dei due poteri pu interrompere il mandato dell’altro: il congresso non pu sfiduciare il presidente e il suo governo e il presidente non pu sciogliere anticipatamente il congresso. Questo modello l’archetipo del presidenzialismo. La forma parlamentare, all’opposto, prevede sempre che il governo sia espressione del collegio titolare del potere legislativo. Indipendentemente da ogni altra sfumatura, per aversi una forma parlamentare deve esserci un rapporto fiduciario tra governo e parlamento, venuto meno il quale, il governo obbligato a dimettersi e il parlamento pu e deve formare un nuovo governo. Naturalmente, le cose nel mondo di oggi sono pi complesse di cos, ma a grandi linee, al netto della forma direttoriale adottata solo in Svizzera, tutto ruota intorno a queste due alternative nette: separazione rigida dei poteri o rapporto fiduciario tra governo e parlamento. Anche la forma semipresidenziale francese, in fondo, risponde a questa schematizzazione, pur potendo oscillare tra un equilibrio presidenziale e uno parlamentare, a seconda della omogeneit o disomogeneit tra il presidente eletto direttamente e la maggioranza espressa dall’Assemblea nazionale. In Italia, quando, oltre venti anni fa, si deciso di riformare il regionalismo, anzich attingere alle diverse possibili sfumature di questi modelli consolidati e sperimentati, si voluto inventare un sistema nuovo. Il presidente della regione eletto direttamente, ma controlla il consiglio regionale, non solo in ragione del premio che le leggi elettorali riconoscono al vincitore dandogli cos una maggioranza solida, ma soprattutto in ragione del principio per cui se il consiglio lo sfiducia si scioglie automaticamente e si torna alle elezioni. Cos, da un lato il presidente eletto direttamente non ha un riequilibrio nell’organo rappresentativo, come avviene nel sistema americano, nel quale il presidente pu trovarsi anche con una maggioranza parlamentare del partito avverso. Nessuna vera separazione tra esecutivo e legislativo, a fronte della legittimazione diretta che li caratterizza entrambi. D’altro lato, per, non vi nemmeno un legame tra i due poteri che abbia al centro l’organo rappresentativo, che esprime il governo, come avviene nelle forme parlamentari attraverso il rapporto fiduciario. Il presidente, infatti, non pu essere sostituito, perch la sfiducia ha come conseguenza lo scioglimento degli organi regionali e il ritorno alle elezioni. Va da s che nessun presidente eletto sia mai stato sfiduciato dal consiglio, perch nessuno ha voglia di interrompere il proprio mandato. Il risultato di questo disegno istituzionale senza senso lo strapotere assoluto di ciascun presidente nel suo piccolo regno sempre pi autonomo. Ogni presidente di regione ha un rapporto diretto con il suo elettorato senza nessuna mediazione dell’assemblea rappresentativa. I presidenti, legittimati dall’elezione diretta, devono, poi, alimentare la dinamica feudale di protezione degli interessi locali in cambio del potere assoluto che gli viene delegato e, quindi, si pongono nei confronti del governo nazionale in contrapposizione rivendicativa, salvo avviare trattative e chiudere accordi come fosse una negoziazione tra Stati, come alcuni di essi sembrano intenzionati a fare sull’autonomia differenziata. Ha perfettamente ragione Aldo Schiavone quando dice che prima di discutere di qualunque modifica dell’attuale assetto necessario riflettere sul passato. E la risposta alla sua domanda, per quanto mi riguarda, che, fatto salvo il momento iniziale che ha avuto un significato di ampliamento della democrazia rappresentativa, il regionalismo italiano stato un disastro. La Costituzione immaginava le regioni in funzione del pluralismo istituzionale e dell’ampliamento della rappresentanza politica, mentre l’attuale forma di governo ha inserito nel sistema una venatura autoritaria della quale avremmo fatto volentieri a meno. E la dinamica competitiva tra regioni, e tra queste e lo Stato, ha dato luogo al progressivo disgregarsi dell’unit nazionale, rispetto alla quale l’ulteriore autonomia richiesta sarebbe davvero il suicidio dello Stato. necessario approvare riforme ampie che razionalizzino il sistema, riequilibrando il potere degli esecutivi regionali, che allo stato non trova di fatto alcun limite se non quello del buon cuore e del buon gusto dei singoli presidenti. Solo cos le regioni potranno tornare a essere un ampliamento della democrazia rappresentativa e solo allora si potr eventualmente discutere di diverse articolazioni della loro autonomia. 16 dicembre 2022 | 10:44 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-12-16 09:45:00, Le regioni sono state una delle grandi novit della Costituzione repubblicana. La loro istituzione all’inizio degli anni ’70, vincendo l’ostruzionismo di maggioranza dei partiti di governo, rappresent un’apertura della democrazia e della rappresentanza. Era un altro mondo, diviso in blocchi contrapposti, e l’Italia era un paese di confine tra quei due blocchi. Il partito comunista italiano, il pi grande dell’occidente, veniva tenuto lontano dal governo, pur rappresentando un terzo dell’elettorato. Era la conventio ad excludendum, che ha bloccato il nostro sistema politico per oltre quarant’anni e per superare la quale Aldo Moro stato barbaramente ucciso dai terroristi. In quel mondo, l’attuazione del regionalismo voluto dalla Costituzione ha rappresentato un elemento positivo, dando sbocco rappresentativo a forze che non avevano accesso al governo nazionale per ragioni geopolitiche. Finita quella stagione, le regioni sono entrate nel tritacarne dei tanti tentativi di riformare le nostre istituzioni, in risposta all’indebolimento progressivo della legittimazione dei partiti fondatori della Repubblica che, con la loro forza, avevano supplito ad alcune debolezze della forma di governo italiana. Le riforme, per, non si sono fatte, tranne quella del regionalismo con le due leggi costituzionali della fine della tredicesima legislatura. Senza troppi giri di parole, una riforma sbagliata. E lo per molti motivi, ma soprattutto per la forma di governo regionale che ha disegnato, del tutto nuova alla teoria costituzionalistica e nella quale il presidente della giunta , di fatto, un sovrano assoluto. La classificazione delle forme di governo inizia con l’affermazione della separazione dei poteri, in assenza della quale non ha alcun senso porsi il problema di quali siano gli organi di vertice di un’istituzione politica e di quali siano i rapporti tra essi. Il principio illuminista della separazione dei poteri si afferm definitivamente in epoca rivoluzionaria, sia nell’Europa continentale, dove diede luogo alla nascita e alla successiva evoluzione della forma di governo parlamentare, sia negli Stati Uniti d’America, dove prese la forma del governo presidenziale. La Costituzione americana approvata a Filadelfia nel 1787 fonda su una rigida separazione tra potere legislativo, affidato al congresso, e potere esecutivo, affidato al governo presieduto da un presidente elettivo. Nessuno dei due poteri pu interrompere il mandato dell’altro: il congresso non pu sfiduciare il presidente e il suo governo e il presidente non pu sciogliere anticipatamente il congresso. Questo modello l’archetipo del presidenzialismo. La forma parlamentare, all’opposto, prevede sempre che il governo sia espressione del collegio titolare del potere legislativo. Indipendentemente da ogni altra sfumatura, per aversi una forma parlamentare deve esserci un rapporto fiduciario tra governo e parlamento, venuto meno il quale, il governo obbligato a dimettersi e il parlamento pu e deve formare un nuovo governo. Naturalmente, le cose nel mondo di oggi sono pi complesse di cos, ma a grandi linee, al netto della forma direttoriale adottata solo in Svizzera, tutto ruota intorno a queste due alternative nette: separazione rigida dei poteri o rapporto fiduciario tra governo e parlamento. Anche la forma semipresidenziale francese, in fondo, risponde a questa schematizzazione, pur potendo oscillare tra un equilibrio presidenziale e uno parlamentare, a seconda della omogeneit o disomogeneit tra il presidente eletto direttamente e la maggioranza espressa dall’Assemblea nazionale. In Italia, quando, oltre venti anni fa, si deciso di riformare il regionalismo, anzich attingere alle diverse possibili sfumature di questi modelli consolidati e sperimentati, si voluto inventare un sistema nuovo. Il presidente della regione eletto direttamente, ma controlla il consiglio regionale, non solo in ragione del premio che le leggi elettorali riconoscono al vincitore dandogli cos una maggioranza solida, ma soprattutto in ragione del principio per cui se il consiglio lo sfiducia si scioglie automaticamente e si torna alle elezioni. Cos, da un lato il presidente eletto direttamente non ha un riequilibrio nell’organo rappresentativo, come avviene nel sistema americano, nel quale il presidente pu trovarsi anche con una maggioranza parlamentare del partito avverso. Nessuna vera separazione tra esecutivo e legislativo, a fronte della legittimazione diretta che li caratterizza entrambi. D’altro lato, per, non vi nemmeno un legame tra i due poteri che abbia al centro l’organo rappresentativo, che esprime il governo, come avviene nelle forme parlamentari attraverso il rapporto fiduciario. Il presidente, infatti, non pu essere sostituito, perch la sfiducia ha come conseguenza lo scioglimento degli organi regionali e il ritorno alle elezioni. Va da s che nessun presidente eletto sia mai stato sfiduciato dal consiglio, perch nessuno ha voglia di interrompere il proprio mandato. Il risultato di questo disegno istituzionale senza senso lo strapotere assoluto di ciascun presidente nel suo piccolo regno sempre pi autonomo. Ogni presidente di regione ha un rapporto diretto con il suo elettorato senza nessuna mediazione dell’assemblea rappresentativa. I presidenti, legittimati dall’elezione diretta, devono, poi, alimentare la dinamica feudale di protezione degli interessi locali in cambio del potere assoluto che gli viene delegato e, quindi, si pongono nei confronti del governo nazionale in contrapposizione rivendicativa, salvo avviare trattative e chiudere accordi come fosse una negoziazione tra Stati, come alcuni di essi sembrano intenzionati a fare sull’autonomia differenziata. Ha perfettamente ragione Aldo Schiavone quando dice che prima di discutere di qualunque modifica dell’attuale assetto necessario riflettere sul passato. E la risposta alla sua domanda, per quanto mi riguarda, che, fatto salvo il momento iniziale che ha avuto un significato di ampliamento della democrazia rappresentativa, il regionalismo italiano stato un disastro. La Costituzione immaginava le regioni in funzione del pluralismo istituzionale e dell’ampliamento della rappresentanza politica, mentre l’attuale forma di governo ha inserito nel sistema una venatura autoritaria della quale avremmo fatto volentieri a meno. E la dinamica competitiva tra regioni, e tra queste e lo Stato, ha dato luogo al progressivo disgregarsi dell’unit nazionale, rispetto alla quale l’ulteriore autonomia richiesta sarebbe davvero il suicidio dello Stato. necessario approvare riforme ampie che razionalizzino il sistema, riequilibrando il potere degli esecutivi regionali, che allo stato non trova di fatto alcun limite se non quello del buon cuore e del buon gusto dei singoli presidenti. Solo cos le regioni potranno tornare a essere un ampliamento della democrazia rappresentativa e solo allora si potr eventualmente discutere di diverse articolazioni della loro autonomia. 16 dicembre 2022 | 10:44 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,

Pietro Guerra

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