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Parte da Palermo l’appello forte e deciso per una maggiore apertura della scuola al terzo settore, al territorio, complessivamente alla comunità. Un appello che, in qualche modo, è frutto di un’esperienza consolidata di attenzione ai bisogni della propria utenza: degli alunni e dei genitori. Un appello che viaggia sul filo della maggiore e più consapevole adesione alle pratiche inclusive e a quelle della progettualità condivisa. Condivisa con il terzo settore, con il mondo dell’imprenditoria e della cultura. E lo facciamo intervistando un dirigente che, in questi anni, non ha fatto mancare, alla sua scuola, progettualità. Progetti non solo attivati con le risorse regionali, nazionali e comunitarie ma anche ricorrendo al terzo settore e al mondo dell’imprenditoria. Se la scuola deve rimanere aperta lo può fare solo ricorrendo ad una responsabilità condivisa con la comunità tutta. Questa la scommessa della dirigente scolastico Irene Marcellino, alla guida della direzione didattica “Monte Iblei” di Palermo. È a lei che abbiamo posto alcune domande.
La scuola è ancora la principale agenzia formativa del nostro Paese?
«La scuola è ancora la principale agenzia formativa del nostro paese? Assolutamente sì. Anzi di più. La scuola oggi non è più solo una agenzia formativa o l’agenzia formativa primaria; a mio modo di vedere la scuola ormai è centro di cura della società perché ha assunto su di sé ogni tipo di disagio, di malessere e di fragilità degli alunni ma anche dei docenti e, soprattutto, delle famiglie. Siamo sempre più spinti a collaborare con il terzo settore, con il territorio, con il mondo intero e questo perché dobbiamo dare sempre maggiori e più numerose e risposte nostri alunni».
L’attenzione ai genitori, come mostrano i recenti episodi in campo nazionale, talvolta, non trova il necessario impegno da parte del corpo docente. Come si potrebbero coinvolgere le tante mamme e i tanti papà, al di là della loro permanenza negli organi collegiali?
«L’attenzione ai genitori è senza dubbio un punto di forza ma anche di fragilità delle istituzioni scolastiche. I docenti sono docenti, sono educatori e in primis devono occuparsi degli alunni. Però gli alunni in quanto minori e in quanto figli fanno parte di una famiglia. La scuola e i docenti, in questo processo, prendono in carico spesso anche le famiglie. Oggi le famiglie sono qualcosa di molto complesso, di molto variegato e, quindi, non c’è più un concetto di famiglia unico. Tutte le famiglie sono uniche e vanno coinvolte sempre al di là degli organi collegiali. Nella mia scuola questo avviene anche con questo tipo di servizio che offriamo. Perché quando noi istituiamo il servizio psicologico o logopedistico abbiamo creato un reale servizio di affiancamento in un momento di fragilità e di crescita».
Alcune realtà del nostro territorio vivono la fragilità derivante dalla precarietà economica delle famiglie dei nostri alunni. Un progetto inclusivo deve mirare a cosa?
«Ci sono naturalmente famiglie che oggi vivono una precarietà economica inaspettata. Noi per esempio insistiamo in un quartiere definito ad utenza medio medio-alta ma nella realtà sappiamo bene che il Covid e la crisi economica ha fortemente messo a dura prova le capacità economiche delle famiglie; per cui la scuola, per quanto può, dev’essere assolutamente inclusiva anche da questo punto di vista. Per questa ragione tutti i progetti che realizziamo vengono finalizzati a rendere la scuola aperta a tutti. Ne facciamo davvero tanti; per esempio, abbiamo aderito a numerosi bandi regionali, alle progettualità PON a valere sul Fondo Sociale Europeo e la collaboriamo col terzo settore. Mi piace ricordare che noi in questo anno scolastico stiamo avendo la possibilità di attivare un ottimo laboratorio per i bambini dell’infanzia interamente finanziato da un’associazione del terzo settore. La scuola è di tutti e non solo del territorio; le scuole sono della società e del mondo. Ciascuno, dunque, deve apportare un proprio contributo. Infatti, la scuola non ha una capacità economica tale da potere includere gratuitamente tutti in tutto ciò che pensa, progetta, vuole fare o mette in programma. La scuola ha bisogno del sostegno degli altri del territorio. Ecco perché io sono sempre alla ricerca di finanziamenti e di finanziatori pubblici e privati. Ciò per dare appunto un’offerta formativa maggiore ma anche per rendere partecipi e responsabili ciascuno e tutti».
Quali sono i bisogni principali di un’utenza caratterizzata da alunni piccolissimi e piccoli?
«I bisogni principali dei piccolissimi e dei piccoli sono innanzitutto tutto quelli connessi alla crescita e alla formazione. Accanto alla partica naturale, il camminare, il mangiare e il parlare (la pratica naturale avviene per imitazione) viene affiancata una pratica culturale di guida, di affiancamento, di indirizzo. In questa maniera il bambino imparerà prima e meglio e quindi bene. Questo sarà foriero di una maggiore sicurezza in se stesso. Col tempo si diventa anche capaci di capire il proprio talento, le proprie vocazioni, le proprie inclinazioni. Perché in fondo diciamo è proprio da piccolissimi che si deve cominciare a conoscere se stessi».
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