di Francesca Basso
Il segretario generale del Servizio europeo per l’Azione esterna: «Passare dalla Bielorussia avrebbe un costo politico e dalla Polonia richiederebbe più tempo»
DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE
BRUXELLES «Sostenere l’Ucraina politicamente e militarmente, sanzionare la Russia e prosciugare la sua capacità di finanziare il conflitto e isolarla internazionalmente». La strategia dell’Ue di fronte alla guerra in Ucraina non cambia, come spiega Stefano Sannino, segretario generale del Servizio europeo per l’Azione esterna, il ministero degli Esteri dell’Ue.
Cosa sta facendo l’Ue per prevenire una crisi alimentare mondiale causata dalla guerra in Ucraina?
«Stiamo lavorando a varie opzioni: come riuscire ad esportare le tonnellate di grano bloccate in Ucraina e come sostenere le agricolture e le economie dei Paesi più colpiti. L’ipotesi su cui si sta adoperando il segretario dell’Onu Guterres e su cui è impegnato anche il presidente del Consiglio europeo Michel prevede di usare il porto di Odessa ma perché sia possibile occorre sminare le acque davanti al porto di Odessa e scortare le navi. Dal punto di vista politico e pratico è la soluzione più semplice. Passare dalla Bielorussia ha un costo politico e passare dalla Polonia richiede più tempo per le ridotte quantità di cereali che si possono trasportare. L’Ue con l’Unione africana sta lavorando a piani complementari per sostenere lo sviluppo agricolo e la commercializzazione e trasformazione dei prodotti. Un altro punto centrale è l’accesso ai fertilizzanti, trovare alternative a quelli russi».
Per l’intesa sul sesto pacchetto di sanzioni ci sono volute settimane di negoziati. L’Ue è arrivata al limite?
«Non credo, ma più andiamo avanti più si arriva vicino agli interessi nevralgici dei Paesi. Si tratta di trovare un punto di equilibrio e riuscire a individuare nuovi settori senza mettere in pericolo le economie europee».
Il veto alle sanzioni del premier ungherese Viktor Orbán ha messo in evidenza i limiti dei meccanismi decisionali dell’Ue. Bisogna superare l’unanimità?
«Il dibattito sulle decisioni all’unanimità in politica estera non è legato solo a un Paese o a un capo di Stato o di governo. In questo caso la posizione ungherese è stata la più profilata ma Viktor Orbán lo aveva detto da tempo che il petrolio era una linea rossa invalicabile perché comportava un impatto sull’economia che Budapest non si poteva permettere di accettare. Però ci sono anche altri interessi e difficoltà. Non è sempre lo stesso Paese a creare problemi. C’è la necessità di trovare meccanismi per non rimanere bloccati: stiamo per esempio immaginando anche delle formule alternative come l’astensione costruttiva in cui un Paese può decidere di astenersi pur senza bloccare il processo decisionale dell’Unione europea».
L’accordo non prevede un tempo limitato alla deroga all’embargo sul petrolio russo. Non c’erano alternative?
«Polonia e Germania si sono impegnate a non importare più petrolio russo via oleodotto dalla fine dell’anno e la Slovacchia e la Repubblica Ceca hanno accettato l’idea di uscita dal petrolio, quindi rimane una quota relativamente ridotta, l’impatto economico dell’eccezione è limitato rispetto al pacchetto globale di sanzioni. Anche in altri casi sono state accettate delle eccezioni per tenere in conto dei bisogni di altri Paesi».
Nelle conclusioni del Consiglio europeo non si menzionano né la parola pace né tregua. Perché?
«Le condizioni per la pace le determinano gli ucraini. Il presidente Zelensky ha indicato che il conflitto continua e anche Putin ha detto che avrebbe continuato a combattere. La situazione sul terreno determina le condizioni di partenza del negoziato».
Draghi ha detto che l’Italia è l’unico fra i grandi Paesi favorevole ad accogliere la domanda di candidatura all’Ue di Kiev. Ci saranno divisioni?
«C’è una percezione chiara di tutti gli Stati membri che attribuire lo status di candidato all’Ucraina in questo momento rappresenta un segnale politico forte. Non esiste un processo accelerato di adesione e la candidatura rappresenta soltanto il primo passo. Credo che non vi siano obiezioni di principio ma alcuni Stati membri hanno sottolineato che occorre riflettere prima di arrivare a una decisione, come ad esempio sull’impatto politico sui Paesi dei Balcani Occidentali, che hanno iniziato il percorso già da molti anni».
Alcuni Paesi hanno criticato le telefonate dei leader Ue a Putin. Ci sono divisioni?
«Il punto è il bilanciamento tra tenere un canale di comunicazione aperto e non dare la sensazione che si stia rompendo l’isolamento. Non vedo spaccature. Ci sono 27 Paesi che con molto senso di responsabilità cercano di trovare una strada compatibile con gli interessi di tutti».
La guerra come sta cambiando l’Ue?
«Sta dando un’accelerazione a processi che un tempo prendevano mesi. In meno di 48 ore è stata mobilitata la prima tranche da 500 milioni di euro per l’invio di armi all’Ucraina. La Bussola Strategica è stata approvata. Finlandia e Svezia hanno chiesto di entrare nella Nato. La Danimarca fa un referendum (il primo giugno, ndr) per partecipare alla difesa e sicurezza Ue. I Paesi Ue hanno deciso di aumentare gli investimenti in difesa. Qualcosa è cambiato».
31 maggio 2022 (modifica il 31 maggio 2022 | 23:12)
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, 2022-05-31 22:05:00, Il segretario generale del Servizio europeo per l’Azione esterna: «Passare dalla Bielorussia avrebbe un costo politico e dalla Polonia richiederebbe più tempo», Francesca Basso