L’allarme che è scattato di recente sui mass media riguarda una supposta violazione della privacy legata alla conoscenza degli stipendi dei colleghi.
Tutto ciò nasce da una nuova Direttiva Comunitaria, presentata come strumento nella lotta alle differenze salariali tra uomini e donne. Ma, è davvero come sembra? Siamo di fronte a un ennesimo imposizione da Bruxelles? La risposta è no, come segnala Open.
La Direttiva n. 2023/970, approvata lo scorso 10 maggio 2023, non impone subito nuove regole agli Stati Membri. La direttiva dà tempo fino al 7 giugno 2026 per essere implementata. L’intenzione primaria è combattere le disparità salariali. Viene imposto che lavori analoghi o di pari valore debbano avere lo stesso stipendio. Ma le imprese rimarranno libere di stabilire le retribuzioni basate sul merito.
Sebbene punti sulla trasparenza, la Direttiva non permette la conoscenza dello stipendio individuale. I lavoratori potranno chiedere dati salariali medi e aggregati. Le offerte di lavoro dovranno essere più trasparenti. È proibito indagare sugli stipendi precedenti dei candidati. Mentre un datore di lavoro non può rivelare lo stipendio di un dipendente, un lavoratore ha il diritto di divulgare il proprio.
Le aziende tra 100-250 dipendenti avranno doveri informativi aggiuntivi riguardo al gender pay gap. Datori di lavoro che violano le nuove regole dovranno risarcire i danni. Si prevedono anche misure giudiziarie per tutelare le donne. Prima dell’attuazione, nulla cambia. Tuttavia, gli strumenti attuali come il Codice delle Pari Opportunità continuano a proteggere contro la discriminazione.
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