di Antonio Polito
Un libro dello storico Miguel Gotor rivela il ’68 prima del ’68 nei testi di Caselli e Morandi. Ma lo spirito del Festival non ha sempre precorso i cambiamenti culturali. Talvolta ha anzi dimostrato la reazione popolare a quei cambiamenti
Ormai chiaro che non sono solo canzonette. Con la sua sbornia di musica leggera e di polemiche pesanti, Sanremo ci ha testimoniato per l’ennesima volta l’intreccio tra il cambiamento culturale e la forma canora che di solito assume in Italia. Lo schema si ripete: un/una cantante, pi o meno sinceramente, salta sulla tendenza del momento e ne fa una bandiera, i conservatori indignati da quella tendenza denunciano il tentativo di sdoganarla usando la platea pi nazionalpopolare che ci sia.
Quest’anno toccato alla canzone di Rosa Chemical, accusata a Montecitorio da una parlamentare della destra di portare sul palco dell’Ariston il sesso, l’amore poligamo e i porno su Only Fans. Ottenendo l’ovvia risposta che sesso, amore poligamo e porno dilagavano sui device dei nostri figli ben prima di Sanremo e continueranno dopo.
In realt ben pi scandalose e anticipatrici dei tempi che stavano per arrivare, quasi un Sessantotto prima del Sessantotto, furono canzoni come Nessuno mi pu giudicare di Caterina Caselli, la quale gi nel 1965 sanciva che ognuno ha il diritto di vivere come pu. Oppure, per venire a un cantante che allora interpretava il ruolo del comunista figlio del popolo e ancora oggi sulla breccia, il Gianni Morandi pacifista che nel ‘66 cant contro la guerra del Vietnam C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones. Quei testi e quei temi hanno cos influenzato l’evoluzione del costume nazionale che uno storico serio e bravo come Miguel Gotor vi ha dedicato ampi brani del suo libro sulla Generazione Settanta, uscito per Einaudi.
Sbaglieremmo per se pensassimo che lo spirito di Sanremo abbia sempre precorso i cambiamenti culturali: talvolta ha dimostrato anche la reazione popolare a quei cambiamenti.
Leggo dallo stesso libro di Gotor il caso abbastanza clamoroso di Gigliola Cinquetti, che nel 1964 trionf con Non ho l’et. Anche grazie a una spregiudicata operazione di marketing discografico, la giovanissima cantante dal viso acqua e sapone ricevette centinaia di migliaia di lettere dai suoi fan nei mesi successivi alla vittoria di Sanremo, che la mitizzavano come un sicuro argine di purezza davanti all’irreversibile decadenza dei costumi corrotti del tempo.
Un signore di Roma, per esempio, la salutava come baluardo contro le molteplici aberrazioni della nostra squinternata giovent. Una preside di Reggio Emilia la esaltava come una novella Lucia manzoniana. Una ragazza di Novara diceva di identificarsi in lei perch non indosserebbe mai una minigonna e non si innamorerebbe mai di un capellone. Qualcuno chiedeva addirittura a santa Gigliola i soldi per pagarsi cure mediche o il riscaldamento, e perfino qualche vestito dismesso da poter riusare.
Il caso Cinquetti ci dovrebbe forse ricordare, evidentemente mutatis mutandis, che nel vasto pubblico della canzonetta italiana c’ anche una consistente opinione conservatrice, non solo progressisti ansiosi di adeguarsi allo spirito del tempo. Anche perch, come scriveva sant’Agostino, siamo noi il tempo; come siamo noi, cos sar il nostro tempo.
19 febbraio 2023 (modifica il 19 febbraio 2023 | 10:09)
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