di Greta Privitera
Un tweet del collaboratore del ministro degli Interni ucraino: «Grazie, signor Brambilla per il suo lavoro». Tornato a casa, l’ex primario di vulnologia ci racconta le storie dei piccoli pazienti e il motivo per cui ha deciso di partire
«Ah certo, ma quello è Arthom», dice sorridendo Roberto Brambilla, che nella foto è il signore dai capelli bianchi alla destra del giovane paziente. Arthom ha 14 anni ed è arrivato all’ospedale pediatrico Saint Nicholas di Leopoli dopo il bombardamento russo dell’8 aprile alla stazione di Kramatorsk, nell’Ucraina orientale. Aveva una ferita molto profonda sulla coscia, Brambilla e i suoi colleghi gli hanno ricostruito i vasi e «chiuso il buco» – dice proprio buco, Brambilla. Senza le tecniche della medicina rigenerativa gli avrebbero dovuto amputare la gamba, ci spiega il dottore dalla sua casa di Vimercate, in Brianza.
Quando lo chiamiamo, Brambilla non ha idea di essere diventato «famoso» su Twitter . Lui Twitter non ce l’ha e nessuno l’ha chiamato per dirgli che il suo nome e cognome – tra i più comuni in Lombardia, – è finito in un tweet di ringraziamento del collaboratore del ministro degli Interni ucraino, Anton Gerashchenko: «Quando è iniziata la guerra, il chirurgo italiano Roberto Brambilla è arrivato in Ucraina come volontario. Ha aiutato a salvare un quindicenne con ferite gravi dopo l’attacco di Kramatorsk. Ora il ragazzino può ancora camminare. Grazie, signor Brambilla».
Italian surgeon Roberto Brambilla has come to ?? as a volunteer when war began.
He helped save a badly wounded 15-year old guy after the attack on #Kramatorsk train station in April. After receiving artificial skin the teen can walk again.
Thank you, Signor Brambilla! pic.twitter.com/5Ljk0ZBW6l
— Anton Gerashchenko (@Gerashchenko_en) June 29, 2022
Ex primario di vulnologia – da «vulnus», ossia ferita, quella branca della medicina che si occupa delle lesioni cutanee – all’istituto Zucchi di Monza, 68 anni, consigliere comunale a Vimercate, quando è iniziata la guerra è partito per Leopoli con la Ong Soleterre* e ci è rimasto 70 giorni. Ci dice: «Di lavoro rimargino ferite».
Spieghi.
«Curo le lesioni cutanee. Sono specializzato in medicina rigenerativa, una tecnica nata all’inizio degli anni 2000 che aiuta a far rimarginare ferite e ulcere prima impossibili da curare attraverso l’applicazione di una pelle artificiale. Così non lasciamo neanche cicatrici, che in effetti ha un valore anche metaforico. In Ucraina vuol dire cancellare, almeno sulla pelle, i mali della guerra».
Era mai stato in guerra?
«Non proprio, ero stato in zone in cui c’era stata la guerra».
Che cosa l’ha spinto ad andare?
«Il signor Giulio».
Chi è?
«Un paziente che ho conosciuto nel 2014. Quando è iniziata la guerra ho ripensato alla sua storia e ho deciso di partire. Giulio è un 80enne che è venuto nel mio ambulatorio con una ricetta del medico che diceva: Si richiede visita per ferite di guerra. Ma che guerra sarà mai stata, mi sono chiesto. Nel 1945, all’età di 11 anni Giulio è rimasto ferito sotto le bombe cadute a Milano. Da allora la sua vita è stata segnata dalla presenza di piaghe, perché fino a qualche anno fa, le ulcere non guarivano. Ma per fortuna la scienza medica ha fatto passi da gigante. Con le nostre cure, Giulio è guarito in due mesi, ci ha messo 69 anni».
E cosa c’entra con l’Ucraina?
«Mi sono detto: ma quanti bambini come Giulio ci saranno sotto le bombe russe? Sono partito».
Quanti bambini ha curato?
«Settantadue».
Conosce il numero preciso.
«Anche i nomi. Sono in contatto con quasi tutte le famiglie che ho curato. Proprio questa mattina mi è arrivato un messaggio di Yara, una bambina rimasta ferita sempre a Kramatorsk. Ha perso entrambe le gambe, la madre quella destra, il fratello e il padre sono morti. Adesso è negli Stati Uniti per le protesi e la riabilitazione, mi ha mandano foto da lì. Stessa cosa con Igor».
Un altro bambino?
«Un ragazzo di 15 anni. É arrivato da noi con una ferita sul collo di 15 centimetri di diametro. É arrivato a piedi con un pezzo di granata ancora dentro. Anche lui era alla stazione di Kramatorsk. Quando è caduto il primo missile era al riparo, poi è uscito a cercare sua nonna ed è arrivato il secondo missile. Sogna di fare il judoka e ora il suo sogno è salvo, il collo è tornato come prima».
Mi racconti una giornata al Saint Nicholas di Leopoli.
«Passavo circa 14 ore al giorno in sala operatoria. Quando non operavo formavo i medici in università. Leopoli non ha subito la guerra come altre città ucraine, però ne vive gli effetti».
Cioè?
«A Leopoli vedi la guerra ovunque. Sulle panchine prese d’assalto dai profughi. Negli ospedali: in due mesi ho visto arrivare duemila pazienti. La vedi in stazione con la calca di gente che scappa, con le quindici ambulanze che ogni mattina aspettano il treno di Medici senza Frontiere che porta i feriti da tutto il Paese».
Quando è tornato a casa?
«A inizio giugno. Non è facile tornare. Faccio fatica a dormire, sogni di operare. Nelle situazioni di emergenza si creano legami ancora più forti, però da un punto di vista lavorativo sono tranquillo: ora loro sanno fare quello che faccio io».
Ripartirà?
«Sì, io non so fare nient’altro: curo ferite».
Soleterre*: La Fondazione Onlus in Ucraina con 30 medici, 45 psicologi, che, tra le cose, finora ha assistito duemila bambini malati oncologici.
30 giugno 2022 (modifica il 30 giugno 2022 | 14:26)
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, 2022-06-30 12:27:00, Un tweet del collaboratore del ministro degli Interni ucraino: «Grazie, signor Brambilla per il suo lavoro». Tornato a casa, l’ex primario di vulnologia ci racconta le storie dei piccoli pazienti e il motivo per cui ha deciso di partire , Greta Privitera