di Marco Imarisio
Diversi analisti russi, anche vicini a Putin, hanno reagito con veemenza al ritiro da Kherson. Alcuni invocano il «pugno di ferro»; altri assicurano che si sia trattato di una «mossa strategica»
«La peggiore sconfitta dai tempi del crollo dell’Unione Sovietica».
Così tre giorni fa scriveva di getto sulla resa di Kherson il solitamente accorto Sergey Markov, vecchia volpe della verticale del potere putiniano, consigliere del presidente dal 2011 al 2019, suo alter ego ai vertici dove c’era da mettersi l’elmetto, come i colloqui bilaterali con Polonia e Paesi baltici. Facevano impressione, le sue parole di sconforto. Perché provenivano da un fedelissimo del Cremlino, premiato per i servizi resi con la direzione dell’Istituto di Ricerche politiche, amico e commensale di personaggi importanti come il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, tra gli altri.
«Non sono affatto pentito, e non credo di avere esagerato» dice parlando dalla sua casa immersa nei boschi di Arkhangelskoe, periferia per ricchi moscoviti, abitata da politici e oligarchi. «Non puoi far passare per cioccolata quel che cioccolata non è».
Se tradotta con fedeltà, la frase sarebbe molto più cruda di così e avrebbe una assonanza assoluta con un nostro modo di dire alquanto volgare. Ma è proprio questo il dilemma nel quale si dibatte la galassia degli osservatori di matrice nazionalista, in pratica l’intero mondo dei media di Stato russi. Per dirla in modo più fine, come mettere un vestito elegante a una cattiva notizia, ovvero il ritiro russo sulla sponda orientale del Dnipro.
Dopo attenta riflessione, Markov, amante dell’Italia, del suo cibo e della sua cultura ma pur sempre un falco di prima categoria che teorizza la necessità di eliminare fisicamente Volodymyr Zelensky, se la cava così, rispolverando tra le righe la necessità della mobilitazione totale. «La vittoria di Kherson, perché di questo si tratta, deve diventare l’ultima delle forze armate ucraine. La ragione della loro avanzata autunnale è la semplice superiorità numerica del loro esercito. Ma tra poco ribalteremo questo rapporto di forza, dobbiamo fare di tutto per raggiungere questo obiettivo. Perché a parità tecnica di arsenale bellico, la quantità di soldati disponibili avrà una importanza enorme».
Avanti fino alla fine. Almeno in apparenza, l’eventualità del negoziato esiste solo nella mente dei media occidentali, o in quella di qualche osservatore non allineato e poco influente.
La propaganda russa mischia le carte davanti al suo pubblico, e non sempre il gioco di prestigio riesce. «La nostra causa è giusta e la vittoria sarà nostra». Vladimir Solovyov, il re dei talk di governo, fa ricorso a Stalin, ma la sua espressione tradisce disappunto. «Abbiamo problemi grossi da risolvere, e bisogna farlo usando il pugno di ferro, non solo in Ucraina ma anche a casa nostra». Il bersaglio è la classe dei burocrati, che frenano gli armamenti dell’esercito. La sua rivale Olga Skabeyeva, presentatrice di una striscia quotidiana sul canale Rossiya-1 è meno abile nel dissimulare. «Come si dice, o la va o la spacca. I tempi non sono certo facili. Ma se siamo a questo punto, dipende molto dalla mancanza di rifornimenti alle truppe».
«Quando ti metti sul tavolo del chirurgo, dev’essere piena la fiducia nelle sue mani e nella sua volontà di vittoria. Altrimenti non entri in sala operatoria». Viktor Baranets risponde così alla domanda su eventuali errori del Cremlino. L’esperto militare più quotato dai media russi ha una spiegazione alternativa sulla ritirata da Kherson. «L’obiettivo è creare una linea di difesa che impedisca all’avversario di forzare il fiume. Le truppe saranno ridistribuite puntando a una prossima offensiva, non necessariamente in questo luogo. Voi occidentali non siete abituati alla guerra, siete per il tutto e subito. Come diceva il generale Kutuzov, comandante delle truppe russe contro Napoleone, non è difficile espugnare una fortezza. Ma per vincere la campagna ci vogliono tempo e pazienza».
Anche questa è una citazione molto frequente, negli ultimi tempi. E rappresenta già un passo in avanti verso l’accettazione di uno stato delle cose che molti scelgono invece di ignorare, con buona pace di Markov e dei pochi «realisti» in circolazione.
Ancora ieri il canale ultranazionalista Tsargrad, di proprietà del cosiddetto oligarca di Dio Kostantin Malofeev, cantava vittoria. «Con questa manovra, le truppe russe hanno avuto la meglio sulle forze ucraine, avendo precluso ad esse tutte le vie di avanzata sulle proprie posizioni».
Alla fine, il parere più illuminante è forse quello di Andrey Norkin, idolo delle casalinghe, grandi elettrici di Putin, ospite fisso di un talk del primo pomeriggio in onda su NTV.
«Non aspettatevi una mia valutazione» ha detto in uno slancio di sincerità. «Se affermo che la decisione sul ritiro da Kherson è giusta, viene fuori che il mio è un appello a violare l’integrità territoriale della Russia, e rischio alcuni anni di reclusione secondo l’articolo 280 comma uno del Codice penale. Se invece non appoggio questa soluzione, le mie parole potrebbero essere interpretate come dirette a screditare le Forze Armate, reato punibile nello stesso modo e con lo stesso articolo, comma tre. Quindi, meglio tacere».
13 novembre 2022 (modifica il 13 novembre 2022 | 08:31)
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, 2022-11-13 07:41:00, Diversi analisti russi, anche vicini a Putin, hanno reagito con veemenza al ritiro da Kherson. Alcuni invocano il «pugno di ferro»; altri assicurano che si sia trattato di una «mossa strategica» , Marco Imarisio