Inviato da Giancarlo Marcelli – Sulla stampa, a preludio dell’imminente inizio dell’anno scolastico, si annunciano per la scuola superiore alcune possibili innovazioni.
Il debutto dei docenti tutor nell’ultimo triennio (secondo biennio e quinto anno come da norma, DPR87-88-89 vigente), la valorizzazione del voto di comportamento (condotta!) che se appena sufficiente costringerà lo studente a elaborare, per la valutazione di ammissione alla classe successiva, un elaborato di cittadinanza solidale, e infine la sperimentazione ideata per gli istituti tecnici e professionali che vedono a partire dall’anno scolastico 2024/2025 ridotta la durata del percorso studi da 5 a 4 anni con, a parere del Ministro Valditara, “sbocco naturale per gli studenti di tali indirizzi sugli ITS (Istituti tecnologici superiori)” attualmente frequentati da diplomati tecnici, professionali e liceali.
Questa definizione del percorso studi per gli Istituti culturalmente meno forti mi preoccupa e provo a rappresentarne le motivazioni, suffragate da un’esperienza scolastica quarantennale come Docente di discipline scientifiche, Dirigente di Istituti Tecnici e professionali e attualmente presidente di un ITS glorioso di periferia.
A me quello proposto appare la riedizione del modello Gentiliano degli Istituti secondari superiori, con l’ordinamento liceale racchiuso nelle prospettive universitarie, solo adeguate alla classe dirigente e gli ordinamenti tecnici e professionali ricondotti verso formazioni in cui si curano le abilità e non le conoscenze sotto lo slogan del passato “se non hai voglia di studiare vai a lavorare”, quasi se per lavorare bene non occorra aver sviluppate competenze acquisibili in circostanze di approfondimento scientifico e tecnico, non raggiungibili con accorciamenti mutilanti dei corsi ne con coinvolgimenti utili, ma non identificativi, delle imprese.
Per tale semplice valutazione, Egregio Sig. Ministro, mi permetta di suggerirle un’adeguata valutazione della proposta perché non si crea futuro con un numero minore di anni di insegnamento, ma così si codificano differenze culturali e si impoveriranno gli ITS che non potranno più coinvolgere a regime i giovani liceali tutti ovviamente protesi verso le Università.
Per le aziende forse la manualità sarà una risorsa da patrocinare, ma per il futuro sociale tutti dovrebbero avere le stesse condizioni di successo, con modelli scolastici ricchi di contenuti culturali armonizzati con quelli scientifici, ma non ridotti a compendi di conoscenza. Poi se di questo se ne potrà parlare nelle sedi appropriate fra operatori e non solo politici , forse si condurrà una riflessione adeguata e non pasticciata, come a me appare la proposta.
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