Mezzogiorno, 16 ottobre 2022 – 08:33 di Mario Rusciano L’elezione dei Presidenti delle Camere – movimentata da troppe sorprese imbarazzanti, di destra e sinistra – è istituzionalmente la vicenda più importante degli ultimi giorni. Prodromica di future scelte governative e tensioni nella maggioranza. Ma sul piano economico-sociale suscita interesse l’intervista del segretario Cgil Landini dopo la manifestazione nell’anniversario dell’assalto fascista alla sede Cgil (Corriere della Sera, 10 ottobre). Se infatti la maggiore rappresentanza parlamentare è quella che è, occorre guardare anche alla rappresentanza sociale: finora trascurata, ma forse destinata a un ruolo non banale. Tra l’intento di Giorgia Meloni di consultare le parti sociali e l’intervista di Maurizio Landini, è ipotizzabile un «dialogo sociale» che, per quanto possibile, compensi arretramenti e divisioni della sinistra. L’orizzonte sociale è oscuro, specie nel Mezzogiorno. Landini lo sottolinea: bollette energetiche insostenibili; chiusura d’imprese; disoccupazione in aumento; inflazione e recessione; povertà salariale. L’intervista richiama alla mente la storia dei rapporti sindacati-partiti (di sinistra) e ne fa intuire le metamorfosi. Un tempo si diceva che la Cgil facesse da «cinghia di trasmissione» del Pci. E l’egemonia nel mondo del lavoro della Cgil, dominata dai socialcomunisti, provocò scissioni sindacali. Tra fine ’40 e inizi ’50 del ‘900, uscirono dall’unica Confederazione i lavoratori cattolici e nacque la Cisl; i lavoratori «laici» (né comunisti né cattolici) e nacque la Uil. Ma dopo le scissioni, sindacati e partiti in pratica imitarono la cinghia di trasmissione: se la Cgil fiancheggiava il Pci, la Cisl fiancheggiava la Dc e la Uil repubblicani e socialdemocratici di Saragat (cui s’aggiunsero socialisti ex Cgil). Poi perfino la destra costruì un ponte sindacale aggregando sindacati autonomi nella Cisnal (oggi Ugl). D’altronde sindacati e partiti (sinistra e cattolicesimo democratico) coltivavano grosso modo il medesimo terreno, analoghi essendo gl’interessi sottostanti: in autonomia e sedi diverse, talora divisi. Comunque dialogavano: i sindacati chiedevano ai partiti appoggio politico delle loro strategie e i partiti approfittavano della forza d’urto dei sindacati e del peso elettorale degli aderenti. Era l’epoca della grande industria manifatturiera e della classe operaia, trainante il mondo del lavoro l’economia e addirittura l’intera società. La lotta sindacale unitaria generò un’autentica cultura dei diritti nei cittadini e nei gruppi organizzati. Alla conquista dei diritti del lavoro si deve l’allargamento (culturale, legislativo) dei diritti di cittadinanza. Che sono adesso in pericolo e vanno difesi ad ogni costo. Certo, da allora tutto è mutato. Oggi l’industria manifatturiera — che impiegava milioni di operai — pur non completamente scomparsa, con la rivoluzione tecnologica ha cambiato l’organizzazione produttiva a scapito dell’occupazione. Sostituendosi al lavoro umano sofisticate macchine tecnologiche, in evoluzione inarrestabile, sono naturali le ripercussioni sociali. Difatti il settore terziario (più o meno avanzato) prevale sul settore manifatturiero. Viviamo nella società post-industriale. Un fenomeno epocale: licenziamenti di massa; frammentazione e precarietà del lavoro; diversificazione di professionalità e luoghi di lavoro. Quindi moltiplicazione delle forme giuridiche dei contratti di lavoro, agevolata dalla cultura neo-liberista, che ha contagiato financo parte della sinistra. Disoccupazione e precarietà hanno indebolito sindacati e partiti di sinistra. Questi, di fronte allo sconquasso del mondo del lavoro e ai relativi effetti sulla stratificazione di classi e ceti sociali, non hanno saputo identificare qualità e quantità degl’interessi da rappresentare e difendere. E si son fatti trovare impreparati nell’intuire e leggere i cambiamenti della realtà sociale: un po’ perché abbarbicati al secolo scorso; un po’ perché perdenti iscritti e simpatizzanti; un po’ per scarsità di risorse finanziarie. Di qui la freddezza, o meglio l’interruzione, dei tradizionali rapporti sindacati-partiti. Perciò ora Landini dice di volere contatti diretti con Meloni «quando ci sarà il governo». E alla domanda se nel suo comizio avesse fatto «un’apertura di credito verso Meloni», Landini risponde: «La nostra è un’apertura di credito verso la democrazia». Dopo la vittoria, la destra «ha il diritto-dovere di governare» e «noi giudicheremo, come sempre, i governi per quello che fanno». Ancora: «La Cgil non ha pregiudizi, ma il sindacato vuole essere ascoltato prima che vengano prese le decisioni». Poi, alla domanda se «la Cgil non sarà un punto di riferimento dell’opposizione», Landini risponde: «Per me il sindacato non può essere né di governo né di opposizione, ma un soggetto autonomo, democratico e che avanza proposte e fa contratti per ottenere risultati» e «senza risposte concrete siamo pronti alle mobilitazioni necessarie». Infine, incalzato su chi preferisce tra Pd, M5S e Azione risponde che ha piacere se alcune forze politiche s’avvicinano all’agenda della Cgil condividendone le proposte. Perché «in un Paese che ha un livello di astensione del 40% c’è un problema che riguarda tutti i partiti: come ricostruire una cultura politica fondata sul lavoro e sulla partecipazione». Come concludere? È evidente che, in una stagione terribilmente complicata dell’economia, è alto il rischio di tensioni sociali proporzionate ai disagi sociali. Com’è impellente ed essenziale sia il dialogo sindacati-partiti sia la concertazione col Governo. Due esigenze auspicabili ma di assai difficile realizzazione. 16 ottobre 2022 | 08:33 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-10-16 06:34:00, Mezzogiorno, 16 ottobre 2022 – 08:33 di Mario Rusciano L’elezione dei Presidenti delle Camere – movimentata da troppe sorprese imbarazzanti, di destra e sinistra – è istituzionalmente la vicenda più importante degli ultimi giorni. Prodromica di future scelte governative e tensioni nella maggioranza. Ma sul piano economico-sociale suscita interesse l’intervista del segretario Cgil Landini dopo la manifestazione nell’anniversario dell’assalto fascista alla sede Cgil (Corriere della Sera, 10 ottobre). Se infatti la maggiore rappresentanza parlamentare è quella che è, occorre guardare anche alla rappresentanza sociale: finora trascurata, ma forse destinata a un ruolo non banale. Tra l’intento di Giorgia Meloni di consultare le parti sociali e l’intervista di Maurizio Landini, è ipotizzabile un «dialogo sociale» che, per quanto possibile, compensi arretramenti e divisioni della sinistra. L’orizzonte sociale è oscuro, specie nel Mezzogiorno. Landini lo sottolinea: bollette energetiche insostenibili; chiusura d’imprese; disoccupazione in aumento; inflazione e recessione; povertà salariale. L’intervista richiama alla mente la storia dei rapporti sindacati-partiti (di sinistra) e ne fa intuire le metamorfosi. Un tempo si diceva che la Cgil facesse da «cinghia di trasmissione» del Pci. E l’egemonia nel mondo del lavoro della Cgil, dominata dai socialcomunisti, provocò scissioni sindacali. Tra fine ’40 e inizi ’50 del ‘900, uscirono dall’unica Confederazione i lavoratori cattolici e nacque la Cisl; i lavoratori «laici» (né comunisti né cattolici) e nacque la Uil. Ma dopo le scissioni, sindacati e partiti in pratica imitarono la cinghia di trasmissione: se la Cgil fiancheggiava il Pci, la Cisl fiancheggiava la Dc e la Uil repubblicani e socialdemocratici di Saragat (cui s’aggiunsero socialisti ex Cgil). Poi perfino la destra costruì un ponte sindacale aggregando sindacati autonomi nella Cisnal (oggi Ugl). D’altronde sindacati e partiti (sinistra e cattolicesimo democratico) coltivavano grosso modo il medesimo terreno, analoghi essendo gl’interessi sottostanti: in autonomia e sedi diverse, talora divisi. Comunque dialogavano: i sindacati chiedevano ai partiti appoggio politico delle loro strategie e i partiti approfittavano della forza d’urto dei sindacati e del peso elettorale degli aderenti. Era l’epoca della grande industria manifatturiera e della classe operaia, trainante il mondo del lavoro l’economia e addirittura l’intera società. La lotta sindacale unitaria generò un’autentica cultura dei diritti nei cittadini e nei gruppi organizzati. Alla conquista dei diritti del lavoro si deve l’allargamento (culturale, legislativo) dei diritti di cittadinanza. Che sono adesso in pericolo e vanno difesi ad ogni costo. Certo, da allora tutto è mutato. Oggi l’industria manifatturiera — che impiegava milioni di operai — pur non completamente scomparsa, con la rivoluzione tecnologica ha cambiato l’organizzazione produttiva a scapito dell’occupazione. Sostituendosi al lavoro umano sofisticate macchine tecnologiche, in evoluzione inarrestabile, sono naturali le ripercussioni sociali. Difatti il settore terziario (più o meno avanzato) prevale sul settore manifatturiero. Viviamo nella società post-industriale. Un fenomeno epocale: licenziamenti di massa; frammentazione e precarietà del lavoro; diversificazione di professionalità e luoghi di lavoro. Quindi moltiplicazione delle forme giuridiche dei contratti di lavoro, agevolata dalla cultura neo-liberista, che ha contagiato financo parte della sinistra. Disoccupazione e precarietà hanno indebolito sindacati e partiti di sinistra. Questi, di fronte allo sconquasso del mondo del lavoro e ai relativi effetti sulla stratificazione di classi e ceti sociali, non hanno saputo identificare qualità e quantità degl’interessi da rappresentare e difendere. E si son fatti trovare impreparati nell’intuire e leggere i cambiamenti della realtà sociale: un po’ perché abbarbicati al secolo scorso; un po’ perché perdenti iscritti e simpatizzanti; un po’ per scarsità di risorse finanziarie. Di qui la freddezza, o meglio l’interruzione, dei tradizionali rapporti sindacati-partiti. Perciò ora Landini dice di volere contatti diretti con Meloni «quando ci sarà il governo». E alla domanda se nel suo comizio avesse fatto «un’apertura di credito verso Meloni», Landini risponde: «La nostra è un’apertura di credito verso la democrazia». Dopo la vittoria, la destra «ha il diritto-dovere di governare» e «noi giudicheremo, come sempre, i governi per quello che fanno». Ancora: «La Cgil non ha pregiudizi, ma il sindacato vuole essere ascoltato prima che vengano prese le decisioni». Poi, alla domanda se «la Cgil non sarà un punto di riferimento dell’opposizione», Landini risponde: «Per me il sindacato non può essere né di governo né di opposizione, ma un soggetto autonomo, democratico e che avanza proposte e fa contratti per ottenere risultati» e «senza risposte concrete siamo pronti alle mobilitazioni necessarie». Infine, incalzato su chi preferisce tra Pd, M5S e Azione risponde che ha piacere se alcune forze politiche s’avvicinano all’agenda della Cgil condividendone le proposte. Perché «in un Paese che ha un livello di astensione del 40% c’è un problema che riguarda tutti i partiti: come ricostruire una cultura politica fondata sul lavoro e sulla partecipazione». Come concludere? È evidente che, in una stagione terribilmente complicata dell’economia, è alto il rischio di tensioni sociali proporzionate ai disagi sociali. Com’è impellente ed essenziale sia il dialogo sindacati-partiti sia la concertazione col Governo. Due esigenze auspicabili ma di assai difficile realizzazione. 16 ottobre 2022 | 08:33 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,