Scuola delle competenze: per realizzarla bisogna formare alle emozioni – Tuttoscuola,

Scuola delle competenze: per realizzarla bisogna formare alle emozioni – Tuttoscuola,

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di Francesca Traclò, Ottavio Romano e Chimera Poppi

Zaino in spalle, sorridente, va a scuola. Si unisce a una comunità di apprendimento fatta prima di tutto dai suoi compagni, con cui lavora, collabora, impara, si scontra e risolve problemi e dai suoi professori, unici nelle loro diversità ma compatti nell’idea di offrire ai ragazzi un’esperienza educativa motivante, incoraggiante e stimolante. Una comunità costituita dal personale ATA, con cui si instaura un rapporto di complicità e rispetto, da segreteria e presidenza, dalle altre classi e dagli altri consigli di classe e poi, fuori dall’edificio scuola, dalle possibilità – culturali, sociali, professionali e civiche – offerte dal territorio, dalle famiglie, dai professionisti, dagli artigiani, dalla memoria cittadina, dagli abitanti della comunità. Una comunità che porta avanti tutti, che valorizza specificità e talenti, che incoraggia e motiva, che accompagna e rinforza.

Questa è la nostra visione, è ciò in cui crediamo, ciò che ci ha spinto in questi anni – più di 10 di rapporti con le scuole, 4 se pensiamo al percorso “Con la Scuola”, portato avanti con Luiss, Snam, Confindustria e ANP – a confrontarci con centinaia di docenti e decine di dirigenti scolastici per sperimentare e definire insieme un metodo che aiutasse ad andare in questa direzione. Pensiamo di esserci arrivati. Ci siamo arrivati dopo anni di ricerca-azione in cui i protagonisti sono stati i docenti, che ci hanno innanzitutto aiutato a focalizzare la nostra attenzione sulle competenze necessarie agli insegnanti, per definire più puntualmente i loro bisogni formativi.

Nel 2019 abbiamo somministrato un questionario ad oltre 1000 docenti. Per ognuna delle 6 competenze ritenute fondamentali per insegnare – Collaborazione, Empowerment del gruppo classe, Know-How Management, Gestione del Feedback, Reazione all’insuccesso, Attivazione dell’apprendimento –, abbiamo chiesto quale fosse il livello ideale che il docente dovrebbe possedere e quale quello realmente posseduto. Le 3 competenze che hanno evidenziato un gap più evidente tra livello ideale e livello posseduto sono state: Attivazione dell’apprendimento, Gestione del feedback e Empowerment del gruppo classe, e su questo abbiamo iniziato a lavorare.

In questa formazione costruita su un continuo scambio con i docenti sulla base di sperimentazioni in classe e conseguenti aggiustamenti della struttura del metodo, un primo, ostacolante virus lo abbiamo individuato nella parola “acquisizione”, parola usata dal Ministero per introdurre e definire il concetto di competenza. Il linguaggio usato è importante per il pensiero e l’80% del linguaggio ha origini metaforiche, pensando a Lakoff e Johnson. L’immagine metaforica dell’acquisizione in relazione alla competenza è fuorviante: se la posso “acquisire” vuol dire che è fuori di noi. Ma è la capacità che viene da fuori e si mette dentro: la prendo, la apprendo, la acquisisco. La competenza, invece, viene da dentro e si tira fuori, la possediamo biologicamente: è la capacità della mente di mettere insieme conoscenze e abilità. Non si può acquisire perché è già dentro noi, ma si può sviluppare, quindi mostrare, osservare. Non è sicuramente immediato spiegare la differenza tra competenza e capacità, ma se colleghiamo la parola “acquisizione” alle competenze, le cose si complicano parecchio.

Giuseppe Bertagna, come noi, ci prova continuamente, sino a declinare la competenza come una “capacità storicizzata”, osservata, raccontata.

Un altro ostacolo importante che ha richiesto e richiede una cura e un’attenzione particolare è la difficoltà per il docente a “uscire dal suo ruolo”. La difficoltà di lasciare al centro i ragazzi, dismettere di pensare di dover dire e fare tutto; mettersi di lato, non dare soluzioni di fronte ai problemi ma chiederle. È solo in questo modo che i ragazzi sviluppano autonomia, responsabilità e pensiero critico, che gli ambienti di apprendimento diventano palestre in cui i ragazzi possono allenarsi e che rende possibile una collaborazione reale tra docenti. Alla base di tutto si rende necessario un cambio di relazione tra gruppo docenti e gruppo classe; in una relazione tra docenti e ragazzi basata sulla fiducia, vivono motivazione, interesse e curiosità, le uniche emozioni che conducono all’apprendimento. In una relazione di fiducia, i feedback non sono né positivi né negativi, ma solo di supporto e gli strumenti e le strategie didattiche acquistano senso e utilità.

Nell’osservare le posture e il canale visivo dei ragazzi, senza giudicare, senza trarre conclusioni affrettate, senza interpretare – quegli “annoiato”, “attento”, “svogliato”, “bravo” che diventano etichette che coprono le specificità e i sentimenti che ognuno di loro prova – e nel restituire loro questa attenzione alla persona e ai cambiamenti che avvengono secondo i contesti, le ore, i giorni, la tipologia di attività proposta, vi è la base per un cambiamento di relazione. Posture e sguardi dei ragazzi dipendono dal sentimento che stanno vivendo in quel momento. Sentire interesse e cura nei loro confronti da parte dei docenti li farà sentire importanti. Questa è la base perché possano provare motivazione e interesse nell’andare a scuola. È semplice, ma è un cambiamento che richiede tanto allenamento e l’interiorizzazione di alcuni passaggi che prendono vie alternative rispetto al sentiero solcato da anni, dominato dal voto come unica motivazione – o demotivazione – per lo studio, e per la definizione di una persona che sta crescendo.

La didattica per competenze e i documenti a supporto che sono stati emanati, citiamo ad esempio le Linee guida del Ministero del 2017, le Raccomandazioni del Consiglio Europeo del 2018, le Linee guida per l’Orientamento del 2022 ci supportano nell’attuare un cambiamento di prospettiva da insegnamento ad apprendimento, da lezione frontale ad attività collaborative, da centralità del docente a centralità dei ragazzi, da patto educativo basato sul voto ad accordo educativo basato sulla crescita personale dei ragazzi in un’ottica di raggiungimento di micro obiettivi in un sistema di feedback rafforzativi. Il metodo che in questi anni abbiamo definito grazie a una ricerca azione formativa che ha coinvolto circa 1000 docenti di oltre 100 scuole di tutta Italia, prevalentemente secondarie di secondo grado, ma anche secondarie di primo grado e primarie, ci sta confermando la possibilità di un cambiamento importante.

Pensiamo in particolare al delicato passaggio tra superiori di primo grado e superiori di secondo grado: il percorso si struttura in un periodo di “accoglienza” – che nella migliore delle ipotesi inizia già dalla fine dell’anno precedente e dall’estate – e che dura circa 40 giorni.

In questo periodo, tra giochi di conoscenza, relazionali, attività di valutazione diagnostica e attività didattiche che coinvolgono il gruppo classe, anche diviso in coppie e a gruppi, il consiglio di classe – insieme, sì, questa è una condizione fondamentale – osserva i ragazzi prendendo nota delle posture e del canale visivo, di ognuno di loro, in diversi momenti della giornata e in diverse attività didattiche. Queste osservazioni, che vanno necessariamente scritte e condivise tra il consiglio, costituiscono la base di confronto per evidenziare nei mesi successivi le variazioni -parliamo sempre di posture, sguardi e comportamenti- che avvengono soprattutto successivamente al primo colloquio con i ragazzi. Il primo colloquio è un passaggio fondamentale in cui avviene il primo scatto significativo di cambiamento nella relazione tra ogni ragazzo e il cdc, rappresentato da uno, meglio due docenti.

Questi riferiscono al ragazzo – a tutti: in un’ottica di reale inclusività e sviluppo delle competenze, non esistono “i bravi che non danno problemi” e “i casi difficili da risolvere”– cosa hanno osservato, facciamo un esempio: ”i primi giorni di scuola ti abbiamo visto con le spalle ricurve e lo sguardo rivolto in basso, non guardavi né noi docenti né i tuoi compagni. Quando abbiamo iniziato a lavorare in coppia, già dalla seconda settimana, guardavi spesso il compagno con cui stavi lavorando, hai sempre portato tutto il necessario per la lezione e da qualche settimana abbiamo notato che cerchi anche i prof. con lo sguardo e se hai delle domande alzi la mano”.

Cosa succede a questo punto?

Ne abbiamo parlato nel numero 632 di Tuttoscuola.

Leggi il servizio integrale dedicato all’emergenza educativa nel numero 632 di Tuttoscuola

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