editoriale Mezzogiorno, 20 novembre 2022 – 10:31 Si parla di Reddito di cittadinanza e pensioni, ma non di nuova occupazione di Mario Rusciano Avevano detto tutti, partiti e leader (di destra e sinistra), che lavoro e occupazione erano prioritari nei loro pensieri e tali sarebbero stati nell’azione di governo, specie per giovani e Mezzogiorno. Eravamo nella breve, caldissima campagna elettorale. E, si sa, prima delle elezioni – praticamente sempre (ora per le regionali in Lazio e Lombardia) – si bada più all’aumento dei consensi che alla realizzabilità delle promesse. Ma siccome da impresa e lavoro dipendono crescita economica e tenuta sociale del Paese, ci si aspettava che chiunque fosse andato al governo certamente avrebbe subito avanzato qualche idea sensata in materia. Nell’oggettiva impossibilità d’affrontare assieme tanti gravi annosi problemi del lavoro, ci s’aspettava almeno l’invenzione d’un metodo per capire in tempi ragionevoli le cause della mancanza, precarietà e povertà del lavoro mentre incombono le conseguenze della pandemia e della guerra in Europa: caro-energia; inflazione; recessione; povertà. Il metodo è necessario perché le questioni del lavoro e dell’occupazione hanno molte complicate sfaccettature e richiedono perciò progetti e sinergie tempestive di molti attori. Anzitutto tra imprese (private e pubbliche) e organizzazioni imprenditoriali e sindacali. Poi di governo, di Regioni ed enti locali; di pubbliche amministrazioni. L’articolo 4 Cost. prevede un vasto programma: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro» e aggiunge «promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto». Nella prima formula il diritto è solo “riconosciuto” a tutti. Un’utopia nell’economia di mercato: è impossibile “assicurarlo” a tutti. Ma nella seconda formula specialmente gli attori citati, impersonando la repubblica, sono tenuti ad adoperarsi per trasformare il diritto da utopico in effettivo. Domanda: il governo – quindi la ministra del lavoro Calderone – cosa ha fatto finora anche soltanto per programmare strategie adatte a tale obiettivo? Specialmente al ministro del lavoro toccherebbe sollecitare, raccogliere e coordinare idee e progetti per l’occupazione, provenienti da altri ministeri e/o da istituzioni e soggetti pubblici e privati. Invece, al momento, parlando di lavoro, si parla d’altro. Dominano la politica soltanto due temi, che col vero lavoro hanno poco a che vedere. Primo: riduzione o addirittura scomparsa del Reddito di cittadinanza, peraltro con idee fumose, impraticabili e socialmente rischiose. Secondo: pensione a quota 41, promessa da Salvini e ora da mantenere in vista delle elezioni in Lombardia, per lui complicate. Dunque nulla sul vero lavoro. Tranne l’effetto positivo che forse avrà l’iniziativa della presidente Meloni, che ha ascoltato – separatamente – le rappresentanze sociali: Confindustria per gli imprenditori e Cgil-Cisl e Uil per i lavoratori, più l’Ugl. L’esito degli ascolti – la riduzione del cuneo fiscale – è senza dubbio importante: a favore dell’impresa per un terzo e dei lavoratori per due terzi. Una riduzione auspicata da destra e sinistra perché diminuisce il costo del lavoro e aumenta i salari. Speriamo si realizzi: se costano meno i lavoratori, gl’imprenditori saranno incentivati ad assumere aumentando l’occupazione? In realtà, dell’accordo tra governo e parti sociali sul cuneo fiscale, va valorizzato un diverso aspetto. In un momento terribilmente critico dell’economia italiana, forse con l’accordo si è rasserenato il clima conflittuale delle relazioni industriali. Il che consentirebbe di riparlare dell’opportunità di un grande “Patto sociale” tra imprenditori e lavoratori, tramite le rispettive organizzazioni rappresentative. Sostituendo al conflitto la partecipazione, tali organizzazioni riuscirebbero a fare, in autonomia, un patto del genere. E la ministra Calderone si sveglierebbe dal torpore e presterebbe attenzione agl’interventi governativi necessari all’occupazione. Solo la contrattazione sindacale può contribuire a uscire dalla crisi economica seguendo l’enorme cambiamento del lavoro, dovuto alla trasformazione ecologica, alla digitalizzazione e in genere alla tecnologia. Cambiamento che tocca, ovviamente con caratteristiche diverse tutti i settori produttivi e le categorie professionali: dall’agricoltura all’industria; dall’artigianato al commercio; dalla logistica al turismo; dai beni culturali ai servizi; dalle professioni al terzo settore. Poi, col metodo d’una nuova e serrata concertazione tra poteri pubblici e parti sociali potrà elaborarsi un programma articolato d’interventi strutturali su politiche industriali, sviluppo economico e salvezza d’imprese floride abbandonate da investitori esteri. Il ministro del lavoro potrà così portare al tavolo del Governo esigenze e istanze suggerite congiuntamente dal Patto e dalla contrattazione tra parti sociali. E stabilire contatti con gli altri ministri, specie con quello dello Sviluppo Economico, per sensibilizzarli e coordinarne gl’impegni. Raccordare inoltre l’opera del governo con quella dei responsabili d’altri poteri pubblici competenti, centrali e locali. Con le Regioni in particolare: sui Centri per l’impiego e sulla formazione di nuovi profili professionali, necessari alle imprese e paradossalmente introvabili. Non serve fare subito leggi e decreti; ora serve programmare, magari in sede Cnel, ipotesi di soluzione dei problemi con l’obiettivo di creare occasioni di lavoro (vero e produttivo), anche nell’ambito del Next Generation Eu, diretto soprattutto ai giovani e al Mezzogiorno d’Italia. 20 novembre 2022 | 10:31 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-11-20 09:32:00, Si parla di Reddito di cittadinanza e pensioni, ma non di nuova occupazione,
Pietro Guerra
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