A cadenza più o meno regolare si torna a parlare dell’impianto complessivo del nostro sistema scolastico e, molto spesso, si tende a contrappore la “scuola delle conoscenze e dei saperi” alla “scuola delle competenze”: la prima avrebbe a che fare con la scuola “gentiliana”, mentre la seconda sarebbe il risultato della “scuola dell’autonomia”.
Ma c’è anche chi si spinge oltre, come per esempio un nostro affezionato lettore che proprio in questi giorni ci ha mandato una sua riflessione a difesa della scuola gentiliana.
Basta frequentare un po’ i social per rendersi conto che il pensiero di questo nostro lettore è piuttosto diffuso e prende forme diverse: c’è per esempio chi contrappone la scuola “tradizionale” alla “scuola dei progetti” e chi sottolinea i benefici della “lezione frontale” contro il dispersivo “lavoro di gruppo” degli studenti.
Ma l’idea di fondo è più o meno sempre la stessa e cioè che la scuola “di una volta” era molto meglio e la dimostrazione è presto data: fino a qualche decennio fa chi usciva dalla scuola elementare sapeva coniugare bene i verbi (compreso il passato remoto di verbi “difficili” come cuocere e redigere) e conosceva anche l’analisi logica (compreso ovviamente il temutissimo “complemento predicativo del soggetto”).
Dal desiderio di tornare alla scuola della “predella” cara ad Ernesto Galli Della Loggia alla esaltazione del modello gentiliano, il passo è breve.
Non a caso, d’altronde, i “gentiliani” sono spesso convinti che la miglior scuola superiore sia il liceo classico che è appunto il prodotto più emblematico della riforma voluta esattamente un secolo fa dal nostro più importante erede dell’idealismo tedesco.
Così commenta Aluisi Tosolini, filosofo dell’educazione: “Occorre che il lettore docente che esalta la scuola di Gentile se ne faccia una ragione: sono passati 100 anni dalla sua Riforma e quel mare di conoscenze che ha reso possibile secondo lui l’emergere dei migliori è semplicemente l’emergere di una minoranza che avrebbe potuto emergere anche standosene a casa usando le librerie e le biblioteche di casa”.
“Occorre farsene una ragione – aggiunge – perché oggi le solo conoscenze non bastano. Oggi le conoscenze vengono prodotte anche e soprattutto in altro modo. Chi esalta la scuola delle conoscenze provi per esempio a fare un giro in ChatGPT e scoprirà che oggi è essenziale riconoscere ciò che è prodotto dall’intelligenza artificiale in modo da diventare attore e protagonista come peraltro diceva già inizi del 1600 il buon Comenio che certamente di pedagogia qualcosa più di Gentile sapeva”.
“Ognuno deve diventare attore e protagonista – conclude Tosolini – le sole conoscenze servono solo a fare da spettatore delle decisioni altrui. Il nostro lettore (e tutti coloro che la pensano come lui) devo farsene una ragione”.
Ci sono però anche questioni politiche e culturali non del tutto secondarie: chi si spella le mani per applaudire la scuola gentiliana lo sa che la riforma Gentile venne definita fin da subito come “la più fascista delle riforme”? e, soprattutto, conosce il dibattito sulla scuola che si era sviluppato all’interno della Assemblea Costituente?
O, più semplicemente, ha una idea – seppure approssimativa – di cosa sia stata la scuola italiana fino alla fine degli anni 60?
Basta leggere un qualsiasi testo di storia della scuola per sapere che ancora fino agli anni 50 la percentuale dei bocciati – già dalla scuola elementare – si misurava con numeri a due cifre.
Certamente in quegli anni chi superava l’esame di quinta elementare (ai più giovani vale ricordare che c’era persino un esame alla fine della seconda) sapeva tutto sui complementi indiretti e conosceva persino i nomi degli affluenti del Danubio; e alla fine della terza media (quella seria, con il latino, l’Iliade tradotta da Pindemonte e l’Odissea da Vincenzo Monti) si era persino in grado di tradurre Giulio Cesare.
Ma forse bisognerebbe ricordare che la percentuale dei ragazzi che concludeva la scuola dell’obbligo in 8 anni senza nessuna bocciatura era bassa, e in molte aree del territorio nazionale c’era persino chi non ci arrivava affatto perché si perdeva per strada e andava a fare il pastore, il contadino o il garzone di bar già a 12-13 anni (ovviamente di figli di medici e avvocati fini a raccogliere olive già a 11 anni non si ha notizia).
Come avrebbe detto Don Milani dieci anni dopo, la scuola sembrava a un ospedale che cura i sani e lascia morire gli ammalati.
C’è però un piccolo particolare: la scuola che avevano voluto i Padri costituenti avrebbe dovuto fare esattamente il contrario, occupandosi di tutti e cercando di garantire a tutti il diritto allo studio.
Perché, è bene ricordarlo, la Riforma Gentile non è propriamente informata di spirito democratico
Basta leggere l’articolo 18 del Regio Decreto 3126 che istituiva l’obbligo scolastico: “Per le scuole con popolazione scolastica appartenente al ceto agricolo il direttore didattico stabilirà appositi calendari ed orari scolastici rispondenti alle pause del lavoro agricolo nelle varie zone del suo circolo; e per quelle frequentate da popolazione scolastica prevalentemente operaia orari confacenti con l’orario di lavoro consentito dalla legge ai minorenni. Calendari ed orari scolastici speciali potranno essere combinati laddove sia necessario per una popolazione scolastica mista, anche riducendo per ciascun gruppo di alunni la durata delle lezioni quotidiane”.
Ogni commento ci appare superfluo.
Ovviamente le opinioni sono del tutto libere e chi vuole esaltare la scuola gentiliana può farlo senza problemi, ma deve sapere che quella non è la scuola della Costituzione italiana.
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