di Luigi Ferrarella
Il processo per corruzione internazionale finisce con il non luogo a procedere nei confronti di Gianfelice Rocca e Paolo Rocca, e di Roberto Bonatti: difetto di giurisdizione. Soddisfatti gli avvocati difensivi: accolta la nostra tesi
Prosciolti non perché il fatto non sussista, e neanche perché non abbiano commesso il reato, ma addirittura perché il processo per corruzione internazionale in Brasile ai fratelli Rocca non sarebbe ma nemmeno dovuto iniziare a Milano: la VII sezione del Tribunale di Milano, presieduta da Ombretta Malatesta, ha infatti dichiarato un radicale «difetto di giurisdizione italiana» sin dall’inizio delle indagini, e ha dunque stabilito il «non luogo a procedere», nei confronti di Gianfelice Rocca (presidente anche del gruppo ospedaliero Humanitas, ex presidente di Assolombarda, già vicepresidente di Confindustria e componente del cda della Bocconi), il fratello Paolo e il cugino Roberto Bonatti quali amministratori e soci di San Faustin sa, holding (della multinazionale di ingegneristica Techint) che era pure imputata per responsabilità amministrativa dell’ente in base alla legge 231 del 2001.
Oggetto del processo era l’accusa di aver autorizzato o comunque tollerato una tangente dello 0,5% per far aggiudicare a Confab (controllata da San Faustin attraverso Tenaris) 22 contratti di fornitura di tubi del valore di 1,4 miliardi di euro: 6,5 milioni che i pm Donata Costa (oggi in forza alla Procura europea antifrode) e Isidoro Palma (passato in Corte d’Appello a Napoli) avevano documentalmente ricostruito essere state pagate in Brasile nel 2009-2013 dall’uruguagio Hector Alberto Zabaleta, allora dirigente locale di Techint, al direttore (Renato Duque) della società pubblica carioca Petrobras, con soldi arrivati dai conti di società uruguayane alimentati dagli utili prodotti da San Faustin, cioè dalla «cassaforte» lussemburghese della famiglia Rocca accreditata di un patrimonio personale di 6 miliardi di dollari.
Ma il tribunale, in attesa delle motivazioni, è intuibile abbia ritenuto che nessun pezzo della condotta criminosa addebitata agli imputati fosse stata commessa in Italia o dal territorio italiano, e che tutto invece si fosse svolto tra Brasile, Argentina, Uruguay, Svizzera e Lussemburgo. «Contento per i nostri assistiti che non hanno mai perso fiducia nei giudici e continuato a lavorare per i propri azionisti in questi anni di prova», commenta l’avvocato Marco Calleri che ha difeso i Rocca con il professor Francesco Mucciarelli e i colleghi Giuseppe Manzo, Adriano Raffaelli e Andrea Rossetti. Così il gruppo San Faustin: «Sin dall’inizio dell’indagine avevamo affermato l’assoluta correttezza dei comportamenti della società e l’estraneità ai fatti contestati dei membri del board e la mancanza di giurisdizione. Al termine del dibattimento, il Tribunale ce ne ha dato atto».
La difesa, nel corso del processo, oltre a contestare proprio la giurisdizione italiana su fatti verificatisi tutti all’estero, aveva argomentato l’assenza di documenti o testimonianze che potessero ricollegare ai vertici di San Faustin e Techint i pagamenti di Zabaleta, e sostenuto non realistico attendersi consapevolezza di un volume eventuale di tangenti per 6,6 milioni nel mare magno dei «90 miliardi di dollari di fatturato delle 450 società consolidate nella holding San Faustin durante il periodo investigato nei 45 Paesi con 70.000 lavoratori».
lferrarella@corriere.it
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26 maggio 2022 (modifica il 26 maggio 2022 | 19:10)
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, 2022-05-26 22:52:00, Il processo per corruzione internazionale finisce con il non luogo a procedere nei confronti di Gianfelice Rocca e Paolo Rocca, e di Roberto Bonatti: difetto di giurisdizione. Soddisfatti gli avvocati difensivi: accolta la nostra tesi, Luigi Ferrarella