Roberto Vecchioni, l’ex professore e cantautore, ieri, 25 giugno, ha compiuto ottant’anni. L’autore di “Sogna, ragazzo, sogna”, si è concesso ai microfoni de Il Corriere della Sera per una lunga intervista durante la quale ha ripercorso le tappe chiave della sua vita e della sua carriera.
La differenza tra progresso e sviluppo
“Io credo che sia un’età assolutamente uguale a tante altre. Il tempo ha due funzioni: una esterna, che ci debilita o ci opprime. È come scalare ogni giorno una montagna tremenda: è il nostro fisico. Poi c’è l’altra, con Bergson potremmo dire che è l’interiorità di ciascuno di noi. E questa stagione, che riflette il tempo della coscienza, ha poche variazioni. Magari ha slittamenti intellettuali, ideologici, ma la sua natura, dai vent’anni in poi, non si riduce. Anzi, aumenta ogni ora. È un tempo della vita di cui ti sai appropriare. Si è capaci di custodirlo, di assaporarlo con il pensiero. Mentre il destino ha un peso rilevante nella vita fisica, in quella della tua coscienza conta ben poco. È proprio la tua scelta che vince, il libero arbitrio del tuo ragionare e delle tue decisioni”, ha esordito l’ex docente, che qualche settimana fa, in televisione, ha incontrato i suoi ex alunni.
Ecco una riflessione sul mondo di oggi: “Non ci sono più le parole. Pasolini diceva che c’è una differenza tra progresso e sviluppo. Aveva ragione, la forbice si è allargata, sempre di più. Dal punto di vista dello sviluppo può darsi che noi si stia entrando in una fase in cui la parola non serve più, sostituita da emoji, immagini, loghi, segni. Dal punto di vista del progresso siamo alla frutta, se perdiamo la meravigliosa bellezza delle parole. Perché le sfumature, le intercapedini che esistono tra una parola ed un’altra, il prisma di colori che esse contengono, sono decisive per l’intendimento dell’anima. L’anima non è un monolite, ha bisogno di tante sfumature per essere all’altezza della persona che incontri. Ogni parola racconta un’intenzione. Non esistono equivalenze, né in poesia né in letteratura. La parola è una, quella devi usare; se ne scegli un’altra sbagli, confondi il pensiero di chi ti è vicino e non ti racconti come vorresti”.
Vecchioni ha raccontato anche qualche aneddoto sulla sua infanzia: “Ero curiosissimo. Ho cominciato a leggere greco a dieci anni, mio papà mi ha detto che ero pazzo. Ma io, con la testa dura che avevo, a undici anni sapevo già leggere quella che poi è diventata poi la lingua della mia vita. Ma ero normale, non un fenomeno. Andavo in bicicletta in discesa a cento all’ora e non me ne fregava nulla del pericolo. Ero curiosissimo, un grande lettore. Ho cominciato a leggere a sei anni e non mi sono più fermato. Per me il romanzo, la poesia erano il corrispettivo sognato della vita. Ho letto Machiavelli a dodici anni, capendo alcuni principi, me lo sono fatto regalare a Natale. Volevo arrivare a vedere, a capire cosa pensano gli uomini, cosa hanno pensato nel tempo”.
Una riflessione sul tempo e la morte
“Arrivare a ottanta anni è una fatica, ma si è come prima. Quando la mente e il cuore sono come quando hai trent’anni, il resto cambia poco. L’infinita bellezza di avere ottanta anni è che ti viene l’idea che tu non morirai. Il giovane ha naturalmente paura della morte. Forse i giovani di oggi no, perché vanno in giro a fare quelle cose orribili, proprio perché hanno perduto le parole. Invece il vecchio pensa che sarà un addormentarsi lento. Non è una fine, è un vivere in un altro modo. Nel Prometeo c’è una frase che spiega tutto: ‘Io ho tolto agli uomini la paura della morte. Come hai fatto? Ho immesso nei loro cuori speranze cieche’. Questa è la forza che ci manda avanti. La speranza non ci fa vedere più indietro. Andiamo avanti così. E non pensiamo alla morte. Tutti pensiamo al lavoro, a fare l’amore, alla vacanza. Nessuno pensa alla morte, perché siamo pieni di tante altre cose meravigliose che ha immesso in noi il Creatore, o la Natura, proprio per evitarci questo pensiero”, ha concluso il cantante.
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