di Barbara Visentin
Yungblud, fenomeno da oltre 3,5 miliardi di stream globali: abbiamo tanto da dire ma non veniamo presi sul serio
«Non è solo musica, è un movimento». Yungblud quando racconta come è diventato un fenomeno della Generazione Z spesso parla al plurale. Inglese, 25 anni, Dominic Harrison (così all’anagrafe) è un concentrato di energia e affetto: voce graffiante, look punk rock, ai suoi live abbraccia, stringe mani, ringrazia quanti più fan possibili. Loro alzano bandiere arcobaleno, lanciano reggiseni e regali, cantano in coro i suoi brani che hanno oltre 3,5 miliardi di stream globali.
È considerato la voce della Generazione Z: si riconosce?
«Sono una voce nella Generazione Z. Ho iniziato a scrivere perché ho capito che non venivamo presi sul serio: abbiamo tanto da dire, ma siamo stati derubati della nostra voce. La prima volta in cui ho potuto usarla è stato votando per la Brexit e lì ci siamo sentiti traditi. Poi ho visto che era uguale dappertutto e così è iniziato Yungblud. Abbiamo un’unica regola: l’amore. Tutte le altre le rompiamo».
Come artista non si sentiva preso sul serio?
«Sono stato subito etichettato. La vecchia generazione non capisce il nuovo rock, ma il segno che il rock è tornato è proprio la gente che lo odia, perché c’è dibattito. Il rock è stato noioso e addormentato per anni, ora parla di nuovo».
Nei suoi brani c’è molta sofferenza. Cosa risponde a chi pensa sia una posa?
«Vengano ai miei show. Yungblud è iniziato con ragazzi che si vestivano come me, ma ora sta diventando un posto per mamme, nonni, sorelle, figli. Per gente di ogni colore, sessualità ed età».
Che cambiamenti vuole la sua generazione?
«Sono già in atto, penso all’omicidio di George Floyd: momenti come quello portano la gente a combattere. Penso al rapper Kanye West e alle sue uscite antisemite: oggi non si possono più dire certe cose disgustose ed essere perdonati, ci si deve prendere le proprie responsabilità. Un tempo quando venivi bullizzato a scuola la gente si voltava dall’altra parte, ora i ragazzi si fanno sentire».
Dove è cresciuto com’era?
«Non c’era dialogo. Io mi sono sempre sentito un ragazzo, ma ricordo dei miei compagni che facevano fatica. Ora, quando vedo le persone non binarie che usano i pronomi they/them mi ci sento sempre più in sintonia, anche per il mio gender. Mi sembra liberatorio ed egualitario, eradica le ideologie del passato e la misoginia».
I suoi genitori?
«Sono cresciuto in una famiglia turbolenta e a casa mia succedevano varie cose abusive. Ma i miei genitori sono sempre stati abbastanza felici di quel che volevo fare, anche quando mettevo lo smalto o tingevo i capelli. Ho avuto più problemi con gli insegnanti perché avevo tante opinioni e questo non piaceva. Così ho iniziato a nascondermi».
Quando ha ritrovato la sua voce?
«Tra i 15 e i 17 anni, sono scappato di casa per andare a Londra. Per me non è mai stata una questione di hit o di mode, è iniziato tutto perché ho guardato l’iPhone e ho chiesto se qualcun altro si sentisse come me: hanno risposto in milioni».
Il 10 marzo sarà al Forum di Assago…
«…E fra un paio d’anni farò San Siro, dita incrociate».
12 novembre 2022 (modifica il 12 novembre 2022 | 20:54)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
, 2022-11-12 19:55:00, Yungblud: abbiamo tanto da dire ma non veniamo presi sul serio, Barbara Visentin