Il sociologo e presidente della Fondazione Hume Luca Ricolfi, che di recente ha scritto un libro sul merito, ha rilasciato un’intervista a ItaliaOggi in cui ha parlato di merito e meritocrazia a scuola, di sistemi scolastici, docenti e giovani.
Ecco le sue parole: “La scuola ha abbassato gli standard per venire incontro ai ‘non capaci e meritevoli’, rilasciando falsi certificati a quasi tutti. Ma in realtà, così facendo, non si è limitata a trascurare i ‘bravi a scuola’, costretti a subire il rallentamento della classe per assecondare il ritmo di apprendimento dei meno bravi, ma ha danneggiato anche i meno bravi, cui non ha fornito tutto ciò che avrebbe potuto e dovuto”, ha esordito.
“Gli insegnanti erano rispettati e temuti”
Ricolfi ha fatto anche un confronto: “Nel mondo della scuola la competizione, l’emulazione, l’umiliazione, l’alienazione, la frustrazione si producono al 90% sul terreno della popolarità sui social, e al 10% su quello dei voti. E comunque, sul piano della valutazione, la scuola è infinitamente meno ansiogena di quella degli anni ’60, quando gli insegnanti erano rispettati e temuti”.
E, sul reclutamento dei docenti e la loro valutazione: “Una volta credevo fosse possibile selezionare i docenti in base al merito, oggi mi sono convinto che sarebbe quasi impossibile farlo in modo equo ed accurato, almeno nella scuola pubblica e con la mentalità odierna. Nessuno ha il coraggio di tornare ai vecchi e serissimi concorsi di abilitazione, che andrebbero più che bene, e si finirebbe invece per valutare masse di insegnanti o aspiranti tali con la macchina infernale dei test. Che nella maggior parte dei casi si rivelano uno strumento estremamente inaccurato e cervellotico, come mostrano le recenti polemiche sul test di ingresso a medicina. Semmai io affiderei ai dirigenti scolastici, magari affiancati da un paio di docenti esperti, il compito cruciale di individuare e allontanare dall’insegnamento i docenti manifestamente incapaci di insegnare, che sono dannosissimi e a mio parere sono almeno 1 su 20”.
“È molto difficile, perché ci si finirebbe per basare le retribuzioni su indicatori esteriori e quantitativi, come la partecipazione a commissioni o l’assiduità, anziché sull’unica cosa veramente importante: la capacità di fare una buona lezione, di appassionare gli allievi, e di farli crescere culturalmente”, ha aggiunto.
Sì alla divisa a scuola
E, sul rapporto tra genitori e scuola: “Il problema numero 1 della scuola è l’abdicazione dei genitori, la loro incapacità o volontà di educare i figli”. Ricolfi è favorevole all’introduzione della divisa a scuola: “Avrebbe due effetti: primo, eliminare perdite di tempo (per addobbarsi), e distrazioni, (per ‘mirare ed essere mirati’, come direbbe Leopardi); secondo impedire ai figli dei ceti medi e alti di ostentare il proprio status, umiliando o mortificando i ragazzi di più umili origini”.
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