La riforma degli istituti tecnici e professionali e la revisione del voto di condotta, appena approvata dal Consiglio dei Ministri, ha scatenato un dibattito politico acceso.
Mentre alcuni vedono in queste misure un passo avanti per responsabilizzare gli studenti e avvicinare il mondo scolastico alle esigenze delle imprese, altri le etichettano come “classiste” e “anacronistiche.”
Angelo Bonelli, co-portavoce di Europa Verde e deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, denuncia la riforma come una norma che “subordina la formazione degli studenti alle esigenze delle imprese” e che “crea studenti di serie A e serie B.” Secondo Bonelli, quest’ultimo gruppo sarà escluso dall’università, e l’istruzione diventerà semplicemente un addestramento alle esigenze del mercato.
Dall’altra parte, Mariastella Gelmini, senatrice e portavoce di Azione, vede positivamente il ritorno al voto in condotta e ritiene che la riforma sia “un passo in avanti per costruire un sistema formativo che risponda sia alle esigenze delle imprese che alle aspettative dei giovani.” Gelmini elogia il richiamo a Industria 4.0 e sottolinea l’importanza dei decreti attuativi della legge sugli ITS, auspicando una rapida approvazione.
Sorge così la questione cruciale: dov’è il confine tra formazione e addestramento? È possibile creare un sistema scolastico che prepari gli studenti sia per l’università che per il mondo del lavoro senza cadere nel classismo? Questi sono interrogativi che il Parlamento dovrà affrontare nelle prossime settimane, poiché la riforma potrebbe avere un impatto duraturo sull’istruzione e sul futuro dei giovani italiani.
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